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Racconto I marubini di Sant’Omobono (fra storia e fantasia) di Agostino Melega

Ai margini di un convegno sul pauperismo tenutosi a Cremona sul finire degli anni Settanta del secolo scorso, il prof. Piero Camporesi, dell’Università di Bologna, parlò diffusamente degli archivi dell’IIpab ex Eca di Cremona, e dei documenti che testimoniano, nei primi anni del Seicento, i contatti e i legami d’amicizia scaturiti fra un tal “Simon de Zilli de Pozza Valle de Fassa” con il massaro Tomaso Tozeti de Suspiro de Cremona.

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Racconto I marubini di Sant’Omobono (fra storia e fantasia) di Agostino Melega Racconto I marubini di Sant’Omobono (fra storia e fantasia) di Agostino Melega

Una forte curiosità nacque allora in me per il fatto che il cognome dei Tozeti è  pressoché sconosciuto negli annali cremonesi. I Tozeti sono infatti originari di una delimitata area trentina e ladina. Si sa però altrettanto che a Longardore, nei pressi di Sospiro, alla metà del Cinquecento, era presente un ‘romito’, Paolo Tozeti, originario di Cles, collegato alla chiesa di San Nicolò di Cremona. Al momento, però, non si hanno prove di un rapporto di parentela fra quest’ultimo ed il massaro.

Gli storici dell’alimentazione si sono interessati alla corrispondenza fra Simon de Zilli e Tomaso Tozeti, per la presenza di un riferimento allo “Statuto ed ordini statuiti dalla honoranda regola e visinanza de Poza fatto a oggni bon fine l’anno 1616”.

In detto manoscritto si fa riferimento alla festa data in occasione della promulgazione dello Statuto, alla quale manifestazione di gioia partecipò lo stesso Tomaso Tozeti, portando con sé un dono prelibato dalla lontana città di provenienza: il dono dei marubini di Cremona.

Infatti, Simon de Zilli ricorda con grande piacere quel “quatro del messe de magio, giorno del glorioso Santo Florian”, festa realizzata “con oggni dilligentia”, e nel contempo egli ricorda con entusiasmo all’amico Tomaso il piatto “laudato dagli honorandi messeri dei majrubini de Mubone de Cremona”, il piatto che oggi tutti i buongustai del mondo chiamano “i marubini ai tre brodi del Torrazzo”.

In quel ‘Mubone’, una corrente di pensiero individuerebbe il nome di un ipotetico cuoco. Ma, con tutta probabilità, in quel riferimento si nasconderebbe invece il termine dialettale di Mubòon, ossia il modo popolare e famigliare, tipico nella parlata cremonese, per indicare sant’Omobono, il patrono della città.

Nel manoscritto si parla di majrubini, e non di marubini. Questo fatto però non  esclude un possibile rapporto fra le due parole.  Tenendo conto, infatti, che il vocabolo ‘màj’, in molti dialetti, significa maggio o meglio ‘il maggio’, si può interpretare il termine ‘majrubini’ come un abbinamento che può significare: ‘i rubini del mese di maggio’.

Come si sa, i rubini sono definiti, nelle culture indoeuropee ‘pietre del sole’, poiché rappresentano simbolicamente la forza vitale, il fuoco interiore, l’amore e la passione.

Nel manoscritto di Simon de Zilli si fa riferimento all’’horo potabile’, lasciando, nel ricercatore di oggi, il dubbio di una traccia di collegamento fra gastronomia ed alchimia.

Va comunque aggiunto che in dialetto rustico cremonese il termine ‘màj’ s’identifica pure con la prima persona del presente indicativo del verbo mangiare: ‘mé màj’, io mangio. Quindi non si deve trascurare pure l’ipotesi che il termine originario ‘majrubini’ possa nascondere la frase ‘io mangio i rubini’, ossia, fuor di metafora: ‘io mangio un piatto di straordinario valore’.

Per finire, non si può dimenticare nemmeno il riferimento arcaico al pasto, quale offerta propiziatoria ai defunti, che deve essersi insinuata nella mente cinica del Signore di Cremona, Cabrino Fondulo, nel progettato attentato alla vita di un papa, Giovanni XXIII, e di un imperatore, Sigismondo di Lussemburgo, destinati ad essere scaraventati giù dal Torrazzo.

La tradizione vuole che Cabrino abbia fatto assaggiare i ‘majrubini de Mubòon’ ai due sommi morituri, quale omaggio conclusivo prima del loro avvio alla pace eterna.

Ma il ringraziamento spassionato, quasi commosso per quel piatto regale ricevuto, le congratulazioni, le feste, le promesse di sostegno politico, fecero tentennare e poi recedere il despota. Altri majrubini arrivarono allora copiosi a tavola e la storia di Cremona e del mondo presero tutta un’altra piega. Era il giorno del Signore, 13 gennaio 1414.

Non deve meravigliare quindi nemmeno che il Platina, l’insigne storico umanista nato a Piadena nel 1421, che per primo intravide nella gastronomia una forma d’arte, riporti nella sua opera fondamentale, De Honesta Voluptate ed Valitudine, la ricetta dettagliata di questo piatto già famoso nelle corti dell’epoca, senza citarne però la definizione specifica cremonese, ma comprendendo questi prelibati fagottini di pasta ripiena nella grande famiglia dei ravioli, con una precisazione attinente la misura: ‘non siano maiori d’una mezza castagna’. Ciò indusse a ricercare l’origine filologica del termine marubino nel vocabolo marrone, castagna, in dialetto cremonese maròon.

Che sia stato un piatto molto apprezzato da gente di montagna, ce lo conferma il ladino Simon de Zilli, ma il rubino, la pietra di quel sole che sembra scolpito nella ‘rodella da far i marubini’, a parer nostro ha un valore gustativo che va molto al di là dell’impressione che può dare la pur piacevole forma di una castagna. Quel dischetto di pasta che piegato diventa una mezza luna, e simbolicamente unisce la vita del giorno e della notte; quel dischetto ripieno è niente di meno e niente di più che un minuscolo cofanetto di tesori del palato.

Agostino Melega (Cremona)

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