Lunedì, 02 dicembre 2024 - ore 14.55

L’UE e le lingue minoritarie, da un passato difficile a un futuro promettente

L’UE e le lingue minoritarie, da un passato difficile a un futuro promettente

| Scritto da Redazione
L’UE e le lingue minoritarie, da un passato difficile a un futuro promettente

Il rapporto del continente europeo con le lingue dal punto di vista storico è complicato. In questo territorio sono fiorite una moltitudine di lingue che compongono una rete di eterogeneità linguistiche, dalla quale si sprigionano culture, espressioni artistiche e stili di vita differenti. Tuttavia alcuni secoli fa l’Europa, con lo scettro del colonialismo in mano, ha devastato culture e lingue d’oltremare con il pretesto di civilizzare i popoli indigeni, ma anche all’interno dei propri confini, in nome della centralizzazione e sotto il giogo di svariate dittature. In breve, dopo anni passati a coltivare un paesaggio linguistico incredibilmente ricco, l’Europa ha iniziato non solo ad annientare gran parte della sua identità linguistica, ma anche a mutilare le culture e le lingue indigene ovunque sia approdata.

Solo pochi decenni fa, la società europea ha iniziato a prendere coscienza di questo problema su vasta scala. Mentre centinaia di lingue agonizzavano e molte altre morivano, diverse associazioni e istituzioni europee iniziarono a denunciare la situazione e ad attuare misure contro lo sterminio linguistico. Queste misure, per citare alcuni esempi, spaziavano da umili scuole di lingue clandestine a leggi per garantire le traduzioni verso le lingue regionali nell’amministrazione.

Il Consiglio d’Europa, nel 1992, ha introdotto la Carta europea delle lingue minoritarie o regionali, con la quale i paesi membri vengono sollecitati a riconoscere e promuovere le proprie lingue regionali o minoritarie. Sebbene la maggior parte dei Paesi abbia firmato e ratificato la Carta, alcuni Stati dall’immensa ricchezza linguistica come Francia, Italia e Russia non l’hanno ancora fatto. Per citarne uno, in Francia, l’unica lingua ufficiale è il francese e le sue lingue regionali ricevono solo aiuti privati, come quella delle scuole Diwan che promuovono la lingua bretone e quella dell’attivismo basco che cerca di difendere i diritti di coloro che parlano quotidianamente l’euskera, nel sud dell’Aquitania. Il caso dell’euskera è l’esempio perfetto: nella Comunità autonoma basca e in parte della Navarra, sotto il dominio giuridico spagnolo, la lingua sopracitata è co-ufficiale e riceve aiuti per la sua promozione, che ne incoraggiano molto l’attivismo; mentre, nella zona amministrativa francese, il sostegno che il basco riceve si rivela mero attivismo a livello privato, basato su un debole accenno di piccole iniziative destinate a non farcela.

Anche l’Unione Europea ha fornito il suo piccolo contributo. Per quanto sia più pratico gestire l’Unione con una sola lingua o con un piccolo numero di esse, a differenza del resto delle superpotenze, l’UE non è un solo Paese, ma sono 27 Stati «uniti nella diversità», secondo il famoso motto adottato nell’anno 2000. Questa pluralità è la caratteristica fondamentale dell’Europa e, poiché è stata riconosciuta dall’Unione, si sono realizzate alcune attività per promuovere le lingue regionali e minoritarie del territorio. Ovviamente, il Comitato europeo delle regioni offre servizi di traduzione e interpretariato per le lingue regionali e minoritarie, e sono stati avviati progetti come Lingua, Leonardo o Erasmus che contribuiscono all’apprendimento delle lingue in generale, da cui anche le lingue minoritarie possono trarre vantaggio. Tralasciando alcune iniziative specifiche, l’UE utilizza principalmente le sue lingue ufficiali per funzionare, con una prevalenza generale di francese, inglese e tedesco, che sono pratiche per l’Unione, ma non contribuiscono al salvataggio delle lingue non egemoniche.

Poiché la competenza sulle lingue regionali o minoritarie spetta principalmente agli Stati, l’Unione europea non è l’attore a cui ci si dovrebbe preferibilmente appellare per difenderle. Ciononostante, per molte lingue sarebbe un sollievo se le istituzioni si impegnassero maggiormente, partendo da iniziative semplici che non richiedono grandi esborsi, ad esempio traducendo le pagine web rivolte ai cittadini e aiutando la promozione e l’apprendimento di queste lingue. In effetti, per promuoverne una non ci vuole molto: come ha affermato Carmen Calvo, «un concerto rock in spagnolo aiuta a rappresentare la lingua spagnola ancora più dell’Istituto Cervantes», e questa frase è applicabile a qualsiasi lingua. In breve, sarebbe molto vantaggioso per l’UE esercitare maggiore pressione sugli Stati membri, affinché le lingue in pericolo di estinzione non siano le prossime nella lista nera di quelle che l’Europa ha distrutto o abbandonato.

Il problema delle lingue minoritarie non è solo europeo, ma globale, ed è ancora più grave nei paesi in via di sviluppo e sottosviluppati, dove le lingue sono generalmente relegate in secondo piano di fronte a problemi più urgenti. Per questo motivo, migliaia di lingue e culture scompaiono senza essere ascoltate e senza che i propri parlanti siano consapevoli del problema. La sensibilizzazione a livello globale è ancora un sogno lontano, ma l’Europa, che conosce le conseguenze e i rischi di lasciare morire queste lingue, potrebbe iniziare dando l’esempio in termini di recupero delle comunità socio-linguistiche minoritarie.

Nel frattempo, sul nostro pianeta sempre più globalizzato, situazioni di diglossia stanno guadagnando terreno a livello europeo e mondiale, e le previsioni non sono affatto promettenti. Tuttavia, le politiche attuate in alcune regioni e stati favoriscono la diversità che l’Unione Europea predica e, anche se molto lentamente, l’attivismo e la consapevolezza sociale iniziano a prendere il via giorno dopo giorno. È chiaro che non saremo in grado di salvare tutte le lingue, ma ciò non significa che dovremo gettare la spugna e finire per accontentarci della neolingua di Orwell. La diversità linguistica che ha dato origine alle nostre culture è uno dei più grandi tesori d’Europa, e dobbiamo agire di conseguenza, per le nostre culture e per tutte quelle che arriveranno in tempo per seguirne l’esempio.

«Uno dei paradossi del mondo globalizzato è la resistenza e la rinascita delle piccole lingue del mondo, la solidarietà che va dall’Irlanda all’Estonia, dalle Isole Faroe alle Asturie e dal Galles ai Paesi Baschi».

(Irene Barañano, Europeans United for Humanity, via Eurobull cc by nd)

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