Domenica, 05 maggio 2024 - ore 19.46

Il punto di Rosario Amico Roxas. Michele Ferrero, alfiere del capitalismo sociale

Trasmettiamo l’analisi di Rosario Amico Roxas

| Scritto da Redazione
Il punto di Rosario Amico Roxas. Michele Ferrero, alfiere del capitalismo sociale

La morte di Michele Ferrero ci riporta con la memoria ai tempi dei grandi imprenditori che “grandi” non si sentivano e da “grandi” non si comportavano. Conoscevano i limiti che appartengono a tutte le aziende e ne esorcizzavano gli effetti negativi, con il quotidiano lavoro e la collaborazione efficace delle maestranze. Con Michele Ferrero finisce l’epoca e l’epopea di un capitalismo sociale che è riuscito a coniugare lo sviluppo aziendale con il progresso sociale del mondo del lavoro deputato alla produzione.

Finita quell’epoca eroica, perché meravigliarsi se oggi capitalisti, imprenditori, manager, finanzieri non sono più quelli di una volta? In realtà, i vari Tanzi, Cragnotti, Fiorani, Consorte, Ricucci, con l’esempio di Berlusconi, da Presidente del Consiglio, sono il frutto di una logica sistemica. Rappresentano un capitalismo in declino, entrato nella sua terza età, molto prossimo alla fase terminale, perché nessuno di loro ha saputo o voluto realizzare una progettazione rivolta al futuro, guardando esclusivamente a un presente sempre più aleatorio ed evanescente.

Ferrero ha rappresentato quel capitalismo eroico che ha saputo ricostruire l’Italia, uscita distrutta da una guerra che aveva lasciato spazi vuoti in tutti i campi, dalla produzione al lavoro, dalla imprenditoria alla programmazione. L’attuale forma di capitalismo “malato” nutre e si nutre di un sistema politico bloccato, dove destra e sinistra si confrontano stancamente solo su tasse e spesa sociale… Infatti, se c’è un fantasma che si aggira oggi per l’Europa, per parafrasare Marx, è sicuramente quello della democrazia. Uno spettro che non spaventa nessuno, anzi annoia, e soprattutto viene sistematicamente rimosso.

Facciamo subito un esempio. Se la democrazia è la «macchina che fabbrica cittadini», nel senso che il voto rappresenta l’esercizio di una libera scelta attraverso cui l’elettore può «cambiare le cose», allora la democrazia italiana non «fabbrica» più cittadini dal 1994, anno dell’ingresso (in salita o in discesa non cambia nulla!) di Berlusconi, cosa che sembrò agitare le acque, fino a quando divenne fin troppo palese la gerarchia dei provvedimenti dell’esecutivo che privilegiavano gli interessi personali del Presidente del Consiglio che non la programmazione del bene comune.

Dopo di che, il sistema dei partiti, diviso in due blocchi, sprofondò in una specie di limbo, amorfo, privo di ogni progettualità; ci è voluto il crollo di credibilità di Berlusconi per riportare l’interesse della politica nell’alveo dei programmi, anche se, ancora non si registra il riconoscimento di quel fallimento politico, imprenditoriale e morale a causa di una resistenza all’evidenza che vorrebbe non arrendersi per salvare ciò che resta delle aziende già in condizione prefallimentare. Così il capitalismo ha distrutto se stesso, con conseguenze verso l’intera nazione. La pretesa di esercitare la finanza creativa, con speculazioni finanziarie al posto di investimenti che generano posti di lavoro e promuovono la circolazione di denaro, ha dimostrato per intero il suo fallimento, anche perché non sembra sia rimasto spazio operativo per reiterare ancora sanatorie, condoni tombali e scudi fiscali, come accaduto in venti anni di (s)governo Berlusconi.

Si evidenzia così la contraddizione di fondo che ha generato l’attuale crisi economica; da una parte emerge la resistenza di chi, come Ferrero, ha saputo interpretare la natura creativa e sanguigna del capitalismo, contrastata dalla tendenza di un capitalismo manageriale, speculativo e finanziario, che non produce, ma attende utili parassitari senza i rischi delle imprese produttive, promosso, sollecitato, protetto dai governi Berlusconi/Tremonti.

Tutto ciò ha segnato la nascita e il proliferare di manager di portafoglio, la cui funzione è stata assolta da venditori istituzionali e intermediari finanziari (fondi di investimenti, società finanziarie ecc.), ma anche da finanzieri e imprenditori privi di scrupoli, ai quali si è aggiunta la corruzione generalizzata, favorita dal liberalismo che ha neutralizzato il diritto/dovere dello Stato di esercitare i doverosi controlli, imponendo una forma di libertà che è esondata nella tolleranza repressiva, ovvero il momento nel quale la libertà va a coincidere col permissivismo.

Michele Ferrero ha rappresentato la bandiera e il carisma imprenditoriale, alternativo all’analisi della redditività finanziaria con l’esonero dei processi produttivi portarti avanti dal liberismo speculativo.

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