Lunedì, 29 aprile 2024 - ore 05.10

Il punto di Rosario Amico Roxas. Il terrorismo uccide ancora

«La delocalizzazione è l’arroganza dell’arricchimento sulla pelle dei più poveri tra i poveri del pianeta»

| Scritto da Redazione
Il punto di Rosario Amico Roxas. Il terrorismo uccide ancora

Il terrorismo uccide ancora, ma non è il solo a uccidere alla cieca: ben altre stragi meriterebbero una severa condanna, ma si preferisce tacere per dimenticare, perché l’ordine di servizio alla stampa mondiale impone di evidenziare le stragi, genericamente attribuite al mondo islamico. Ricordiamo il titolo vergognoso dell’articolo di Belpietro che, incitando all’odio generalizzato, titolava: «Bastardi islamici». Ma anche di questo ci siamo dimenticati. Ora il terrorismo uccide nove italiani in Bangladesh; il motivo della loro presenza in quella regione viene oscurata dalla violenza dell’attentato, del quale, per un falso pudore che stimola a mentire, si preferisce non parlare.

Non c’è condanna sufficiente per identificare la bruttura di quella aggressione, mista di viltà, brutalità, il tutto nascosto da pretese religiose. Così ricordo a me stesso e a quanti hanno già dimenticato, la strage del 24 aprile 2013, quando un edificio commerciale di otto piani, crollò a Savar, un sub-distretto nella Grande Area di Dacca, capitale del Bangladesh. I morti furono 1.129, 2.515 i feriti tra i quali numerosi gravissimi, dei quali non si è saputo più nulla. Nell’edificio fatiscente, costruito per ospitare solo negozi e uffici, erano presenti fabbriche manufatturiere, in quattro piani abusivi, privi dei dovuti controlli di sicurezza, ma piene di macchinari pesanti che le strutture dell’edificio abusivo non potevano sopportare. Si tratta del centro di sfruttamento del lavoro più indegno dell’intero pianeta; il salario massimo riconosciuto e di due dollari al giorno, mentre per bambini e donne si scende anche al disotto di un dollaro. La delocalizzazione in posti del genere non è altro che l’arroganza dell’arricchimento sulla pelle dei più poveri tra i poveri del pianeta. Quando accadde quel disastro, fu coinvolta anche un’importante azienda italiana; il marchio apparve in tutti i telegiornali. Negarono tutto, ma non la realtà. Una loro “polo”, con marchio Benetton, si vende a oltre 100 dollari, ma nel Bangladesh costa 4,5 dollari, tutto compreso. Il lavoro avviene a squadre di cinque o sei operai, che lavorano a regime; per quel misero salario devono produrre oltre 150 capi al giorno, per cui si ammazzano la vita per raggiungere o superare quel tetto, ma non per aspirare a un premio di produzione, bensì per maturare la certezza di poter tornare a lavorare la settimana successiva. I margini di utili sono vergognosi, perché si concretizza con un circuito articolato che parte dalla lana del cachemire, che viene ottenuta da greggi concessi in comodato. L’azienda possiede il gregge (non inferiore a 10.000 capi e vuole solamente la lana, in cambio cede gli agnelli alla tribù che si occupa di quel gregge). Viene sfruttata anche la pelle, con una prima conciatura, che viene esportata a Islamabad, dove fatiscenti fabbriche producono palloni di cuoio da calcio, considerati i migliori del mondo. Ci sono poi i ritagli del pellame di scarto, che viene triturato finemente e utilizzato come concime per le valli dove pascolano le pecore da lana. Si tratta di una ricchezza enorme che genera, per le popolazioni solamente il diritto a sopravvivere.

A godere dei benefici sono gli imprenditori che sfruttano quella manodopera e pretendono anche di essere considerati “benefattori”. Perché nella strage di Dacca è stato scelto proprio “quel” ristorante dove erano soliti riunirsi gli imprenditori che hanno delocalizzato la loro produzione?

Rosario Amico Roxas

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