Domenica, 05 maggio 2024 - ore 17.55

Il punto di Rosario Amico Roxas: ‘Agguato all’Europa, ma chi ci guadagna?’

Pubblichiamo l’analisi di Rosario Amico Roxas dopo l’attacco terroristico alla redazione parigina della rivista “Charlie Hebdo”

| Scritto da Redazione
Il punto di Rosario Amico Roxas: ‘Agguato all’Europa, ma chi ci guadagna?’

Più che un atto terroristico al periodico satirico Charlie Hebdo di Parigi, si tratta di un attentato all’Europa intera, teso a dimostrare l’incontrollabilità delle azioni terroristiche, che possono colpire chi vogliono, quando vogliono e come vogliono. Sorge spontanea una domanda: «È questo il momento più idoneo per lanciarsi in vignette ironiche, che ledono i principi religiosi e nazionalistici di questi terroristi?». In Italia abbiamo avuto alcune forme di aggressione verbale indirizzate agli islamici in generale, ma dirette ai fondamentalisti in particolare. Ricordo Calderoli e la sua maglietta con le vignette contro il Corano, che gli valse la dimissione da ministro, stante la reazione in Libia, con parecchi morti, con la seguente motivazione: «Dimissioni per accertata stupidità». Fu ancora la Santanchè, quando non era nulla e non tollerava di non avere visibilità; fu allora che, pubblicamente, accusò Maometto di pedofilia, per questo gesto “eroico” il governo Berlusconi (e chi altri, sennò?) assegnò alla pitonessa una scorta con auto di rappresentanza. Poi ci fu quel battesimo in mondovisione dell’apostata Magdi Allam, il più grave errore diplomatico, teologico e morale di Benedetto XVI, che lo costrinse a recarsi in Turchia a pregare nella moschea più importante. È superfluo ricordare le amene passeggiate di Calderoli con un maiale al guinzaglio per rendere impura la zona dove era stata progettata una moschea.

Nessuno, però, interpreta il terrorismo o, almeno tenta di farlo. Eppure basterebbe saper rispondere a poche domande, eludendo la voglia aggressiva rimanendo, ben protetti, nella propria casa. Chi se la sente di rispondere concretamente e con un minimo di conoscenza alle elementari domande che potrebbero indicare una via risolutiva? Dobbiamo (o dovremmo) chiederci: «Qual è lo scopo dei terroristi? Quale strategia li ispira? Come contrastarli?».

Innanzitutto si deve prendere atto di avere di fronte una costellazione frazionata e non un soggetto monolitico, tant’è che ognuno dei gruppi tendenti al terrorismo appartiene a una delle tante deviazioni dell’Islam; le definizioni siamo noi stessi a fornirle, legittimando il terrorismo con l’attribuzione di una compattezza ideale, programmatica e operativa che non ha. Questa compattezza viene riconosciuta identificando nel terrorismo un nemico da abbattere con una dichiarazione di guerra totale. Ma le guerre si fanno in due e il terrorismo è, per definizione, unilaterale, non porta divise, non innalza bandiere, opera e agisce all’improvviso, vilmente, e colpisce nel mucchio con il solo scopo di seminare terrore. Il suo obiettivo non è “il nemico” da abbattere e combattere, ma il popolo-spettatore, vittima passiva, primo attore di una tragedia che non vuole recitare. La guerra globale al terrorismo dichiarata dall’America serve solo all’America stessa che può, così, incrementare il lucrosissimo circuito del commercio delle armi, e qui tocchiamo il tasto più importante.

Le azioni terroristiche sono destinate a incrementarsi, per diventare quello che aspiravano a essere: una minaccia diretta non alle nazioni, ma ai popoli. Per questo non può essere combattuto come si combattono le guerre vere, perché non si tratta di una guerra, mancando l’elemento primario che contraddistingue tutte le guerre, e cioè lo scontro frontale. La predicazione impotente dichiara che «occorre alzare la guardia, inasprire i controlli», trascurando che basta un coltellino per improvvisare una tragedia come quella dell’11 settembre. Blindare l’intero Occidente significherebbe accettare e riconoscere la vittoria del terrorismo. La sola via praticabile è quella della politica, della diplomazia e del dialogo e, finalmente con una decisa azione di disarmo delle bande di terroristi. Il terrorismo non ha una strategia perché non ha un modello di società da proporre, un’eventuale destabilizzazione dell’Occidente non gli servirebbe; nello stesso tempo è sbagliata la strategia occidentale con la convinzione che il suo modello di vita possa e debba essere imposto a livello planetario ed esportato con la forza. Il terrorismo si ribella a questa pretesa, mirando a terrorizzare, non a conquistare: il terrore è un mezzo, mentre il programma di conquista è un fine. L’idea di convertire il mondo intero all’Islam non è praticabile, a tale ipotesi nessuno potrebbe credere.

La guerra totale al terrorismo indossa, però, gli stessi panni del terrorismo, colpendo nel mucchio, evitando lo scontro, stimolando, così, quella reazione rappresentata dagli atti terroristici. Dalla guerra totale bisogna trasferirsi sul terreno della politica, della diplomazia e del dialogo, accettando, riconoscendo e rispettando le differenze sociali, culturali e antropologiche. Sono gli interessi delle lobby delle armi che conducono verso un mare in tempesta, che finirebbe con l’annientare tutte le parti contendenti. La terza domanda, su come contrastare i terroristi, non potrà mai avere una risposta definitiva, perché il solo modo possibile, oltre a un’adeguata diplomazia, è quello di non fornire più armi, ma ci si scontrerebbe con i potentati che producono armi. L’Italia, grazie alla partecipazione alle guerre volute da Bush e condivise da Berlusconi, è diventata la seconda nazione al mondo produttrice ed esportatrice di armi ed esplosivi. Negli USA la produzione e il commercio delle armi rappresenta il 35% del PIL, per cui nessun presidente oserebbe mettere un freno e un controllo sulle esportazioni. C’è poi una realtà ancora più inquietante, perché le realtà a sfondo terroristico non dispongono della liquidità necessaria all’acquisto delle armi, per cui pagano, attraverso triangolazioni, con pani di droga, colinvolgendo nell’affare anche le mafie che infestano l’intero pianeta. Le armi prodotte dall’America sono gestite dal Pentagono che autorizza la vendita e l’0esportazione, ma non può, certamente, ritrovarsi coinvolto in una baratto con la droga, così avviene il coinvolgimento con le mafie, che guadagnano due volte: con la compravendita delle armi e con la commercializzazione della droga.

L’Italia non è immune da tale realtà, anzi, è considerata una specie di “porto franco” da dove far partire le armi e dove far giungere la droga. Chi produce armi in Italia? Innanzitutto:

Finmeccanica: di proprietà del governo per il 35% e dei privati per il 65%. Possiede il 100% dell’Alenia Aerospazio SpA (aerei militari), il 100% dell’Alenia Difesa che a sua volta possiede il 100% della Divisione Otobreda (sistemi di armi), il 50% dell’Alenia Marconi (italo-britannica: armi teleguidate, sistemi elettronici di difesa) e il 47% della Elettronica SpA (italo-francese: sistemi elettronici di difesa), il 100% dell’Ansaldo, il 100% dell’Elsag (radar), il 50% dell’Agusta Westland (italo-britannica, elicotteri), il 50% dell’European Aircraft JV (italo-franco-inglese), il 25% della New Matra Bae Dynamics (britannico-francese, missili teleguidati). Le partecipate anche al 100% non appartengono a Finmeccanica, ma nella proporzione azionaria del 35%, con il 65% in mano a privati. Chi sono questi privati? Sappiamo benissimo che il possesso di una quota azionaria consistente permette di operare all’interno dell’azienda-madre e gestirne quota-parte della commercializzazione. E allora: FIAR SpA (sistemi elettronici di difesa), Fiat, che possiede il 100% dell’Alfa Romeo Avio SpA (motori aerei), il 100% della Fiat Avio SpA (motori aerei), il 100% della BPD Difesa e Spazio (munizioni), il 100% dell’Iveco SpA (veicoli armati), il 75% dell’Aermacchi (aerei militari e civili), Fincantieri SpA (navi da guerre, sottomarini), Beretta (pistole, fucili, munizioni). Sono, ovviamente, da escludere i produttori di aerei, elicotteri, motori di aero, perché le bande di terroristi non dispongono della manodopera necessaria al loro utilizzo, ma i produttori di armi d’assalto e di esplosivi stanno facendo affari d’oro; circolano anche mitragliatori di varie nazionalità, ma prodotte in Italia, a prezzi più contenuti e con facilitazioni nella loro manutenzione. Se un rigoroso controllo verificasse l’itinerario della produzione bellica, dalla messa in opera al collaudo e, infine,m all’esportazione, già sarebbe un bel passo avanti, che, però, concluderebbe ben poco, perché il grosso del commercio di armi ha il suo centro nevralgico negli USA e dentro i segreti ben custoditi del Pentagono.

Rosario Amico Roxas

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