Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 20.12

Ricollocare globalmente i terreni agricoli potrebbe riportare indietro di 20 anni le emissioni di CO2

Catturerebbe grandi quantità di carbonio, aumenterebbe la biodiversità e ridurrebbe a zero l'uso agricolo di acqua dolce

| Scritto da Redazione
Ricollocare globalmente i terreni agricoli potrebbe riportare indietro di 20 anni le emissioni di CO2

Lo studio “Relocating croplands could drastically reduce the environmental impacts of global food production!, pubblicato su  Nature Communications Earth & Environment da un team di ricercatori di Cambridge, Pechino e Harvard, presenta la mappa mondiale reinventata dell’agricoltura, includendo nuove grandi aree agricole per molte colture importanti intorno alla cintura di mais negli Usa centro-occidentali e al di sotto del deserto del Sahara, mentre in enormi aree di terreno agricolo in Europa e in India verrebbero ripristinati gli habitat naturali.

I ricercatori spiegano che «La riprogettazione – supponendo un’agricoltura meccanizzata ad alto input – ridurrebbe l’impatto del carbonio delle terre coltivate globali del 71%, consentendo alla terra di tornare al suo stato naturale e forestale. Questo equivale a catturare il valore di 20 anni delle nostre attuali emissioni nette di CO2. Gli alberi catturano il carbonio mentre crescono e consentono anche di catturare più carbonio dal suolo rispetto a quando ci vengono coltivati».

L’atro risultato di questa gigantesca ricollocazione delle terre agricole che emerge dallo studio è che «In questo scenario ottimizzato, l’impatto della produzione agricola sulla biodiversità mondiale sarebbe ridotto dell’87%. Questo ridurrebbe drasticamente il rischio di estinzione per molte specie, per le quali l’agricoltura rappresenta una grave minaccia».

I ricercatori affermano che «I terreni coltivati ​​torneranno rapidamente al loro stato naturale, spesso recuperando i loro stock di carbonio originali e la biodiversità nel giro di pochi decenni».

Inoltre, la riprogettazione dell’agricoltura su base planetaria  «Eliminerebbe del tutto la necessità di irrigazione, coltivando colture in luoghi in cui le precipitazioni forniscono tutta l’acqua di cui hanno bisogno per crescere». Lo studio ricorda che «L’agricoltura è attualmente responsabile di circa il 70% dell’uso globale di acqua dolce, e ciò causa scarsità di acqua potabile in molte parti più aride del mondo».

Per arrivare a queste impressionanti conclusioni, i ricercatori hanno utilizzato mappe globali delle attuali aree di coltivazione delle 25 colture principali, tra cui grano, orzo e soia, che insieme rappresentano oltre tre quarti delle terre coltivate in tutto il mondo. Poi hanno sviluppato un modello matematico per esaminare tutti i modi possibili per distribuire queste terre coltivate in tutto il mondo, mantenendo i livelli di produzione complessivi per ciascuna coltura. Questo ha consentito loro di individuare l’opzione con il minor impatto ambientale.

Il principale autore, Robert Beyer, che all’epoca dello studio era al Department of zoology dell’un iversità di Cambridge e che ora lavora al Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung (PIK), sottolinea che «In molti luoghi, i terreni coltivati ​​hanno sostituito l’habitat naturale che conteneva molto carbonio e biodiversità e lì le colture non crescono nemmeno molto bene. Se lasciamo che questi luoghi si rigenerino e trasferiamo la produzione in aree più adatte, vedremmo molto rapidamente dei vantaggi ambientali».

Studi precedenti hanno già identificato le aree prioritarie per il ripristino ecologico, ma il nuovo studio è il primo a pianificare il trasferimento di terreni agricoli per massimizzare i benefici ambientali a lungo termine senza compromettere la sicurezza alimentare.

Sebbene un trasferimento globale completo dei terreni coltivati ​​non sia chiaramente uno scenario che potrebbe essere attualmente messo in pratica, gli scienziati affermano che  «I nostri modelli evidenziano i luoghi in cui i terreni coltivati ​​sono attualmente molto improduttivi, ma hanno il potenziale per essere hotspot per la biodiversità e lo stoccaggio del carbonio. Adottare un approccio sobrio e ridistribuire i terreni coltivati ​​solo all’interno dei confini nazionali, anziché a livello globale, comporterebbe comunque vantaggi significativi: l’impatto globale del carbonio sarebbe ridotto del 59% e l’impatto sulla biodiversità sarebbe inferiore del 77% rispetto a quello attuale».

C’è anche una terza opzione ancora più realistica: trasferire solo il 25% dei terreni coltivati ​​più impattanti a livello nazionale, ma comporterebbe la metà dei vantaggi di uno spostamento ottimale di tutti i terreni coltivati.

Beyer ammette che «Al momento non è realistico implementare tutta questa riprogettazione. Ma anche se trasferissimo solo una frazione delle terre coltivate del mondo, concentrandoci sui luoghi meno efficienti per la coltivazione, i benefici ambientali sarebbero enormi».

Lo studio rileva comunque che «La distribuzione ottimale delle terre coltivate cambierà molto poco fino alla fine del secolo, indipendentemente dai modi specifici in cui il clima può cambiare».

L’autore senior dello studio, Andrea Manica del Department of zoology di Cambridge, aggiunge: «Le posizioni di cropping ottimali non sono un bersaglio mobile. Si tratta delle aree in cui l’impronta ambientale sarebbe bassa e i raccolti elevati e dove il clima attuale rimarrà ampiamente ottimale in futuro».

I ricercatori riconoscono che «Il trasferimento dei terreni coltivati ​​deve essere fatto in un modo che sia accettabile per le persone che ne risentono, sia economicamente che socialmente». Citano esempi di programmi di ritiro dalla produzione agricola che offrono incentivi finanziari agli agricoltori per non coltivare parte dei loro terreni a vantaggio dell’ambiente. Gli incentivi finanziari possono anche incoraggiare le persone a coltivare in luoghi più adatti.

Il modello utilizzato nello studio ha prodotto mappe di distribuzione globale alternative a seconda del modo in cui viene coltivata la terra, che vanno dalla produzione avanzata e completamente meccanizzata con varietà di colture ad alto rendimento e applicazione ottimale di fertilizzanti e pesticidi, fino all’agricoltura biologica tradizionale di sussistenza e «Anche la ridistribuzione delle pratiche agricole meno intensive in luoghi ottimali ridurrebbe sostanzialmente il loro impatto sul carbonio e sulla biodiversità».

Mentre altri studi dimostrano che se passiamo a diete più a base vegetale potremmo ridurre significativamente l’impatto ambientale dell’agricoltura, i ricercatori fanno notare che «in realtà le diete non stanno cambiando rapidamente» e il loro modello presupponeva che le diete non cambieranno e si è concentrato sulla stessa produzione di  cibo attuale, ma realizzata in modo ottimale.

Lo studio, finanziato dall’European Research Council, conclude: «Molte delle terre coltivate del mondo si trovano in aree dove hanno un’enorme impronta ambientale, avendo sostituito ecosistemi ricchi di carbonio e ricchi di biodiversità, e rappresentano un significativo drenaggio delle risorse idriche locali. Questi luoghi sono stati scelti per ragioni storiche, come la loro vicinanza agli insediamenti umani, ma è giunto il momento di coltivare il cibo in un modo più ottimale».

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