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GEORGIA UN PAESE FERITO, UN FUTURO TUTTO DA INVENTARE| V.Agnoletto

| Scritto da Redazione
GEORGIA UN PAESE FERITO, UN FUTURO TUTTO DA INVENTARE| V.Agnoletto

Vittorio Agnoletto* di ritorno da Tbilisi.
ABKHAZIA E SUD-OSSEZIA: DUE GUERRE MAI CONCLUSE
Le guerre perse con l’Abkhazia e con  l’Ossezia del sud, costituiscono delle ferite tuttora aperte e rappresentano un ricordo vivo nella memoria collettiva.

I rifugiati sono ancora oltre 270.000, poco meno dell’8% dell’intera popolazione. Oggi non vivono più nei campi, sono sistemati gratuitamente in case di proprietà pubblica, scuole e alberghi o in palazzi di proprietà di privati; chi sceglie di vivere da amici e parenti riceve un sostegno economico dallo Stato.

Nonostante gli sforzi e i progetti speciali la disoccupazione tra costoro resta alta, attorno al 60%. Tre anni fa la decisione di spostare gli sfollati in regioni periferiche lontano da Tbilisi ha provocato momenti di forte  tensione, chi rifiutava il trasferimento forzato perdeva lo status di rifugiato con i benefici ad esso collegati.  Gli spostamenti coatti ora sono stati sospesi, ma la quasi totalità dei trasferimenti è  stata già realizzata.

La Georgia  ha firmato la Convenzione internazionale per la tutela dei diritti dei rifugiati, sono arrivati fondi dall’UE, dalle grandi ONG internazionali e dagli USA.

UN PAESE SOSPESO TRA LA RUSSIA E L’OCCIDENTE

L’impegno economico statunitense per gli sfollati è aumentato per precise ragioni politiche: quando l’8 agosto 2008 il presidente Saakaashvilli  ordinò di bombardare Tskhinvali, la capitale dell’Ossezia del Sud, contava sull’effetto sorpresa (i capi di governo di quasi tutto il mondo, compreso Putin, erano in Cina per l’inaugurazione delle Olimpiadi) ed era certo di poter contare sul sostegno degli USA, appoggio che, sul terreno militare, non si è invece realizzato.

In pochi giorni l’attacco georgiano fu respinto dall’Ossezia del Sud e dalle armate russe che arrivarono a poche decine di kilometri da Tbilisi. La determinazione di Mosca nel difendere l’autoproclamata indipendenza di Tskhinvali era anche una  risposta indiretta agli USA e ai diversi paesi europei che avevano riconosciuto l’indipendenza del  Kosovo dalla Serbia  in forte contrasto con Mosca, da sempre alleata di Belgrado.

La sconfitta del 2008 ha sviluppato un ulteriore sentimento critico verso Mosca, ma è altrettanto vero che la Georgia e la Russia hanno in comune la medesima religione, il cristianesimo, elemento tutt’altro che secondario in una regione dominata dall’Islam  e in un paese dove circa 1/8 della popolazione è costituito da islamici.

Non c’è dubbio che i governi georgiani oggi guardino verso occidente, ma gli eventi del 2008 hanno prodotto una crisi di fiducia verso gli USA.

IL COMPLESSO RAPPORTO CON LA RUSSIA

Inoltre Tbilisi non può ignorare la forte opposizione di Mosca all’eventuale adesione alla NATO, auspicata da non pochi leader politici, anche perché molti georgiani lavorano in Russia; vi sono interi villaggi costituiti quasi solo da donne e bambini, il cui bilancio dipende dalle rimesse di chi lavora nel potente paese confinante.

D’altra parte la Georgia è attraversata dall’oleodotto che prosegue verso la Turchia e quindi i paesi europei, tagliando fuori la Russia. Per un piccolo paese collocato in una zona strategica del globo, stretto tra gli interessi delle grandi potenze, è sempre più difficile riuscire a mantenere una propria indipendenza non solo formale.

Nella scuole s’insegnano sia il russo che, sempre di più, l’inglese; il russo è la lingua ufficiale per il mezzo milione di azeri, per gli armeni e per gli oltre 100.000 russi che vivono nel paese; un terzo di chi oggi risiede in Georgia non è di origine georgiana. Ma nonostante tutti lo capiscano è vietato parlare il russo in televisione e perfino i film vengono sottotitolati in georgiano.

Resta sullo sfondo,con un ricordo ancora forte negli anziani, la figura di Stalin, il georgiano che arrivò alla guida dell’Unione Sovietica:  motivo di grande orgoglio nazionale e di forte legame con la vittoria dell’URSS staliniana contro il nazismo. L’amministrazione di Gori, la città natale di Stalin, ha deciso di ricollocare la statua del suo concittadino, rimossa dal governo  nazionale nel 2010. A Tbilisi è invece ampiamente pubblicizzata una mostra sull’ “occupazione sovietica” della Georgia. Impostazioni  differenti,  che riflettono modi diversi di raccontare il proprio passato.

LE IMMINENTI ELEZIONI PRESIDENZIALI

Il 27 ottobre, i georgiani sceglieranno il nuovo presidente della repubblica. Saakaashvilli non ha potuto ripresentarsi avendo già svolto due mandati, non si è candidato nemmeno il primo ministro Bidzina Ivanishvili, il miliardario rientrato da Mosca pochi anni fa con l’intento di “contribuire al rilancio” del proprio Paese.

Nelle elezioni parlamentari del 2012 la coalizione di Ivanishvili ha sconfitto lo schieramento del presidente ottenendo il 54%. Lo scontro si sta riproducendo nella campagna elettorale alla quale ambedue partecipano per interposta persona. Il risultato delle elezioni presidenziali non è scontato e non è semplice cogliere in cosa differiscano i programmi: tutti  promettono più lavoro e più stato sociale, ma, alla luce degli eventi di questi ultimi anni, simili promesse hanno perso ogni credibilità. Differenze più evidenti emergono sulla collocazione internazionale: se dovesse vincere  Gheorghij Margvelašvili, il candidato della coalizione guidata da Ivanishvili, si potrebbe assistere ad un miglioramento delle relazioni con la Russia. La sua avversaria più agguerrita sembra essere l’ ex presidente georgiana ad interim Nino Burdžanadze.

Le settimane elettorali sono state vivaci;  domenica 29 settembre abbiamo incrociato a Tbilisi, tre manifestazioni: una davanti all’ex Parlamento organizzata dai   Patrioti e dai Veterani di guerra per chiedere che il presidente sia sottoposto ad un processo  per gli episodi di repressione verificatisi negli ultimi anni; la seconda, animata anche da alcuni preti della Chiesa Ortodossa, era in difesa della privacy  contro l’ inserimento sul documento d’identità di una chip con i dati personali; la terza raccoglieva centinaia di persone davanti al ministero di Giustizia.

Da un anno la politica istituzionale appare molto movimentata: mentre fino al 2012 tutto era controllato da Saakaashvilli oggi fra il presidente  e il primo ministro gli scontri sono quotidiani. Tale situazione è valutata positivamente da diversi  esponenti della società civile: “prima non c’erano alternative, ora ogni decisione è una scelta e se ne può discutere.”

Il parlamento  è  stato spostato, per decisone del presidente, in un’altra città, Kutaisi, a quattro ore di distanza dalla capitale; ma tale costosa scelta non ha certo facilitato il rapporto tra le istituzioni.    La Costituzione è presidenzialista, ma il potere del capo del governo è fortemente cresciuto nell’ultimo anno ed è probabile che presto verrà modificata in senso parlamentare.

UNA CORRUZIONE DI CLASSE

I pubblici ministeri sono sotto controllo politico mentre i magistrati giudicanti sono indipendenti; questa situazione genera nella popolazione una forte sfiducia verso la magistratura.

La diminuzione della corruzione  tra i pubblici dipendenti, nel mondo universitario e in parte anche nella polizia ha contribuito all’iniziale successo di Saakaashvilli dovuto anche alla capacità di guidare la ricostruzione del Paese devastato dalle guerre degli anni’90. Ma cresce invece la corruzione nel mondo politico ed economico che circonda il presidente dove sembra regnare l’impunità. Ed è questa, oltre al grave errore della guerra del 2008, una delle principali ragioni dell’attuale perdita di consenso da parte di Saakaashvilli.

IL RUOLO DEI MEDIA E LA DEBOLEZZE DELLA SOCIETA’ CIVILE

Le strutture organizzate della società civile sono ancora fragili: le ONG si moltiplicano ma  spesso sono gestite da ex parlamentari vicini al presidente e sostenuti da finanziamenti statunitensi.

E’ evidente l’assenza di un giornalismo di tipo investigativo, capace di indagare gli scandali del potere. Fa eccezione il GoGroup Media (partner in Italia dell’Osservatorio Balcani e Caucaso), costituito da giornalisti indipendenti azeri, armeni, georgiani ma anche dell’Ossezia del Sud, dell’ Abkhazia e del Nagorno Karabaki che lavorano per superare il nazionalismo di gran parte della stampa. Obiettivi difficilissimo: per incontrarsi devono riunirsi in Turchia a causa della non concessione reciproca dei visti d’entrata nei vari Paesi della regione.

Fino ad un anno fa  tutti e quattro i canali televisivi dipendevano dal Presidente, ora uno è controllato dal primo ministro ed uno  dovrebbe mantenersi neutrale.

CRESCE LA POVERTA’ MA NON I SERVIZI SOCIALI

Lo stato sociale è anche qui sotto tiro: gli asili e la scuola pubblica di ogni grado continuano ad essere gratuiti, ma  si moltiplicano le scuole private e le università prevedono tasse d’iscrizione decisamente elitarie.

L’assistenza sanitaria è gratuita per i bambini e per gli ultrasessantacinquenni ma solo per  le cure di base e la qualità dei servizi resta problematica; tutti gli altri, tranne le fasce di popolazione in situazione di grave povertà, devono pagarsi farmaci e assistenza  con il conseguente moltiplicarsi delle assicurazioni private.

Gli anni post-sovietici hanno portato maggior libertà d’espressione e  pluralismo politico, ma hanno prodotto una grande divaricazione sociale e la perdita di un sistema di garanzia statale nel welfare, nel lavoro e nelle politiche abitativa;  oggi quasi metà della popolazione vive in condizioni di povertà,  molti sono coloro che chiedono l’elemosina per strada, mentre il 10 % raccoglie nelle sue mani una ricchezza spropositata ed in continuo aumento.

La consapevolezza di questa contraddizione tra libertà e povertà, tra il mondo di ieri e quello di oggi è ampiamente diffusa e la speranza verso il futuro delle giovani generazioni tutte proiettate ad occidente, si scontra con il rimpianto del passato che molto spesso alberga in coloro che hanno avuto esperienza diretta dell’epoca che fu.

* board  internazionale di FLARE (Freedom Legality and Rights in Europe)

2013-11-04

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