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Gerbero d’Aurillac, (Silvestro II). Il papa scienziato |A. Melega

| Scritto da Redazione
Gerbero d’Aurillac, (Silvestro II). Il papa scienziato |A. Melega

La figura di Gerberto, nato attorno al 950 in Aquitania, va inserita nel contesto delle vicende storiche dei re ed imperatori sassoni: Ottone I, il Grande (912-973), Ottone II (955-983), Ottone III (980-1002), in una realtà europea costretta a difendersi dalle micidiali incursioni dei Normanni, dei Saraceni, degli Slavi ed degli Ungari o Magiari. E’ il tempo in cui i castelli di legno, per contrapporsi con maggiore efficacia agli assalti, si trasformarono in pietra, dando inizio a quei processi di difesa del territorio, che costituirono i veri e propri embrioni del feudalesimo. E’ il tempo del successo dell’Abbazia di Cluny e della sua riforma, che coinvolse nel 931 il monastero benedettino di San Géraud, in Alta Alvernia, dove Gerberto apprese, da ragazzo, la grammatica (il latino) e la musica dei cembali, per cantare le lodi del Signore ad imitazione della musica del Paradiso, del cosmo e degli otto pianeti conosciuti.

Gerberto, col nome di Silvestro II, fu il 139° papa della Chiesa Cattolica e primo papa francese della storia. Fu un prolifico studioso ed instancabile ricercatore di manoscritti; introdusse la conoscenza araba dell’aritmetica e dell’astronomia in Europa. Da qui l’appellativo di ‘papa scienziato’ da parte dei suoi estimatori e di ‘papa mago’ da parte dei suoi numerosi denigratori. Egli introdusse in Occidente l’uso dell’orologio a bilancere e fu inventore di organi idraulici e di particolari sfere celesti che fabbricava personalmente o che faceva fabbricare, ai fini dello studio astronomico. Diffuse pure l’astrolabio, lo strumento per misurare l’altezza apparente degli astri all’orizzonte; da esso deriva il moderno sestante. Inventò inoltre una testa meccanica, una sorta di mente artificiale, in grado di rispondere positivamente o negativamente alle domande ad essa poste. Gerberto è rimasto pure famoso per l’introduzione dell’abaco nel Vecchio Continente, vale a dire di una particolare tavola provvista di un sistema di calcolo d’origine indiana, giunto in Spagna attraverso gli Arabi e che permetteva con facilità di applicare la divisione e la moltiplicazione nei calcoli in modo molto più celere rispetto ai vecchi pallottolieri in uso fin dai tempi dei Romani. Egli fu pure un grande diffusore della cultura classica.

Sono giunte fino a noi 220 sue lettere, tutte di suo pugno, anche se non tutte sotto il suo nome, per il fatto che sovrani ed altri grandi personaggi gli chiedevano di scriverne per suo conto. Uno dei migliori allievi di Gerberto, Richero, ha lasciato una descrizione toccante abbastanza precisa del suo maestro: magro, minuscolo, quasi calvo, con un pizzo sul mento e un naso aquilino, era per sua natura un uomo allegro.

Egli trovava grande gratificazione nella lettura dei classici, soprattutto di Cicerone e Boezio. L’ideale di vita di Gerberto mirava all’onestà, alla moderazione, al dominio sulle passioni attraverso l’esercizio della ragione e della cultura; e questa austerità classica la ricerca persino nello stile, la cui sobrietà e concisione contrastano nel modo più vivo con le abitudini del tempo. Nella storia viene ricordato come monaco delle tre R, per essere diventato arcivescovo di Reims, di Ravenna ed infine papa a Roma.

La tradizione vuole che, da bambino, Gerberto fosse stato incontrato da alcuni monaci di san Géraud, mentre una sera egli stava contando le stelle. Egli era uno di quei bambini poveri ma di talento, ricercati dalle Abbazie o dagli Istituti Vescovili, e talvolta mantenuti agli studi da semplici privati generosi. Ebbe per maestri gli Abati Géraud e Raimondo, ai quali rimarrà sempre teneramente attaccato. Ad Aurillac, Gerberto apprese la grammatica (il latino) e la musica, la prima e l’ultima delle sette arti liberali. Per apprendere le altre cinque arti dovette percorrere l’Europa. Gli eventi gli vennero incontro. Infatti, avvenne che nel 967 il conte di Barcellona Borell II si recasse in Francia per sposare la figlia del conte di Rodez e ritenesse doveroso recarsi a pregare, dopo il matrimonio, sulla tomba del conte Géraud, sepolto nella chiesa del monastero di Aurillac. Ed è qui che il caso volle favorire l’inizio delle peregrinazioni formative di Gerberto. I maestri monaci di quest’ultimo, infatti, convinti delle eccezionali facoltà intellettuali del giovane, raccomandarono a Borrell l’allievo di cui erano così orgogliosi, affinché lo conducesse con sé in Spagna per continuare colà gli studi. Così avvenne. Il conte, una volta giunto in Catalogna, indirizzò Gerberto al vescovo di Vich, Attone, il quale a sua volta coinvolse, nella formazione del giovane, anche altri studiosi: Mirò Bonfill, vescovo-conte di Gerona e Besalù, abile scrittore; Llobet di Barcellona, traduttore di un’opera araba di astronomia. Gerberto frequentò pure il monastero di Ripoll, vicino a Vich, a nord di Barcellona, dove potevano essere consultati duecento manoscritti, portati in quella sede dai monaci mozarabici dopo la conquista araba della Spagna, nel 711. Gli anni, dal 967 al 970, furono insomma decisivi per una buona conoscenza delle arti del quadrivium, così trascurate nel resto d’Europa, vale a dire delle arti dell’aritmetica, della geometria, dell’astronomia e della musica (teoria musicale). Ora bisogna sapere che in quel tempo conti, vescovi e abati catalani si recassero di quando in quando a Roma per sottoporre al papa diverse questioni. E così avvenne anche nel 970, quando il conte Borrell ed il vescovo Attone di Vich decisero di recarsi da papa Giovanni XIII per perorare l’autonomia della chiesa della Marca Spagnola dalla chiesa metropolitica di Narbona in Francia. In quel viaggio, il conte ed il vescovo decisero di farsi accompagnare anche dal giovane Gerberto, il quale ebbe subito modo di farsi apprezzare dal papa. Questi, a propria volta, attraverso un legato, comunicò all’imperatore Ottone I ad Aquisgrana di aver incontrato un giovane eccezionale, molto competente nelle scienze matematiche. La risposta dell’imperatore fu immediata: impedire al giovane di ritornare in Spagna. E così fu. A Natale dello stesso anno, nel 970, Ottone I, giunto a Roma per il matrimonio del figlio Ottone II e della principessa bizantina Teofano, ebbe modo di conoscere Gerberto, e cercò di convincerlo a seguirlo ad Aquisgrana, ma il giovane era di altro parere. Egli voleva seguire invece Germanno, arcidiacono di Reims, in quel tempo a Roma come ambasciatore del re di Francia, Lotario. Germanno era maestro di logica, una disciplina nella quale Gerberto desiderava vivamente essere formato. Così l’imperatore che avrebbe voluto persuadere l’altro, fu persuaso invece dall’abilità dialettica del primo tanto da permettergli di trasferirsi a Reims.

Qui Gerberto trascorse quasi dieci anni e assimilò rapidamente quello che Geranno gli poteva insegnare in materia di logica, succedendogli poi nella carica di capo della scuola episcopale di Reims. Egli  divenne inoltre molto amico dell’arcivescovo della città, Adalberone, il quale ambiva a fare della sua cattedrale un centro culturale di primo piano. Con Gerberto ci riuscì.

Nel 980 Gerberto tornò a Roma, al seguito di Adalberone, e per strada, a Pavia, incontrarono l’imperatore Ottone II, succeduto qualche anno prima al padre Ottone I, morto nel 973.

Verso la fine del 983 Ottone II nomina Gerberto abate di Bobbio. E’ una decisione questa conseguente alla sconfitta militare dell’imperatore del 982, avvenuta in Calabria contro un esercito formato da saraceni e bizantini. L’imperatore aveva bisogno di alleati in Italia e soprattutto di soldati e di finanziamenti. Da qui la nomina di Gerberto nella ricca Abbazia della val Trebbia, dove il Nostro ‘scoprì’ la fantastica biblioteca ivi presente. Ma poco dopo la situazione precipita: il ventottenne Ottone II muore e a Gerberto, inviso ai proprietari terrieri di Bobbio e agli stessi monaci locali, viene a mancare la grande protezione politica ed è costretto a fuggire a Pavia, presso Adelaide,vedova di Ottone II, nel mentre in Germania Ottone III, il figlio bambino dell’imperatore defunto, viene rapito da Enrico il Litigioso, duca di Baviera. Ecco che Gerberto si trasforma in politico: si reca ad Aquisgrana e nel giro di sei mesi crea un’alleanza fra diversi  duchi tedeschi ed impone ad Enrico la restituzione del bambino alla madre Teofano. Non si arriva nemmeno alla guerra: il bambino, il nuovo imperatore, ritorna  a casa. La situazione comunque, sia in Germania, sia in Francia è sempre in bilico.

Al principio del 989 muore il vescovo Adalberone e Gerberto è convinto di potergli succedere alla cattedra di Reims, tenuto conto anche dell’aiuto dato a Ugo Capeto nel diventare re di Francia, e del ruolo assunto da Gerberto quale segretario dello stesso re. Ma Ugo Capeto passò sopra ai suoi debiti di gratitudine ponendo sulla cattedra arcivescovile di Reims Arnolfo, un figlio extraconiugale del suo predecessore carolingio. Arnolfo tradisce però Ugo Capeto e Gerberto, contro il parere dei vescovi benedettini di Francia, e quindi contro il parere del papa, diventa arcivescovo di Reims. Ne seguono intrighi confusi per superare i quali Gerberto cerca e trova rifugio dopo alcuni anni ad Aquisgrana, presso Ottone III, divenendone l’amico e il precettore più fidato. L’intesa fra i due è infatti perfetta. Quando Ottone III pone sotto controllo la situazione a Roma, dove una rivolta aveva messo in crisi l’autorità di suo cugino, papa Gregorio V, uno dei suoi primi atti è di far eleggere Gerberto arcivescovo di Ravenna. Ma Gerberto non conserva a lungo questa carica. Nel febbraio del 999 muore improvvisamente Gregorio V e Ottone III, che aveva bisogno di un uomo sicuro da porre sulla cattedra di san Pietro, accompagna sul soglio pontificio il fedele, colto, irreprensibile Gerberto. Questi prende il nome di Silvestro II, in memoria del papa che, secondo la tradizione di quei tempi, aveva battezzato l’imperatore Costantino e ricevuto da lui il governo dell’Occidente.

Subito dopo essere stato eletto papa, Gerberto confermò la posizione del suo ex rivale Arnolfo come arcivescovo di Reims ed ebbe una grande intuizione politica profondendo una mirata attenzione alla cristianizzazione delle terre degli slavi, in particolare la Polonia e la Boemia, e sostenendo l’istituzione di nuove Chiese nazionali, sottraendole dall’area d’influenza delle chiese metropolitiche di Sassonia.

E così avvenne che Silvestro II concedesse la corona reale d’Ungheria a Stefano (poi venerato come santo Stefano), del casato degli Arpàd, costituendo così il Regno d’Ungheria e la relativa Chiesa nazionale dipendente direttamente da Roma. Altrettanto fece per la futura Polonia, fondando l’arcidiocesi di Gniezno, dalla quale si irradiò la cultura cristiano-romana in tutta l’area.

Ma era in Italia che il potere del papa non riusciva a conquistare consensi. I romani, infatti, non amavano né l’imperatore tedesco né il papa francese. Ed avvenne che al principio del 1001 entrambi fossero scacciati da Roma da un tumulto e costretti a vagare da una città all’altra, fermandosi qualche settimana a Ravenna e tornando poi nei pressi di Roma, che non si decideva a riaprir loro le porte.

Alla fine del 1002, a ventidue anni, Ottone III morì, stroncato in poche settimane da una febbre maligna; e si riportò il suo corpo in Germania quasi fuggendo, in mezzo all’ostilità delle popolazioni. Soltanto a prezzo di umilianti concessioni Silvestro II ottenne di rientrare in Roma per finirvi almeno i suoi giorni in pace; e nel maggio del 1003 egli rese l’anima a Dio, non senza sospetti di avvelenamento, così come era avvenuto pochi anni prima per Gregorio V. Le sue spoglie sono sepolte a San Giovanni in Laterano.

Nel 1648 la sua tomba venne aperta, ma il corpo, trovato ancora intatto, appena esposto all’aria si mutò in polvere. Rimase solo il suo anello con la dicitura: Sic transit gloria mundi.

Agostino Melega

(Cremona)

2013-10-23

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