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Lo Zio Ancestrale del cremonese Agostino Melega

L’avvincente storia del Barba tuss con tanto di diritto e rovescio, di minaccia e saggezza. Un relitto della storia che riemerge nella tradizione popolare.

| Scritto da Redazione
Lo Zio Ancestrale del cremonese  Agostino Melega Lo Zio Ancestrale del cremonese  Agostino Melega

Cosa non si nasconde dietro lo zio. Una parolina, barba, che in molti dialetti dell’Italia settentrionale significa zio, ci offre una possibile chiave di lettura di una figura diffusa in tutta l’area padana e romanza: il Barba tuss.  Se consideriamo che gli adolescenti nel bergamasco sono i tûs, che nel milanese le ragazze sono i tùsann o i tosànn, ecco che Barba tuss potrebbe essere letto per esteso come zio (dei) ragazzi.

Si tratta di vedere ora come questo significato possa conciliarsi con le attribuzioni date ad un personaggio che meglio di altri rappresenta l’elemento estraneo alla comunità, l’emarginato, e che, come tale, viene usato per incutere paura ai bambini. Il Barba tuss, infatti, è l’ennesima variante dell’Uomo nero, un uomo non appartenente ad un immaginario tenebroso, ma piuttosto al mondo e ai panni realistici del mendicante, del pezzente, del reietto.

Ora, se il folklore è il deposito dei relitti della storia, nel Barba tuss, Zio dei ragazzi, potrebbe essere colta la traccia di un sistema familiare scomparso, traccia cristallizzatasi nel vocabolario dialettale come un fossile: il segno dell’avuncolato, di quel sistema, insomma, che vede ancor oggi, in molte società cosiddette primitive, interagire nell’educazione del figlio, insieme alla madre ed al padre, anche lo zio materno. Uno zio (avunculus), questi, che rappresenta l’autorità familiare, che è temuto, obbedito, che possiede diritti sul nipote. Uno zio che funge spesso da padrino nei riti d’iniziazione dei fanciulli, accompagnando  questi ultimi nel mondo simbolico della paura e della morte: nel buio profondo della foresta primeva.

Questo zio spesso è mago e veggente. Si pone come tramite fra il mondo delle cose e il mondo altro, terrorizzando tutti come il Barba-blu della fiaba e spaziando lontano come il Barba-nera dei lunari contadini.

Questo zio ancestrale, etnologico, sporco di cenere e bianco di fango, provvisto di folta barba, assomiglia molto al mendicante della mitologia classica, al povero questuante alla mensa dei ricchi epuloni, contraltare di questi ultimi per essere depositario , nel canto, della grandezza e della saggezza del Tempo.

Ci sovviene, a questo punto, che anche il Barba tuss canta. Ma così facendo egli cambia nome e si trasforma in torototela, in eccentrico suonatore e dicitor di bosinade (composizioni satiriche in dialetto milanese); diventa l’innocuo Barba Pedana.  In questa metamorfosi egli finisce con l’assomigliare parecchio al Bertoldo emiliano o allo Zanni bergamasco, all’Arlecchino servitore, al Barba-riccia, alter ego di Carnevale.

Di fatto Barba Pedana, vale a dire Zio Grosso Piede, che - come sappiamo – ha un solo gilé, rotto per davanti e stracciato per didietro, è fratello gemello di Barba Cervello e di Barba Sciocco, di Barba Sambuco e di Barba Spino, di Barba Falsone e di Barba-ciróli, tutti zii presi per burla e a baia dai nipoti birba d’ogni tempo.

Il Barba Pedana è insomma la versione dolce, solare, del Barba tuss, cattivo, oscuro: l’uno è la proiezione inversa dell’altro. E, come il secondo, viene concepito grande e grosso, il primo, positivo e buono, non può essere ricordato che così dai milanesi: ’L éera st’òm inscì tànt piscinìn / ca ‘l posséva balà bèn sü on quatrìn (Era quest’uomo così tanto piccolino / che poteva ballare ben sopra un quattrino).

Agostino Melega (Cremona)

P.s.  Articolo di venticinque anni fa, pubblicato da 'Cammino', il periodico dei frati francescani di Milano,

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