Martedì, 19 marzo 2024 - ore 04.26

Conferenza per 1° trattato internazionale sulla diversità biologica degli oceani

Ma si comincia male, dividendosi subito su guerra in Ucraina, pesca e miniere sui fondali

| Scritto da Redazione
Conferenza per 1° trattato internazionale sulla diversità biologica degli oceani

Ieri è iniziata a New York la quinta e probabilmente ultima sessione dell’Intergovernmental Conference on an international legally binding instrument under the United Nations Convention on the Law of the Sea on the conservation and sustainable use of marine biological diversity of areas beyond national jurisdiction che dovrebbe finire di redigere il primo trattato in assoluto sulla diversità biologica degli oceani. L’Onu evidenzia che «Tra le richieste di flessibilità, apertura e spirito di compromesso prevalenti nel 1982, quando è stata adottata la storica “costituzione per gli oceani”, il nuovo trattato mirerà ad affrontare la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità marina nelle aree dell’oceano che sono oltre i limiti delle zone marittime degli Stati».

La sessione, che durerà fino al 26 agosto, è stata convocata dopo una decisione presa a maggio dall’Assemblea Generale dell’Onu e dovrebbe essere l’ultima di una serie avviata dal 2018 per redigere uno strumento internazionale giuridicamente vincolante ai sensi della Convention on the Law of the Sea dell’Onu sulla conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina delle aree al di fuori delle giurisdizioni nazionali.  Le delegazioni alla Conferenza stanno anche cercando di includere nel trattato misure che diano ai Paesi in via di sviluppo e senza sbocco sul mare un accesso più equo alle Marine Genetic Resources (MGR), il materiale biologico proveniente da piante e animali dell’oceano che può avere benefici per la società come prodotti farmaceutici, processi industriali e cibo.

La presidente della Conferenza intergovernativa, Rena Lee di Singapore, ha aperto i lavori invitando i delegati a rimboccarsi le maniche mentre approfondiscono gli aspetti tecnici e legali particolari e ha aggiunto: «Spero che possiamo fare progressi reali in queste due settimane, con l’obiettivo di finalizzare l’accordo il prima possibile. Le quattro sessioni precedenti erano state incaricate dalla risoluzione 72/249, del 24 dicembre 2017, i negoziati riguarderanno le risorse genetiche marine, comprese le questioni sulla condivisione dei benefici, misure come strumenti di gestione territoriale, valutazioni di impatto ambientale, rafforzamento delle capacità e trasferimento di tecnologia marina. Ai delegati è stato anche chiesto di presentare proposte testuali per la quinta sessione, una compilazione articolo per articolo è stata pubblicata all’inizio di agosto. Alle delegazioni sono stati inoltre forniti documenti di base nformali che comprendono, tra gli altri, due documenti che erano stati richiesti sui requisiti di risorse, nel caso in cui la Division for Ocean Affairs and the Law of the Sea fosse stata designata come Segretariato ai sensi dell’accordo, e un documento sul finanziamento oceanico globale».

Attualmente, due terzi degli oceani sono considerati acque internazionali, il che significa che tutti i Paesi hanno il diritto di pescarci e fare ricerche, anche minerarie. Solo l’1,2% di questi siti di alto mare sono protetti e questo lascia la vita marina oceanica a rischio di sfruttamento a causa delle crescenti minacce del cambiamento climatico, della pesca eccessiva illegale e del traffico marittimo. Si tratta di ecosistemi poco conosciuti, fragili e nei quali molte creature potrebbero estinguersi ancora prima di essere scoperte. Lo studio “Avoiding ocean mass extinction from climate warming”, pubblicato su da Justin Penn e da Curtis Deutsch delle università di Washington – Seattle e di Princeton, e finanziata dalla National Oceanic and Atmospheric Administration Usa, suggerisce che «Tra il 10% e il 15% delle specie marine sono già a rischio di estinzione». Secondo l’International Union for the Conservation of Nature (IUCN), la «Tradizionale natura frammentata della governance degli oceani ha impedito l’effettiva protezione dell’alto mare».

Prendendo atto delle richieste per la conclusione della Conferenza intergovernativa di quest’anno, la Lee ha esortato gli Stati membri a «Spremere i nostri succhi creativi per trovare soluzioni in grado di raccogliere consensi» e a «Esercitare la massima flessibilità per trovare il consenso necessario. Nelle prossime due settimane, cerchiamo di raggiungere un accordo che sia equo, equilibrato, attuabile e che attireri una partecipazione universal. Non lasciamo che il perfetto sia nemico del bene».

Sulla base di uno studio del Plymouth Marine Laboratory, la  “Global Ocean Alliance: 30by30 initiative”, della quale fa parte anche l’Italia, stima che  gli ecosistemi marini globali valgano più di 48 trilioni di euro.

Miguel de Serpa Soares, sottosegretario generale per gli affari legali, consulente legale dell’Onu e segretario generale della Conferenza Intergovernativa, ha accolto i delegati ricordando loro che questa è una sessione “critica”, che si svolge sulla scia dell’United Nations Ocean di Lisbona tenutasi dal 27 giugno al 1 luglio, nella quale tutti gli stakeholders hano concordato sull’obiettivo di invertire il deterioramento della salute, della resilienza e della produttività dell’oceano e delle sue risorse. Soares si è detto speranzoso che «Le centinaia di impegni presi a Lisbona si traducano rapidamente in azione, compresi i numerosi appelli rivolti alla Conferenza intergovernativa a concludere tempestivamente i suoi lavori. Quale modo migliore per segnalare la nostra determinazione ad agire, se non quello di finalizzare un solido accordo che garantisca la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina nei più grandi spazi dell’oceano? In questa fase critica, è giunto il momento di dimostrare il vero spirito della cooperazione multilaterale, concentrandosi sulla ricerca di un compromesso. Spero che i delegati esercitino una flessibilità ancora maggiore per garantire che l’oceano ottenga ciò di cui ha urgentemente bisogno e non lasciare che la biodiversità marina crolli mentre stiamo a guardare. Voglio  accogliere un nuovo accordo nel “diritto della famiglia del mare” entro la fine dell’anno, quando il mondo celebrerà il quarantesimo anniversario della Law of the Sea Convention».

Ma le divisioni sono subito venute a galla. Diverse delegazioni hanno poi preso la parola, con rappresentanti dell’Unione Europea in qualità di osservatore, Regno Unito, Stati Uniti, Giappone, Islanda, Nuova Zelanda (parlando anche per Australia e Canada) e Svizzera, esprimendo solidarietà all’Ucraina e condannando «L’’immotivata aggressione contro un Paese sovrano e indipendente. Queste azioni minano il diritto internazionale, inclusa la Carta delle Nazioni Unite». Il rappresentante della Federazione Russa a ribattuto denunciato «La politicizzazione di un’agenda delle Nazioni Unite» e incolpando i Paesi NATO di aver acuito le sofferenze della popolazione ucraina fornendo assistenza militare al governo dell’Ucraina: «Il regime di Kiev non riconosce il danno arrecato, poiché alcune armi sono cadute nelle mani di gruppi criminali. Queste consegne incoraggiano l’esercito ucraino a violare il diritto umanitario internazionale prendendo di mira indiscriminatamente i civili».

Anche il rappresentante dell’Iran si è opposto alla «Politicizzazione di una riunione specializzata delle Nazioni Unite», avvertendo che «Un approccio così sbagliato potrebbe mettere in pericolo l’ambiente costruttivo necessario per il successo dei negoziati».

La Russia potrebbe avere tutto l’interesse a far saltare i negozia, infatti, insieme all’Islanda, chiede che la pesca non venga inclusa nell’accordo. Mentre diversi Paesi europei, asiatici dell’Oceania e gli Usa premono perché venga consentita con maggiore facilità l’estrazione mineraria sui fondali marini. A marzo, l’International Seabed Authority che regola queste attività aveva dato il via libera a 31 concessioni per esplorare le profondità marine alla ricerca di minerali.

Sarà difficile che in questo clima si riesca a firmare un Trattato Onu sull’alto mare che non si è riusciti a chiudere in 10 anni e che, se concordato, applicherebbe concretamente l’impegno della maggioranza dei Paesi del mondo (Italia compresa) a tutelare con aree protette il 30% del mare entro il 2030, proteggendo la vita marina dalla pesca eccessiva e da altre attività antropiche.

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