Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 20.45

Il ghiaccio in Antartide potrebbe essere più vulnerabile al riscaldamento globale di quanto si credesse

Lo dimostra uno studio dei sedimenti del passato pubblicato su Nature e al quale ha partecipato l’università di Siena

| Scritto da Redazione
Il ghiaccio in Antartide potrebbe essere più vulnerabile al riscaldamento globale di quanto si credesse

Secondo il nuovo studio “A Large West Antarctic Ice Sheet Explains Early Neogene Sea-Level Amplitude”, pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori guidato  da  Jim Marschalek del Department of Earth Science and Engineering, Imperial College London, «Nei periodi più caldi il livello medio del mare era fino a 60 metri più alto dell’attuale, indicando che gran parte del ghiaccio antartico fosse sciolto. Quanto questo innalzamento marino fosse legato alla più grande e stabile Calotta Antartica Orientale (EAIS) o alla più piccola e dinamica Calotta Antartica Occidentale (WAIS) era ancora fortemente incerto».

Lo studio, al quale  hanno partecipato Luca Zurli e Matteo Perotti del dipartimento di scienze fisiche, della Terra e dell’ambiente dell’università  di Siena, Franco Talarico, professore associato di petrologia e petrografia dell’ateneo senese e profondo conoscitore della zona antartica, scomparso nel 2020, e altri ricercatori italiani, ha analizzato le dinamiche delle Calotte antartiche nel Miocene Inferiore e medio, circa 18-16 milioni di anni fa, quando si sono registrati intervalli sia più caldi che più freddi rispetto al presente.

Lo studio, che fa parte  del più ampio lavoro scientifico del gruppo di ricerca internazionale, all’interno dei progetti dell’International Ocean Discovery Program (IODP),  dimostra che «Nei periodi freddi del Miocene Inferiore e Medio la Calotta Antartica Occidentale esisteva già ed era più sviluppata del previsto, il che significa che il suo scioglimento ha fortemente contribuito all’innalzamento del livello marino».

Perotti e Zurli,  spiegano che «Per noi è un piacere aver dato il nostro contributo a questa importante ricerca ed aver fatto parte del team dell’International Ocean Discovery Program. Questo lavoro è di primaria importanza perché ha dimostrato che i dati geologici sono in accordo con i modelli, i quali riescono a cogliere fenomeni del passato, come il comportamento di sistemi complessi quali la Calotta Antartica Occidentale, aiutando a capire come l’Antartide possa rispondere ai cambiamenti globali nel breve e lungo periodo. Vorremmo dedicare questo risultato al Professor Franco Talarico, anche lui co-autore della pubblicazione, purtroppo scomparso un anno fa.  Il professor Talarico ha dedicato l’intera sua vita accademica alla ricerca antartica e con i suoi studi ha tracciato la strada da percorrere. L’augurio è di essere bravi a sufficienza per non disperderne le tracce».

All’università di Siena ricordano che «In passato si riteneva che la Calotta Occidentale fosse piccola e poco sviluppata prima dei 10 milioni di anni fa e che l’innalzamento marino registrato nei record geologici derivasse principalmente dallo scioglimento della Calotta Orientale. Tuttavia, le modellazioni delle calotte antartiche suggerivano che porzioni di Calotta   Orientale rimanessero presenti nei settori più interni dell’Antartide anche durante i periodi più caldi del passato, come l’optimum climatico del Miocene Medio (circa 16 milioni di anni fa)».

Per andare a scovare gli strati deposti nei periodi più caldi e più freddi del Miocene. il team di ricerca ha trivellato i sedimenti marini nel Mare di Ross in Antartide e «Lo studio di provenienza di questi sedimenti, applicando metodi geocronologici, petrografici e geochimici, ha rilevato la presenza di materiale trasportato dalla Calotta Occidentale molto al largo nel Mare di Ross, dimostrando che essa fosse ampiamente espansa nel Miocene Inferiore (circa 18 milioni di anni fa)».

Marschalek  ha evidenziato che «Le nostre osservazioni del passato aiutano a fornire previsioni su come la calotta glaciale dell’Antartico occidentale, che oggi è considerata particolarmente vulnerabile alla rapida perdita di massa di ghiaccio, risponderà in vari scenari futuri di riscaldamento».

Attualmente, la Calotta Occidentale dell’Antartide è ritenuta molto vulnerabile al sempre più veloce riscaldamento atmosferico ed oceanico e i ricercatori sottolineano che «Comprendere la sensibilità della Calotta Occidentale ai cambiamenti climatici del passato è importante per prevedere la risposta del ghiaccio antartico nel breve e nel lungo periodo se non verranno messe in atto le politiche di riduzione dei gas serra».

I risultati dello studio evidenziano anche che «Gli effetti del cambiamento climatico sulle calotte glaciali dell’Antartide persisteranno se non si intraprenderanno ora azioni significative per ridurre le emissioni di gas serra»

Una delle autrici dello studio, Tina van de Flierdt  dell’Imperial College London, aggiunge: «Mentre l’Antartide sta perdendo massa a un ritmo accelerato, l’aumento previsto del livello del mare entro la fine di questo secolo non è affatto vicino al livelli che sappiamo esistesse nel passato geologico quando le temperature erano di uno, due o tre gradi più calde. Quindi il passato è una finestra importante per dirci a cosa stiamo impegnando il pianeta con determinate quantità di riscaldamento. La buona notizia è che le grandi calotte glaciali sono relativamente lente nel rispondere ai cambiamenti ambientali, quindi potremmo ancora essere in grado di evitare gravi perdite di ghiaccio in molte aree. La cattiva notizia è che le aree basse della calotta glaciale hanno un “punto di non ritorno” e non abbiamo ancora compreso appieno dove si trovi questo punto di non ritorno. Mantenere il riscaldamento futuro al di sotto dei 2 gradi, e idealmente a 1,5 gradi, è l’obiettivo da raggiungere e richiede una riduzione delle emissioni del 50% entro il 2030».

La ricerca ha anche dimostrato che il West Antarctic Ice Sheet (WAIS) è fortemente  erosivo, il che significa che «Più area terrestre è scesa sotto il livello del mare, aumentando in modo permanente la sensibilità della calotta glaciale dell’Antartico occidentale alle mutevoli condizioni oceaniche».

Secondo il team di ricerca «E’ necessario un lavoro futuro per studiare in modo più dettagliato le parti basse e vulnerabili sia della più piccola calotta glaciale dell’Antartico occidentale che della più ampia calotta glaciale dell’Antartico orientale».

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