Lunedì, 29 aprile 2024 - ore 12.15

Il punto di Rosario Amico Roxas. Gli attentati non sono una guerra!

Il nostro opinionista: «Si deve prendere atto di avere di fronte una costellazione frazionata e non un soggetto monolitico»

| Scritto da Redazione
Il punto di Rosario Amico Roxas. Gli attentati non sono una guerra!

Siamo in guerra? Certo che no! La guerra è un’altra cosa, per questo non possiamo affermare di essere in guerra. Le guerre si fanno in due e, pur nella loro brutalità, le guerre hanno una loro legge dell’onore, stravolta quanto vi pare, ma il fatto stesso di indossare una divisa per rendersi identificabile prevede un codice d’onore. Il terrorismo non è una guerra è, innanzitutto una viltà, perché compisce a tradimento e colpisce nel mucchio, senza guardare le vittime, che non sono “nemici”, ma popolazione da atterrire. Gli attentati sembrano proprio un’edizione riveduta e corrotta (corrotta!) degli attentati mafiosi, che castigano i resistenti che non pagano il pizzo o i magistrati che indagano e, spesso, scoprono i carnefici. Il terrorismo inalbera un’interpretazione religiosa, mentre le mafie esaltano la loro identità di “uomini d’onore”; ciò è paradossale e stravolge convincimenti radicati nelle coscienze. Quale senso dell’onore può vantare chi si nasconde e attende la vittima dietro l’angolo per colpire e scappare? Sì! Proprio scappare, come fanno i vili, pronti a giurare un’innocenza salvifica quando dovessero incappare nelle maglie della Giustizia. Così come paradossale identificare il proprio dio come “Il Misericordioso” e negare misericordia al gruppo preso di mira, anzi, accompagnare l’attentato con la frase «Allah akbar», «Solo dio è il più grande», attribuendo a dio stesso l’origine della strage. È la storia che si ripete: anche durante le crociate veniva affermato «Deus vult», «Dio lo vuole», oppure l’inglese «Dio salvi il re» e, ancor più grave, l’americano «Dio salvi l’America». Tutti a tirare dio per la giacchetta e collocarlo a disposizione della propria parte.

La vittoria di Lepanto, che vide il mare «rosseggiare di sangue», venne attribuita all’intercessione della Madonna e per due secoli quel 7 ottobre veniva ricordato come un evento voluto dalla Vergine Maria; solo due secoli dopo, una sorta di pudore convinse le gerarchie della Chiesa guerrafondaia a sostituire i festeggiamenti per la vittoria di Lepanto con la Madonna del Rosario, che invita alla preghiera.

Ora c’è il terrorismo che anticipa una guerra che nessuno dei contendenti vuole, preferendo, da entrambe le parti, azioni di violenza mimetizzate come “guerra preventiva”, cioè certezza di una guerra per scongiurare l’ipotesi di una guerra; in mezzo c’è il commercio delle armi, l’indebita appropriazione di materie prime, il contrabbando di petrolio contro armi o di pani di droga, sempre contro armi.

Dobbiamo però chiederci: «Qual è lo scopo dei terroristi? Quale strategia li ispira?». Innanzitutto si deve prendere atto di avere di fronte una costellazione frazionata e non un soggetto monolitico; le definizioni siamo noi stessi a fornirle, legittimando il terrorismo con l’attribuzione di una compattezza ideale, programmatica e operativa che non ha. Questa compattezza viene riconosciuta identificando nel terrorismo un nemico da abbattere con una dichiarazione di guerra totale. Ma le guerre si fanno in due e il terrorismo è, per definizione, unilaterale: non porta divise, non innalza bandiere, opera e agisce all’improvviso, vilmente, e colpisce nel mucchio con il solo scopo di seminare terrore. Il suo obiettivo non è “il nemico” da abbattere e combattere, ma il popolo-spettatore, vittima passiva, primo attore di una tragedia che non vuole recitare. La guerra globale al terrorismo che l’Occidente vorrebbe dichiarare serve solamente alla parte peggiore di questo Occidente, malato e avido, in quanto alimenta circuiti di denaro per entrambe le parti. Blindare l’intero Occidente significherebbe accettare e riconoscere la vittoria del terrorismo.

Il terrorismo non ha una strategia perché non ha un modello di società da proporre, un’eventuale destabilizzazione dell’Occidente non gli servirebbe, perché non avrebbe più i fornitori di armi; nello stesso tempo è sbagliata la strategia occidentale con la convinzione che il suo modello di vita possa e debba essere imposto a livello planetario. Il terrorismo si ribella a questa pretesa, mirando a terrorizzare, non a conquistare: il terrore è un mezzo, mentre il programma di conquista è un fine. L’idea di convertire il mondo intero all’Islam non è praticabile, a tale ipotesi nessuno potrebbe credere.

Così la guerra totale al terrorismo veste gli stessi panni del terrorismo, colpendo nel mucchio, con bombardamenti alla cieca, evitando lo scontro, ma seminando intorno vittime innocenti e incolpevoli, che cercano una via di fuga verso luoghi meno pericolosi, ma c’è una parte, esigua ma rumorosa, che vorrebbe respingerli, in quanto identificano tali vittime con gli autori delle stragi terroristiche, generando un’incredibile confusione che favorisce i traffici che alimentano gli scontri.

Rosario Amico Roxas

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