Giovedì, 16 maggio 2024 - ore 19.51

L’organizzazione sindacale e il nuovo ruolo del sindacalismo.

| Scritto da Redazione
L’organizzazione sindacale e il nuovo ruolo del sindacalismo.

L’organizzazione capillare del sindacalismo, chiaramente e dichiaratamente sorto su basi politiche, sconvolse la progettualità ecclesiastica, basata sulla reciprocità degli interessi".

I sindacati svolsero un ruolo di contrapposizione ai poteri dello Stato e ai poteri degli imprenditori, acuendo la lotta di classe.
Di fronte alle resistenza degli imprenditori e di larga parte dei poteri dello Stato, la strada seguita dai sindacati portò a pochi risultati a favore delle classi più deboli, con la conseguenza, inoltre,  di interrompere le concertazioni tra le parti, sostituite dalle trattative contrapposte che sempre più spesso si concludevano con scioperi, che era rimasto l’unico mezzo per ottenere il riconoscimento dei diritti spettanti alla classe dei lavoratori. Anche la Chiesa cominciò a prendere le distanze da questo tipo di associazionismo, che non era più corporativo-cristiano e nemmeno cooperativistico; al contrario si riproponeva lo scontro del capitale con il lavoro, senza cercare di realizzare la sinergia operativa che aveva ispirato lo sviluppo del pensiero sociale della Chiesa.
Lo scontro tra capitale e lavoro oltre ad essere uno scontro sociale doveva diventare anche uno scontro politico; fu il fallimento della dottrina marxista, perché lo scontro sociale non riuscì a trasformarsi in scontro politico, al contrario diventò scontro economico, un terreno nel quale la dottrina socialista era destinata a non sopravvivere.
Gli anni della guerra fredda furono soltanto un periodo preparatorio allo scontro finale e definitivo; la crisi delle ideologie spostò l’attenzione sulle culture, il mancato scontro politico si concretizzò nello scontro economico.
Il crollo del comunismo in Russia, identificato con l’abbattimento del muro di Berlino, non fu una vittoria della democrazia sul comunismo come ideologia, fu la vittoria del capitalismo sul socialismo come sistema economico. Prevalse l’economia capitalistica, non perché migliore di quella statalistica, ma perché prometteva una maggiore libertà, a cominciare dall’economia di mercato. Ci si renderà conto successivamente che il capitalismo, crescendo su se stesso, avrebbe finito con il creare tutta una serie di forti monopoli, che avrebbero preso in mano l’economia nazionale prima e internazionale dopo.
La fine del comunismo collettivista, con tutti i suoi torti, promosse il capitalismo individualista, con torti ancora maggiori, perché capace di infiltrarsi nei gangli del tessuto sociale planetario e corroderne i principi di solidarietà, sostituendo la “forza della ragione” con la “ragione della forza” a favore di una sparuta, ma forte, minoranza contro una debole e fragile maggioranza.
Con l’affermarsi del capitalismo si affermava, parallelamente, la legge del più forte, prima all’interno di una nazione, quindi all’esterno verso le nazioni in via di sviluppo o sottosviluppate. Con il capitalismo le fasce più deboli della popolazione mondiale saranno condannate a dilatare la propria povertà, mentre la ricchezza, in mano a pochi oligarchi, si impadronirà dei beni dei popoli più deboli e accrescerà a dismisura l’ordine di grandezza. L’Occidente ha svolto questo ruolo selettivo tra nazioni ricche e nazioni povere.
Per primeggiare nel palcoscenico del pianeta, occorreva, però, un antagonista da sottomettere, così l’asse di spostò da Est e Ovest del mondo a Nord e Sud del mondo; il Nord opulento, tecnologicamente avanzatissimo, che manteneva un tenore di vita di gran lunga al di sopra delle proprie possibilità, ma che costituiva appena il 20% della popolazione mondiale, e il Sud costituito dai popoli emergenti, dalle nazioni in via di sviluppo e dalle nazioni sottosviluppate, che costituivano il restante 80% della popolazione mondiale. Il Nord del mondo, per mantenere il proprio tenore di vita, necessitava delle materie prime che non aveva, ma che possedevano le nazioni del Sud del mondo pur non possedendo le tecnologie per il loro sfruttamento, così, con la forza sterminata che possedeva, l’Occidente si appropriava di quelle materie prime lasciando che le popolazioni vivessero al di sotto della soglia della povertà, mancando anche dell’indispensabile per sopravvivere.
Ancora oggi oltre 3 milioni di bambini muoiono di fame ogni anno, oltre il 50% della popolazione infantile di quell’80% dei popoli del Sud del mondo.
Ma anche all’interno delle società capitalistiche è fortemente presente il divario tra popolazione ricca (sempre percentualmente molto modesta) o comunque che riesce a vivere con il proprio lavoro, e popolazione alla soglia della povertà, fino ad arrivare ad una larga fetta della popolazione che vive al di sotto della soglia della povertà, e questo accade anche nella mitica America, dove le grandi ricchezze sono concentrate nelle mani di gruppi multinazionali, che godono dell’appoggio della politica e delle strutture dello Stato, che, peraltro, contribuiscono a manipolare.

Il sindacalismo ha mancato nella progettualità di un rinnovamento strutturale, fermandosi alla lotta all’interno delle singole aziende, per rivendicazioni salariali, senza cercare di smantellare le strutture esistenti che da sempre hanno basato la loro politica sulla creazione di plus prodotti, non retribuiti, che perfezionano lo sfruttamento sulla pelle della classe operaia e impiegatizia.

Oggi i sindacati sono più impegnati ad amministrare se stessi che ha cercare  di migliorare dall’interno  le condizioni operative, che non possono che essere impostate su una rinnovata interazione  all’ìnterno delle aziende, con la partecipazione concreta di tutti gli interessati  alla gestione aziendale, ai problemi di sicurezza sul posto di lavoro, nonché alla gestione generale dell’azienda medesima.

Il nuovo ruolo del sindacalismo del 3° millennio dovrà essere quello del notaio che regolamenta in equità i rapporti di collaborazione tra la proprietà dei mezzi di produzione e il mondo del lavoro, sia manuale che impiegatizio, eliminando le sacche di sfruttamento per riconoscere a tutti il giusto compenso per il lavoro realizzato.

Fin quando la classe operaia non prenderà coscienza di essere esclusiva proprietaria di se stessa e di possedere il proprio patrimonio nella potenzialità del lavoro, non potrà esserci sviluppo concreto nè potrà esserci progettazione futura; ma questa presa di coscienza si scontra frontalmente con l’attuale sindacalismo che non vuole cedere il proprio ruolo di “proprietaria” delle masse di lavoratori, da amministrare anche nelle cenette intime con i massimi esponenti della controparte !

Il capitale-denaro e il capitale-lavoro hanno un destino comune, serve solamente  equilibrare adeguatamente il rapporto, con conseguente reciprocità di dignità.

L'uomo-capitalista e l'uomo-lavoratore hanno il  comune denominatore  “uomo” che li assimila, che però vengono tenuti separati da interessi corporativi che nulla hanno a che vedere con le reali esigenze delle parti.

La finanza creativa inventata dai governi liberisti di stampo berlusconiano, unitamente alla programmazione liberista, fatta per dividere e mai per unire, hanno fornito tutti i mezzi possibili alla finanza improduttiva (condoni, sanatorie tombali, scudo fiscale), mortificando il lavoro con la precarietà.

Ha generato una ignobile "asta pubblica" del lavoro, ma al ribasso, per sfruttare ulteriormente lo stato di necessità, che impone e obbliga di accettare le condizioni più vessatorie, pur di poter lavorare.

La collaborazione tra le classi non deve restare nel limbo delle intenzioni  o delle ipotesi astratte, ma deve diventare la meta da perseguire: l'umanesimo del lavoro.

La Democrazia   trova  nella società civile e democratica la fonte della sua convinzione che il lavoro costituisce una fondamentale dimensione dell'esistenza umana sulla terra. Nel nostro tempo diventa sempre più rilevante il ruolo del lavoro umano, come fattore produttivo delle ricchezze immateriali e materiali; diventa, inoltre, evidente come il lavoro di un uomo si intrecci naturalmente con quello di altri uomini. Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno. Il lavoro è tanto più fecondo e produttivo, quanto più l'uomo è capace di conoscere le potenzialità produttive della terra e di leggere in profondità i bisogni dell'altro uomo, per il quale il lavoro è fatto.
Nel progetto della Democrazia    ogni uomo è chiamato al suo sviluppo, e, coerentemente lo sviluppo umano di ciascun uomo costituisce e deve costituire il progresso, che resta così vincolato allo sviluppo.

Dotato d'intelligenza e di libertà, l’uomo è responsabile della sua crescita, così come del suo sviluppo. Aiutato, e talvolta impedito, da coloro che lo educano e lo circondano, ciascuno rimane, quali che siano le influenze che si esercitano su di lui, l'artefice della sua riuscita o del suo fallimento: col solo sforzo della sua intelligenza e della sua volontà, ogni uomo può crescere in umanità, valere di più, essere di più, affermarsi sul suo essere, senza lasciarsi condizionare dalle parvenze dell’apparire.
L'attività umana individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso, corrisponde al disegno dell’uomo, alla sua storia, al suo destino.

L'uomo deve soggiogare i mezzi di produzione e non restarne soggiogato,  deve dominare il progresso, perché non arrivi a contrastare lo sviluppo.   Come persona, l'uomo è quindi soggetto del lavoro. Come persona egli lavora, compie varie azioni appartenenti al processo del lavoro; esse, indipendentemente dal loro contenuto oggettivo, devono servire tutte alla realizzazione della sua umanità, al compimento della vocazione ad essere persona, che gli è propria a motivo della stessa umanità.
L'uomo deve lavorare per riguardo agli altri uomini, specialmente per riguardo alla propria famiglia, ma anche alla società, alla quale appartiene, alla nazione, della quale è figlio, all'intera società umana, di cui è membro, essendo erede del lavoro di generazioni e insieme co-artefice del futuro di coloro che verranno dopo di lui nel succedersi della storia. Tutto ciò costituisce l'obbligo morale del lavoro, inteso nella sua ampia accezione. Quando occorrerà considerare i diritti morali di ogni uomo per riguardo al lavoro, corrispondenti a questo obbligo, si dovrà avere sempre davanti agli occhi l'intero vasto raggio di riferimenti, nei quali si manifesta il lavoro di ogni soggetto lavorante.

 

Rosario Amico Roxas

1227 visite
Petizioni online
Sondaggi online

Articoli della stessa categoria