Giovedì, 16 maggio 2024 - ore 00.16

Quel comunista di Bruno Tabacci…!!! RAR

| Scritto da Redazione
Quel comunista di  Bruno Tabacci…!!!   RAR

Le prime volte che mi è capitato di leggere di un   “Tabacci marxista”, sempre in quel quotidiano penosamente direetto da Dallusti, più noto per le querele che si becca che non per la levatura culturale,  direi che mi ha anche divertito, notando i tentativi da saltimbanco per dimostrare una tesi che avrebbe dovuto sminuire la portata politica di Tabacci, uno del pochi (ma poi non tanto pochi)  politici che possono vantare una coerenza intellettuale. Ma “Il Giornale” insiste sul tema, anche oggi 8 dicembre, giorno dell’Immacolata .Conoscendo  personalmente l’on. Tabacci e avendo seguito con curiosità e attenzione il suo percorso politico e non, con mal celata modestia mi sento in grado di dirimere talune false affermazioni alla luce proprio della coerenza del suo pensiero politico. La caratteristica peculiare dell’uomo prima e del politico poi, porta ad una conoscenza che travalica le cose dette o fatte, per interpretare anche le cose che avrebbe detto e che direbbe in altre circostanze. E Il,pregio della coerenza che permette di attribuire all’interessato anche interpretazioni diverse.  Mi è bastato ascoltare un paio di conferenze o di interventi in quel di Caltanissetta per trovare un nesso con un altro personaggio della cultura, al quale mi è stato facile accostarlo. Con questa nota esprimo  un punto di vista personale, ma che non può essere respinto se non dallo stesso interessato, in tal caso mi sarebbe anche facile dimostrare , attraverso le cose dette, anche le cose che potrebbe dire. Il momento di coerenza è facile da dire, ma piuttosto complesso da organizzare in un articolo, nel quale l’incompletezza potrà essere un difetto;  quel momento di coerenze fissa l’attenzione  sulla visione economicistica, ma ispirata a principi etici, cosa che mi ha suggerito l’accostamento ad un grande (o meglio grandissimo) troppo spesso dimenticato o troppo presto  giubilato.
La visione economicistica, ispirata a principi etici, valse a Paolo VI l’appellativo di ’Papa comunista’, così come vale a Tabacci l’appellativo di “Tabacci marxista”, detto da gente che ignora anche cosa distingue il marxismo dal comunismo.
Se un qualunque Berlusconi accosta la sua persona a Napoleone o a Cristo,  dichiarandosi il miglior presidente del consigli degli ultimi 150 anni, nulla potrebbe vietarmi di accostare Tabacci a Papa Montini, non in una ipotetica parità di ruoli come pretende il cavaliere, ma come l’adesione che  un seguace manifesta  per chi gli offre spunti di conoscenza. D’altra parte Paolo VI  ebbe accanto ma sé, come ispiratore laico J. Maritain, Tabacci, anche se si rigira intorno non troverebbe ispiratori di quella levatura, quindi si ritrova  a dover “far da sè”, supportato dalla dottrina di Paolo VI.
Fui proprio Berlusconi a  far risorgere dalle sue ceneri il comunismo, per avere un obiettivo contro cui lanciare le sue truppe cammellate; così cavalcò  l’anticomunismo convinto di essere in groppa ad una nobile destriero, ma non si è accorto di montare un somaro vecchio, stanco, riottoso, recalcitrante; in molti cercarono di spingerlo avanti, pretendendo anche dal somaro il “passo dell’oca”, ma somaro rimase e il cavaliere che lo montò divenne  il cavallerizzo dei fine-settimana in un modesto agriturismo.
Il punto fermo di distinzione tra marxismo, comunismo  e cattolicesimo sociale è sancito nelle Populorum  Progressio  di Paolo VI, una enciclica che si vuole, oggi, reinterpretare e non potendo si cerca di dimenticare; si tratta di una lectio che Tabacci ha meditato a lungo per aderire con convinta  passione.
In quest’ultimo ventennio, l’anticomunismo ha ripreso vigore per cercare di dare un contenuto alla mancanza totale di ideologie, diventando, così, sempre più difficile sperare in una rilettura della PP per trarne ispirazioni programmatiche. L’invenzione partitica di Berlusconi, non avendo assolutamente nulla da offrire, in termini di contenuti ideologici e concettuali, surrogò il vuoto ideologico  con la ripresa delle ammuffite tematiche anticomuniste, ritornando alle apocalittiche affermazioni di “bollitura dei bambini nei regimi comunisti cinesi”.
Fu  un ritorno alla guerra fredda, ma senza un avversario che contrasti e da contrastare; non fu più una partita a due, ma, molto più miseramente, un solitario che si giocò davanti ad attoniti spettatori con la pretesa anche di barare; non c’è nulla di più stupido e di più inconsistente che barare al solitario !
L’Enciclica Populorum Progressio, vero pilastro del Magistero sociale della Chiesa,  non entrò  in discussione con il marxismo, così come Tabacci non né mai entrato in polemica diretta con i suoi avversari politici, preferendo la forza del dialogo, alternativa alle invettive nella forma.
La PP rappresentò, invece, una esposizione positiva della dottrina cattolica più avanzata nelle tematiche sociali, in aderenza ai tempi, in questo modo rispondeva alle istanze puntualizzate dal marxismo, di cui superava le soluzioni, intuendo, con grande lucidità, che la dottrina sociale marxista aveva fatto il suo tempo e non avrebbe più avuto ragione di porsi come alternativa.  Anche  Tabacci ha intuito che le categorie rinchiuse dentro termini come capitalismo, comunismo, liberalismo, socialismo, hanno fatto il loro tempo senza riuscire a generare nuove ipotesi di lavoro in grado di generare una sintesi a posteriori.
Alla luce del materialismo storico la dottrina sociale marxista ha sostenuto che la proprietà privata dei mezzi di produzione era la causa dell’esistenza delle classi antagoniste e la ragione profonda di tutti i mali sociali.
Il progresso tecnico, cominciando con il passaggio dagli strumenti di pietra a quelli di metallo fino a giungere alla raffinata tecnologia moderna, con la creazione del  ’plus prodotto’ ha reso possibile la sua appropriazione da parte degli uni con l’esclusione degli altri. E’ questo lo sfruttamento, in questo modo ha avuto inizio la proprietà privata che ha dato origine all’esistenza delle classi antagoniste. L’interesse della classe sfruttatrice è l’accumulazione del capitale mediante l’appropriazione del ’plus-valore’, cioè di quella parte del lavoro che non viene restituita all’operaio sotto forma di salario, in una parola lo sfruttamento, inteso come un illecito arricchimento.
E’ questo un concetto che appartiene alle religioni a vocazione cattolica (universale) come il cristianesimo e l’islamismo, che può essere patrimonio laico se solo si usasse la coerenza.
In merito allo sfruttamento c’è un termine arabo che normalmente viene tradotto nelle lingue occidentali con ’usura’, è la riba, intraducibile negli idiomi occidentali.
Ribadisco che si tratta di un concetto che condanna lo sfruttamento, che appartiene alle religioni con vocazione universale. L’idea dello sfruttamento è condannata nel Corano con 15 secoli di anticipo nei confronti della religione cristiana, a riprova del valore universale e, quindi, cattolico, del pensiero sociale islamico. In entrambe le religioni la condanna dello sfruttamento deriva dalla centralità che l’uomo occupa nel mondo della storia.
Oggi lo sfruttamento ha raggiunto livelli planetari, le nazioni ricche e potenti, esercitano lo sfruttamento nei confronti delle nazioni povere e deboli, con la sottrazione delle materie prime, facendo anche ricorso all’uso della forza, all’applicazione delle normative internazionali inerenti l’embargo, scatenando legittime reazioni che servono solamente al potente per giustificare interventi bellici: è la globalizzazione dello sfruttamento, che si coniuga con la globalizzazione della violenza.
La terza religione monoteista, l’ebraismo, non esprime nessuna condanna in merito, anzi, fa della riba, come usura o sfruttamento, uno dei cardini della propria economia, e che l’ebraismo non abbia vocazione universale è dato dal fatto che è l’unica religione, fra tutte le religioni del mondo, assolutamente disinteressata al proselitismo e, quindi, alla divulgazione del proprio credo, anzi impedisce che estranei possano convertirsi all’ebraismo, in una sorta di razzismo di religione, che svuota la religione stessa di ogni valore spirituale.
Non c’è nulla di sconcertante nelle parole di Paolo VI o di rivoluzionario, si tratta di un concetto assimilabile all’esigenza di riconoscere a tutti parità di diritti, perché il ’plus-valore’, di cui si appropria il capitalista, è un extra a quanto legittimamente gli spetta per l’attività che svolge.
Secondo il marxismo questo stato di cose dipende dalla natura stessa di un regime fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, oggi rappresentato dal capitalismo.
L’interesse della classe sfruttata, al contrario, è l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, delle classi e della società divisa in classi.
Dai fondatori agli autori marxisti si è voluto dimostrare l’esistenza dello sfruttamento a tutti i livelli, individuale, sia tra privati, sia tra diverse nazioni; il linguaggio usato insisteva sul capitale, sul capitalista, sul capitalismo, sul colonialismo e, quindi, sull’imperialismo, che si sostiene con il militarismo e con il ricorso alla forza.
Il confronto tra gli interessi opposti delle classi antagoniste è lo scontro, la lotta di classe che, necessariamente si intensifica e sfocia nella rivoluzione, il cui scopo è il rovesciamento del potere delle vecchie classi e l’ascesa del proletariato. E’ questo il contenuto reale della lotta di classe e della lotta politica, alla quale non si deve sostituire la lotta economica e sociale per il miglioramento della qualità della vita. L’ideologia e la lotta ideologica devono mettere bene in luce che non è possibile la conciliazione delle classi antagoniste e la composizione dei lori interessi in un solo interesse comune, e che non è possibile tentare alcune via tendente al riformismo.
(Cfr. Osnovj marksistskoj filosofi – Principi della filosofia marxista- del PCUS; sta in Komsomolskaja Pravda, 2 novembre 1961, pag. 3)
L’Enciclica di Paolo VI non entra in polemica con il marxismo. Lo scopo di un documento universale non può essere quello di dimostrare la falsità di una determinata visione del mondo, ma deve presentare, come di fatto presentò, una soluzione positiva della questione sociale, valida per tutti, indistintamente.
Si impone la sicurezza e l’autorevolezza con cui il Pontefice presentò la sua ipotesi di lavoro, parlando di problemi così urgenti, che riflettono valori veri, umani e quindi universali e cattolici; da ciò deriva l’indipendenza e la libertà della Lettera di fronte a qualunque ideologia, perché non si pone al di fuori delle ideologie, ma al di sopra, trattando problematiche che non possono essere racchiusi all’interno di una dialettica di parte.
Questa lunga dissertazione non è altro che il mio personale convincimento di ciò che sul tema avrebbe affermato l’on Tabacci, impegnato come si ritrova a fissare i paletti di una nuove e moderna sintesi;  non è possibile intuire una sintesi tra capitalismo e comunismo, ma altamente ipotizzabile una sintesi mediana tra liberalismo e socialismo, sintesi supportata dal riconoscimento della solidarietà promessa dalla democrazia.
Confermo, e ci tengo a ribadirlo, che la presente non vuole essere una risposta alle frecciate lanciate da Il Giornale di Sallusti circa il Tabacci comunista, non vorrei che mi si accusasse di aver provocato  nella redazione del giornale berlusconiano feroci mal di testa.

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