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Decathlon Grugliasco, il lavoro non è una gara

Torino.Un marzo di lotta, quello del negozio di articoli sportivi del Torinese. Il calo delle vendite, dice Isabella Liguori, Rsa, non può essere pagato dagli addetti. Un racconto dal congresso della Cgil regionale DI GIOVANNI RISPOLI

| Scritto da Redazione
Decathlon Grugliasco, il lavoro non è una gara

“Nell’atletica, gara multipla che mira a valutare la preparazione complessiva dell’individuo per mezzo di dieci prove”. Così, a proposito del decathlon, il dizionario Treccani. Non sono dieci prove diverse, o comunque gare agonistiche, i compiti che devono affrontare quotidianamente, a Grugliasco, i centoventi addetti del negozio Decathlon – la grande catena di articoli sportivi, la testa in Francia, che nella cittadina piemontese ha il primo punto vendita della regione –. L’impegno cui l’azienda li chiama ogni giorno, tuttavia, non è proprio una passeggiata. Con il contratto che chiede la ginnastica della flessibilità, per commesse e commessi il lavoro è sempre una prova: è il risultato l’imperativo dominante – un risultato, s’intende, che al trainer non basta mai ¬–; e se poco poco vai sotto – non importa che poi intorno ci siano la crisi e il Nord Ovest che si scopre povero e insicuro – allora devi pagare dazio.

Isabella Liguori – Rsa, un bell’intervento al congresso della Cgil Piemonte – fa la commessa. Non era esattamente nei suoi piani, finiti gli studi. Laureata a Genova in Conservazione dei beni culturali, tesi in Epigrafia latina, quando ha incontrato Decathlon aveva per la testa l’archeologia. Era a Roma per uno scavo, alla Polledrara di Cecanibbio, sulla via Boccea: l’Elefante antico e il Bue primigenio, un giacimento del Pleistocene, trecentomila anni fa.

Ma Isabella è anche una sportiva, ha bisogno di alcuni articoli, incontra Decathlon. Scopre che l’impresa cerca personale: l’università è matrigna, chiederà di essere assunta. “Qualcosa dovevo pur fare per mantenermi. Da noi, fra l’altro, siamo tutti studenti o laureati. Quando la Fornero ci definiva choosy…”. “Oggi, poi, li prendono tutti giovanissimi, studenti: tempi determinati, quindi iperprecari, ultraflessibili”.

L’azienda va bene: un’ottantina di negozi in Italia, sempre nuove aperture, e proprio negli anni della crisi. “Come mai? Non è mica strano. A premiare, nella grande distribuzione, è lo specialismo: tira chi ha una ‘nicchia’, anche se tanto nicchia non è, anche se poi è una fetta ampia, di mercato”.

“Ma Decathlon – prosegue – non sopporta flessioni, il trend delle vendite deve essere sempre positivo. Se cala, allora bisogna ottimizzare i costi; il che significa, puoi immaginare, intervenire sul costo del lavoro. Da qui, a fine febbraio, la comunicazione che durante il mese di marzo l’orario delle domeniche sarebbe stato tagliato. Un danno, per noi dipendenti”. “Perché? Perché in Decathlon è il part time la forma di lavoro più diffusa: non per scelta del lavoratore ma per volontà dell’azienda. Il solo modo per guadagnare qualche soldo in più è il lavoro supplementare, lo straordinario la domenica. Per metà dei dipendenti è l’unica modalità volontaria; i neo assunti alle domeniche sono obbligati, godono soltanto della maggiorazione festiva”.

Ma, al contrario di quel che spesso accade nella grande distribuzione, ragazzi ricattati, la paura di perdere il lavoro – quando il padrone non ti ha preso anche l’anima: ‘batti il cinque, oggi abbiamo fatto il 10 per cento in più’ –, a Grugliasco le cose non vanno come l’azienda spera: e i decathleti si astengono dalla gara. Non è un rifiuto preconcetto, non dicono di no alle esigenze dell’impresa; è questa, invece, che nega qualsiasi disponibilità. “Abbiamo chiesto una trattativa per regolamentare il lavoro festivo – racconta Isabella –. Da un lato per offrire l’opportunità a chi ne ha bisogno di consolidare il proprio monte ore settimanale, lavorare di più. Dall’altro, per dare a chi contrattualmente è obbligato a lavorare anche di domenica la possibilità di disporre di un numero prefissato di domeniche libere. Programmare serve a tutti: credo che sapere, sul lungo periodo, cosa sarà dei propri giorni di festa sia legittimo, no? Questa la proposta; dopo, però … nessuna risposta. Non ci meraviglia: da noi impera il paternalismo, Decathlon non ha mai sopportato il sindacato; e proprio per condotta antisindacale, due anni fa, ha subìto una condanna in Lombardia”.

Così, all’inizio di marzo, è stato proclamato lo stato di agitazione: “Sciopero il 15-16 marzo, i due giorni del ‘Trocathlon’: della compravendita di articoli usati; poi blocco dello straordinario per tutto il mese: astensione dal lavoro domenicale per chi può scegliere la domenica, e sciopero per chi la domenica ce l’ha nel contratto”.

“Com’è andato lo sciopero? Adesione altissima – risponde con un sorriso allegro Isabella –: l’85-90 per cento. Adesso stiamo discutendo su come continuare”.

Fonte: http://www.rassegna.it/articoli/2014/03/22/110261/decathlon-grugliasco-il-lavoro-non-e-una-gara

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