Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 01.06

Arcore, l'impero vacilla

| Scritto da Redazione
Arcore, l'impero vacilla

Indistintamente tutti gli imperi  hanno avuto bisogno del sostegno del mito, costruito ad arte per esaltare il capo  e indicarlo alla distratta attenzione come il solo, l’unico, il magnifico, capace di realizzare  l’eterno sogno dell’età dell’oro. L’imperatore ci mette la sua per incoraggiare il mito che lo esalta, ma in genere si affida a fedelissimi incapaci che lo idolatrano in cambio di un posticino a tavola.

Non c’è  bisogno ripescare il mito di Roma  o gli imperi precedenti  o  immediatamente successivi per cercare conferma, basta guardare all’immediato passato o al tristissimo presente per vedere avallata la teoria del mito. Anche il fascismo cercò di appropriarsi del mito di Roma, anche nella formalità del saluto, per rinverdire nella italica memoria il fascino di un potere destinato dalla storia ad essere grande.

L’attualità  tragicamente presente ci propone il mito dell’intoccabile, dell’infallibile, del tuttologo che non si può contraddire, perché si tratta del migliore, anzi, dell’unico in grado di salvare la patria dalle minacce dei barbari  rinati, contro i quali, generosamente, l’imperatore destina i suoi sforzi per salvare la patria dal precipizio verso cui la barbarie vorrebbe farla cadere.

Le rimembranze estorte dalla storia romana richiamano la fede nella vittoria, che non può non assistere il predestinato, perché si trova nel giusto e la Dea Vittoria premia chi sta nel giusto e combatte il male.

Poco importa se la Dea Vittoria si serviva di guerre sanguinose che culminavano nell’assoggettamento di intere nazioni  e popoli.

Roma fu l’unico esempio di tutti i tempi di una città diventata impero, che rilasciava patenti  di superiorità identificando, o permettendo di identificarsi “civis romanus sum”, come lasciapassare onnivalente; fu questa la ragione che elevò Roma a “città eterna”, perché l’impero esige l’eternità.

Adesso tocca ad Arcore diventare sede del nuovo impero, dopo quasi vent’anni di prove generali e inciampi indegne di un imperatore illuminato che fonda il suo patere sulla giustizia che emana ogni suo gesto o atto.

L’impero di Arcore  sarebbe  fondato sul suo fondatore, per questo  l’imperatore non può essere inquisito, sconfitto, sfiduciato, perderebbe il fascino dell’uomo superiore  e irripetibile, scivolando nei difetti di un “uomo qualunque”.  L’inseguimento del potere ha questa ragione mimetizzata nell’urgenza di salvare la patria, perché è l’impero che deve affermarsi e tale affermazione ritornerebbe al suo fondatore come segno indelebile: Deus vult.  Si perché c’entra anche la religione, della quale l’imperatore si fa paladino e difensore, cercando anche il sostegno dei capi religiosi in cambio del sostegno che offre alla religione.

Ma se qualcosa si inceppa crolla il mito e con esso l’impero e con l’impero l’imperatore, dimostrandosi la vanità di una presunta superiorità e ci ricorda  come il mito della vittoria veniva esaltato e consegnato  all’agnello sgozzato; così l’ipotesi di una affermazione del nuovo impero, con l’improvvisato imperatore, necessiterà di un agnello da sgozzare al quale dedicare la vittoria.

Il popolo italiano accetterà di farsi agnello sacrificale e permetterà l’affermarsi del nuovo impero di Arcore, o delegittimerà definitivamente i sogni di gloria per ricominciare daccapo, da dove la storia italiana del progresso e dello sviluppo si è fermata ?

 

Rosario Amico Roxas

 

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