Sono figlio di un ragazzo del ’99 (così chiamarono i ragazzi- non ancora diciottenni- chiamati a combattere nella grande guerra ).
Quella generazione dovette sopportare, ancora imberbe, l’incubo della chiamata alle armi e molti non ebbero nemmeno il tempo di rendersi conto della tragedia alla quale erano chiamati a partecipare.
A noi spetta il dovere di ricordare con tanto rispetto e ammirazione , chi ha dovuto soffrire per una causa ,tanto spesso enfatizzata in passato, quanto poco considerata nel presente, almeno da una certa “cultura” di “seconda mano”.
Mio padre non mi ha mai, dico mai, riferito nulla delle sue vicissitudini.
Solo dopo anni ho capito tutto quello che mi avrebbe voluto dire, ma , penso, non ne ha mai avuto il coraggio o l’opportunità.
Nell’unica foto che mi ha lasciato si vede un giovanetto che di militare ha solo le mostrine del corpo di appartenenza.
In seguito nel lontano 1969 , mio padre mi chiese se potevo accompagnarlo a Redipuglia( "sredij polije" ovvero terra di mezzo"): cosa che feci con grande piacere e rispettoso interesse.
Durante la visita mi tenni in disparte con discrezione e rispetto.
Mio padre non disse nulla né prima né dopo la visita.
Si allontanò in lacrime e risalì in auto con i segni di una profonda commozione.
Io non dimenticherò mai quel giorno di luglio del lontano 1969.
La ricorrenza del IV novembre impone ancora rispetto per i nostri padri che vennero chiamati a dare corpo alla idea di una Italia vera , unita e degna di essere rappresentata nel consesso delle nazioni civili.
Il sacrificio di quelle generazioni non potrà mai essere dimenticato.
Cordialità e buon lavoro.
Mario Superti
(cremona)
2013-10-28