Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 18.38

Cgil L'approfondimento Lavoro pubblico, il buco nero

Nei prossimi tre anni un quarto dei dipendenti andrà in pensione, ma il calcolo non tiene conto di quota 100. Precarietà e blocco delle assunzioni rappresentano un ulteriore fardello. Servizi sempre più a rischio

| Scritto da Redazione
Cgil L'approfondimento Lavoro pubblico, il buco nero

Cgil L'approfondimento Lavoro pubblico, il buco nero

Nei prossimi tre anni un quarto dei dipendenti andrà in pensione, ma il calcolo non tiene conto di quota 100. Precarietà e blocco delle assunzioni rappresentano un ulteriore fardello. Servizi sempre più a rischio

Uscite per quota 100, mancato turn over, precarizzazione degli addetti e gestione dissennata delle (scarse) politiche di assunzione. Il lavoro pubblico – da anni oggetto di una campagna mediatica di attacchi ingiustificati – non se la passa troppo bene. E, insieme ai lavoratori, a subire i danni maggiori sono i cittadini, quelli che ogni giorno hanno bisogno di servizi essenziali per la loro vita. I dati che emergono dall’analisi del Conto annuale del personale realizzata dalla Ragioneria generale dello Stato sono drammatici: il personale precario è aumentato nel corso degli ultimi dieci anni del 72,2% nei ministeri e del 39,8% negli enti locali.

Questi dati sono da leggere in parallelo con la contrazione generale dei dipendenti pubblici. Eccone alcuni: gli enti pubblici non economici hanno perso il 27,6% degli addetti, gli enti locali il 16,8%, i ministeri il 18,4%, la sanità il 6,2%. Ma di casi se ne potrebbero riportare tanti. L’Inps, ad esempio – a cui è toccata ora anche la patata bollente del reddito di cittadinanza – è sotto organico di 6.000 unità e non può assumere perché c’è il blocco. Anche ipotizzando che i concorsi vengano sbloccati al più presto, le immissioni, se va bene, potranno arrivare nel 2021. Nel frattempo in carenza di personale l’istituto taglia le sedi territoriali, il che vuol dire meno servizi per le persone.

Per completare un quadro già così sconfortante bisogna aggiungere l’età sempre più avanzata degli addetti che ha raggiunto una media di 50,6 anni e che è destinata a peggiorare, visto che secondo le previsioni nel 2022 circa 900 mila dipendenti pubblici saranno ultrassessantenni. “In queste condizioni – spiega Alessandro Purificato, dirigente della Fp Cgil – già aver mantenuto un livello adeguato di servizi ha del miracoloso”.

Ora poi è arrivata quota 100. Sia chiaro, è un bene che chi ne ha diritto usufruisca di questa possibilità; il punto, aggiunge il sindacalista, “è che negli anni non c’è stata una politica assunzionale adeguata che potrebbe ora permettere una risposta efficace a queste fuoriuscite”. Secondo i calcoli dei sindacati, a riforma Fornero invariata, nei prossimi due anni ci sarebbero comunque stati già 500 mila pensionamenti (146 mila solo nel corso del 2019), più altri 120 mila nella scuola. Insomma, in 36 mesi un quarto dei dipendenti pubblici uscirà e l’effetto di quota 100 – anche se ancora non è possibile stimarne con precisione le conseguenze – sicuramente agirà da moltiplicatore con i risultati per i servizi che tutti possono facilmente immaginare.

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