Il dittatore, la Bielorussia e la voglia di cambiare. Intervista con il leader dell'opposizione e ex premio Sacharov Milinkevich
In dicembre, ci sono state le elezioni presidenziali in Bielorussia. A vincere, di nuovo Aliaksandr Lukashenko, soprannominato "l'ultimo dittatore europeo", che tiene il potere in pugno sin dal 1994. Dopo il voto, caratterizzato da molti punti oscuri secondo gli osservatori internazionali, è seguita una dura repressione delle proteste e un'ondata di arresti di esponenti dell'opposizione politica, di giornalisti e di attivisti per i diritti umani.
Ne abbiamo parlato con il leader dell'opposizione e ex premio Sacharov Alexander Milinkevich durante una sua visita al Parlamento per incontrare il presidente Buzek e intervenire alla riunione sulla Bielorussia della commissione affari esteri.
Signor Milinkevich, dopo la violenta repressione delle proteste e gli arresti dell'ultimo mese, vede prospettive per un cambiamento democratico in Bielorussia?
Gli ultimi eventi hanno toccato molto non soltanto i cittadini della Bielorussia, ma anche l'Europa e i suoi leader. Dopo le elezioni il regime di Lukashenko ha scoperto di non essere così forte come pensava. Ecco perché ha deciso di ricorrere alla provocazione per combattere l'opposizione. Ci sono ancora dozzine di persone in prigione.
Questo non vuol dire certo che ci arrenderemo. L'attuale situazione in Bielorussia è molto simile a quella della Polonia negli anni Ottanta sotto la legge marziale. Anche i polacchi non credevano che la trasformazione fosse possibile. Ma dopo pochi anni i cambiamenti verso la democrazia sono diventati dei traguardi raggiungibili. Succederà la stessa cosa per la Bielorussia anche se è difficile dire quanto ancora durerà il regime.
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