Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 21.53

Pizzetti L. (PD) Il voto amministrativo è uno spartiaque politico.

| Scritto da Redazione
Pizzetti L. (PD) Il voto amministrativo è uno spartiaque politico.

Il voto amministrativo rappresenta davvero uno spartiacque politico.
La destra comincia a perdere, il centrosinistra ritorna a vincere.
Il Partito Democratico esce dalla percezione amletica e si consolida. Mette radici.
Eloquente in proposito è il dato milanese. Il PD ottiene un ottimo risultato. Pur in un contesto debolmente espansivo del centrosinistra e con un  candidato sindaco di valore ma altro da sé.
Il PD, quasi ovunque, viene riconosciuto come pilastro centrale dell’Alternativa. Federatore del centrosinistra di governo. Altro che condizionamento delle ali estreme. Ali elettoralmente tarpate. Non siamo ancora alla chiara inversione di tendenza dei comportamenti elettorali in un sistema bipolare. Caso mai assistiamo all’ingresso nell’area del non voto di un parte dell’elettorato di centrodestra, nel mentre una parte di quello di centrosinistra ne fuoriesce.
È l’indizio di uno sgretolamento del blocco socio-politico della destra. Come l’apertura, dopo molto tempo, della diga sul Mississippi per salvare New Orleans. Una potenziale separazione tra corpo sociale e rappresentanza politica. Non ancora un divorzio. E’ intaccato il populismo incarnato nell’illusionismo del leader. Capace di solleticare e rappresentare, al tempo stesso, gli aneliti di un neoreganismo casareccio  di massa. Di ciò è testimonianza, più che il distacco tra Pisapia e Moratti, il dimezzamento delle preferenze al leader della destra.
Potremmo dire che molti elettori hanno lasciato il certo per l’incerto  Non si affidano più a Berlusconi ma non hanno abbandonato il berlusconismo. Possono porsi in ascolto di un nuovo messaggio. Prima ancora che in attesa di un nuovo messaggero. Noi dobbiamo proporre questo messaggio. Un’evocazione, non una narrazione. Una prospettiva inclusiva. L’Alternativa di centrosinistra, non di sinistra.
Non facciamo analisi interessate. Il vento del nord ha cessato di soffiare forte nelle vele del centrodestra però ancora non soffia nelle nostre. Dobbiamo posizionarci per intercettare quel vento, indicando un’altra rotta agl’italiani.
La “questione settentrionale” è ancora tutta lì. Anzi, il voto ci sollecita a rimetterla in agenda. Non in nome del nordismo. Per il futuro unitario dell’Italia.
Perché nello spaesamento della destra ha pesato la crisi. Ben più dell’estremismo del premier, a tutela esasperata del sistema d’interessi sottostante (non solo suo). Quella economica e sociale generata dai processi globali. Prima di quella etica e morale indotta dalla degenerazione  berlusconiana.
Il patto tra destra e ceti produttivi è rimasto inevaso. La crisi morde ma le risposte sono mancate. Si è alimentata l’antipolitica come offuscamento del reale. Nel gioco di specchi tra Bossi e Berlusconi i ceti produttivi cominciano a non rispecchiarsi più.
Nella divisione del lavoro tra i due soggetti della destra, la Lega rischia di pagare il prezzo maggiore. Perché proprio la Lega era garante del patto dei produttori dentro la comunità e in contesa con lo Stato. In quel contesto del nord che fa del piccolo imprenditore e del lavoratore dipendente un tutt’uno. Contro le tasse. Contro l’immigrato. Contro l’eccesso di regole. Contro Roma mangiona e ladrona, che però ha ammaliato la classe dirigente leghista. Un solo soggetto sociale impaurito e rivendicativo. Il Federalismo era il suggello del patto. L’Everest della padania. Garantito non da Berlusconi ma da Bossi e Tremonti. Il certificato dell’humus identitario. Dell’idem sentire per dirla con linguaggio bossiano. Quel Federalismo tradito, per ultimo, dalla richiesta di spostare Ministeri al nord. Ministeri cui debbono essere sottratte funzioni, non spostati di sede. Romano o milanese sempre centralismo sarebbe.
La crisi ha messo a nudo prima la fragilità e poi l’inconsistenza del patto. La coperta federalista, così com’è stata distesa dalla Lega, non solo non copre ma addirittura risalta la debolezza della risposta alla crisi data dalla destra. Dallo sfondamento culturale si sta passando al ripiegamento politico. Il produttore padano comincia a non fidarsi di un Bossi che tratta  con Berlusconi il patto di potere e non garantisce il patto tra produttori stipulato sul velleitario “ricchi e padroni in casa nostra”. Patti entrambi scellerati, ma il secondo ormai surclassato dal primo.
Perciò il re è nudo.
Da qui lo smottamento elettorale. Che può tramutarsi in difficoltà strategica. In smarrimento di prospettiva. Con dentro un rischio e un’opportunità. Il rischio del ritorno all’identità secessionista originaria. L’opportunità di trasformarsi in un Partito nazionale del cambiamento. Qualunque sarà la strada, il percorso di Lega e PdL divergerà. Anche a Cremona. Ecco perché è fondata la nostra sfida per il cambiamento, nel lento appannarsi del leghismo berlusconiano.
La “questione settentrionale” è più viva che mai. Il PD dovrà saper parlare un linguaggio di verità e di prospettiva. Sulla crisi. Sul lavoro. Sul fisco. Sull’impresa. Su diritti e doveri di cittadinanza. Sulle urgenti questioni sociali. Sull’immigrazione regolata per battere illegalità e criminalità. Sul risanamento della finanza pubblica. Abbiamo cominciato a farlo seriamente. Perciò cominciamo ad essere presi maggiormente in considerazione. Forse noi stessi dovremmo prenderci maggiormente in considerazione. Nella consapevolezza del ruolo che abbiamo da svolgere.
Perché il voto ci dice altre cose.
L’exploit dei grillini, in Emilia Romagna soprattutto, unitamente ad altri segnali presenti da tempo, segnala la necessità di ripensare le idee e i processi di governo consolidati nel tempo. Dunque logori e suscettibili di reazioni di rigetto. Milano e Bologna, due realtà opposte ma entrambe sottoposte al vento del cambiamento.
Un cambiamento da affermare e guidare. Come il voto sollecita. Per non farsi travolgere.
Quello che, col senno di allora non solo con quello di oggi, si sarebbe dovuto fare a Cremona due anni fa, risparmiando al territorio il danno delle attuali Amministrazioni.
Le caratteristiche dei candidati sindaci dimostrano che il rinnovamento centra ben poco con la rottamazione. Che ancor prima dell’anagrafe occorre guardare alla qualità del progetto messo in campo. Se è capace di evocare speranza e opportunità. Di cambiamento, appunto. Credibile. Per accompagnare il rinnovamento delle persone. Senza rotture. Come atto fisiologicamente normale. Ci sarà ben una ragione, che inizia a prevalere, se al linguaggio urlato e dirompente di Berlusconi,  la gran parte degli italiani preferisce quello rigoroso e responsabile di Napolitano.
Infine, Cremona. Qui  il voto ha riservato felici apporti con la bella vittoria a Rivolta d’Adda e la conferma in diversi altri Comuni, ma anche amare sorprese per la mancata vittoria a Soresina e le sconfitte a Pizzighettone e Spino d’Adda. La perdita di Pizzighettone e Spino non è da sottovalutare, soprattutto in ragione delle funzioni rilevanti delle due realtà. L’una sul fronte dello sviluppo infrastrutturale e produttivo della provincia, l’altra per il ruolo sull’asse Paullese. Occorrerà analizzare bene le ragioni di queste sconfitte e della mancata vittoria. Per affrontare con successo gli appuntamenti elettorali amministrativi del prossimo anno. Progetti, candidature, alleanze, “civismo”, direzione politica si tengono. Separarli aiuta a perdere, non a vincere.


Luciano Pizzetti
Deputato, Direzione Nazionale PD

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