Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 14.18

Pianeta migranti. Micro-accoglienza diffusa

Nell’articolo che segue, di Marco Ratti, pubblicato sul sito di Nigrizia, l’esempio di Breno, in Valle Camonica, reso possibile dalla sinergia tra una cooperativa sociale e le amministrazioni comunali, e dal finanziamento di Banca Etica.

| Scritto da Redazione
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Gli esempi di micro accoglienza sono ormai numerosi e sono quelli che hanno migliori possibilità di successo perché puntano ad una forte interazione con il territorio e i suoi abitanti di piccoli gruppi di rifugiati o richiedenti asilo. E’ un modello di accoglienza che punta sulla conoscenza reciproca, il modo migliore per battere i pregiudizi che spesso rendono difficile l’integrazione.

In Valle Camonica, nella città di Breno, in provincia di Brescia, esiste una cooperativa che ha provato a reinventarsi l’accoglienza dei migranti partendo da una semplice idea: l’integrazione non si fa in grandi strutture sovraffollate, che creano isolamento negli ospiti e un sentimento di invasione nel territorio. E così gli operatori hanno pensato a una forma di “microaccoglienza diffusa”, una modalità piuttosto originale che funziona ormai da otto anni con buoni risultati.

Il nome della cooperativa, che è anche una Onlus, la dice lunga sulla filosofia che sta dietro alle scelte fatte. Si chiama “K-pax”, in riferimento al film che ha per protagonista «un uomo, un alieno, un saggio, perché in queste tre parole si sintetizza la nostra scommessa: dare ospitalità a esseri umani, saggi di esperienze, spesso trattati come alieni dalla nostra società», spiega Silvia Turelli, operatrice legale dell’organizzazione.

K-pax è nata nel 2008 e da allora ha fatto parecchia strada, grazie anche all’incontro con Banca Etica, che negli ultimi sette anni ha messo a disposizione in tutto circa 480 mila euro con soluzioni che vanno dall’anticipo contratti, alle fidejussoni, ai mutui.

«La cooperativa è stata costituita per volontà di educatori che lavoravano nella comunità-alloggio Casa Giona della parrocchia di Breno e che avevano un’attenzione particolare verso l’intercultura», dice Turelli. E così l’inizio è stato segnato da una collaborazione tra K-pax e la parrocchia Santissimo Salvatore nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) “Breno città aperta”.

Nel 2011 l’organizzazione si è dovuta confrontare con l’emergenza Nord Africa, gestita dalla Prefettura in maniera assurda. «Più di cento persone sono state portate in un albergo di Montecampione, a 1.800 metri sul livello del mare, senza aver preparato nulla», ricorda l’operatrice legale. «Sono arrivati in ciabatte in una città di montagna, dove non c’era neppure un presidio medico, in una situazione di isolamento e pericolosa, e così ci siamo chiesti se ci fosse una soluzione diversa».

Il progetto di micro accoglienza diffusa è nato proprio da questo momento di difficoltà. «Abbiamo cercato di coinvolgere le amministrazioni della Valle Camonica secondo il principio dei piccoli gruppi, uno o due appartamenti per Comune, ciascuno con quattro o cinque persone, così da poter offrire un’accoglienza dignitosa», sintetizza Turelli. Oggi le amministrazioni locali della zona che hanno deciso di partecipare a questo sistema sono trenta (la firma è avvenuta nella Comunità Montana lo scorso aprile) e K-pax accompagna 76 tra richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale o umanitaria suddivisi tra 14 appartamenti e un centro di accoglienza. Le provenienze più diffuse sono Afghanistan, Pakistan, Mali, Nigeria, Gambia. Inoltre, dal 2014 l’organizzazione gestisce 20 posti a Brescia.

«Questo sistema favorisce una reale integrazione e ha un impatto positivo nella comunità locale», sostiene Turelli. Per raggiungere questi obiettivi, è fondamentale che i migranti siano attivi sul territorio. «Appena gli ospiti arrivano, pensiamo a un percorso individualizzato e tutti hanno un operatore di riferimento, una figura specifica che si occupa di organizzare la formazione, un operatore legale e un counselor per strutturare percorsi di ascolto, se necessario».

In queste zone montane capita così di vedere ragazzi africani, per esempio, curare il verde pubblico, svolgere tirocini lavorativi, magari come boscaioli o in aziende agricole, oppure partecipare a laboratori per imparare un mestiere o tra i banchi di scuola per studiare l’italiano. Tutte occasioni di interazione col territorio locale, che si sommano ai tanti eventi informali di cui è impossibile fare sintesi, come cene, teatro, serate musicali, cinema, incontri con le scuole.

Marco Ratti – www.nigrizia.it

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