La Cina, il più grande produttore mondiale di gas serra, ha lanciato il suo primo schema nazionale di scambio di emissioni. Questi meccanismi esistono già in circa 45 Paesi e si rifanno soprattutto all’ETS EU, ma lo schema della Cina, che preso il via il 16 luglio.
Si tratta di un’iniziativa avviata dal governo comunista cinese nel 2013 ma che ha subito numerosi ritardi e diversi ricercatori sostengono che potrebbe non essere abbastanza ambizioso da consentire alla Cina di raggiungere i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni che prevedono di raggiungere il picco entro il 2030 e le emissioni net zero nel 2060.
Come spiega Nature, «Lo schema della Cina si basa su un modello cap-and-trade, nel quale agli emettitori – inizialmente solo impianti energetici a carbone e gas – viene assegnato un certo numero di quote di emissione fino a un limite prestabilito, o cap, e poi scambiano o acquistare quote se rimangono al di sotto o lo superano. L’obiettivo è espandere nei prossimi anni il piano a settori quali l’edilizia, il petrolio e la chimica. Quel che rende lo schema cinese diverso da quelli che operano in altri Paesi e regioni, come l’Unione europea, il Canada e l’Argentina, è che la Cina ha scelto di concentrarsi sulla riduzione dell’intensità della produzione di emissioni, piuttosto che sulle emissioni assolute».
Evidentemente, tra colot ro che considerano l’ETS cinese poco efficace c’è anche l’inviato statunitense per il clima John Kerry che ieri ha invitato la Cina ad aumentare la velocità e la profondità dei suoi sforzi per ridurre le emissioni di carbonio.
Secondo Kerry, «Senza sufficienti riduzioni delle emissioni da parte della Cina, l’obiettivo globale di mantenere le temperature sotto gli 1,5° C è sostanzialmente impossibile».
Kerry, durante un riunione ai Kew Gardens di Londra in vista dell’imminente summit dei ministri dell’ambiente del G20 ia Napoli, si è detto convinto che «la Cina potrebbe fare di più e gli Stati Uniti sono disposti a lavorare a stretto contatto per garantire un futuro climatico ragionevole. Ogni grande economia deve ora impegnarsi a riduzioni significative entro il 2030».
Riferendosi alla cruciale Conferenza delle parti Unfccc che si terrà a Glasgow a novembre, l’ex Segretario di Stato Usa ha detto che «In poco più di 100 giorni possiamo salvare i prossimi 100 anni. Farlo non sarà facile. Le promesse fatte durante e dopo l’accordo sul clima di Parigi nel 2015 vedrebbero comunque aumentare la temperatura mondiale di 2,5 – 3° C». Poi, commentando le recenti ondate di caldo negli Usa e in Canada e le inondazioni mortali in Europa ha evidenziato che «Stiamo già assistendo a conseguenze drammatiche con 1,2° C di riscaldamento. Contemplare il raddoppio significa invitare alla catastrofe».
Forse anche in Italia a qualcuno come il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, che aveva appena chiesto di rallentare le iniziative per contrastare il riscaldamento globale, sono fischiate le orecchie.
BBC News ricorda però che a maggio proprio Kerry è stato criticato da alcuni scienziati per aver respinto l’idea che gli americani dovrebbero cambiare le loro abitudini di consumo, ad esempio mangiando meno carne
Kerry (riferendosi evidentemente alla Cina) ha condannato le politiche energetiche di alcuni Paesi che stanno ancora costruendo nuove centrali elettriche a carbone ed è stato durissimo nei confronti delle nazioni (come il Brasile e l’Indonesia) che stanno abbattendo illegalmente la foresta pluviale: «Stanno allo stesso tempo rimuovendo i polmoni del mondo, distruggendo la biodiversità insostituibile e destabilizzando il clima.
Per quanto riguarda la Cina, Kerry ha detto che «Ora è il più grande motore del cambiamento climatico» e che gli impegni presi finora da Pachino non sono sufficienti perché «Se la Cina si attiene al suo impianto attuale e non raggiunge il picco delle sue emissioni fino al 2030, allora l’intero resto del mondo deve arrivare al net zero entro il 2040 o addirittura nel 2035. Semplicemente non c’è alternativa perché senza una riduzione sufficiente da parte della Cina, l’obiettivo di 1,5° C è essenzialmente impossibile. La partnership e la leadership della Cina su questo tema che ha straordinarie conseguenze internazionali è essenziale».
Kerry è convinto che «La Cina potrebbe superare gli obiettivi che si era prefissata e, nonostante le differenze diplomatiche, gli Stati Uniti sono desiderosi di collaborare. Anche tutte le altre principali economie». dovrebbero intensificare la loro azione climatica, con obiettivi e piani più ambiziosi per il prossimo decennio».
Le dichiarazioni di Kerry arrivano quando il nuovo studio “Climate Policy Factbook – Three priority areas for climate action” di BloombergNEF dimostra che i paesi del G20 continuano a sostenere i combustibili fossili in modi incompatibili con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Secondo il Climate Policy Factbook, dal 2015 al 2019 i Paesi del G20 hanno tagliato collettivamente i finanziamenti per i combustibili fossili di solo il 10%, ma 8 paesi, tra i quali proprio gli Usa e anche Canada e Australia, hanno aumentato il loro sostegno finanziario a petrolio, carbone e gas Va anche detto che le politiche climatiche di Joe Biden stanno radicalmente cambiando quelle pro-fossili di Donald Trump.
La scorsa settimana, Kerry è andato a Mosca, dove Usa e Russia hanno convenuto che la questione climatica è di interesse comune e il presidente Vladimir Putin ha detto che «La Russia attribuisce grande importanza al raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima».
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Per quanto riguarda l’Italia, il Climate Policy Factbook evidenzia che «A differenza di altri Stati membri dell’Ue come Francia e Germania, l’Italia non ha stabilito un obiettivo net zero. Tuttavia, l’impegno a livello dell’Ue è stato legiferato il 28 giugno 2021, insieme a un ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030. Raggiungere questi obiettivi richiederà al governo italiano di aumentare il sostegno politico per le tecnologie pulite ed efficienza energetica, in particolare per l’industria e i combustibili a basse emissioni di carbonio».
Però «L’Italia ha ottenuto la terza più grande diminuzione del sostegno ai combustibili fossili nel 2015-19
(33%) e il più grande per i membri dell’OCSE del G-20. Quasi tre quarti del totale del 2019 erano sotto forma di agevolazioni fiscali (soprattutto per i consumatori). Queste hanno anche rappresentato la quasi totalità delle misure individuate».
Inoltre, «Il governo ha iniziato a decarbonizzare il sistema elettrico, riducendo la quota della produzione di combustibili fossili dal 78% nel 2010 al 64% nel 2019. Ma il settore energetico dei combustibili fossili conserva una quota considerevole del sostegno totale (12%) rispetto ad altri Paesi sviluppati del G-20. In qualità di partecipante all’EU ETS, l’Italia ha registrato prezzi del carbonio in media di 32,34 euro (38,39 dollari) nell’ultimo anno, rispetto ai 24,74 euro (27,41 dollari) dei precedenti 12 mesi. A differenza di Francia e Germania, l’Italia non un proprio prezzo del carbonio separato. La valutazione del rischio climatico è richiesta in Italia attraverso la Tassonomia UE e il Sustainable Finance Disclosure Regulation e il Task Force on Climate-related Financial Disclosures (TCFD) sono un quadro raccomandato . Tuttavia, l’Italia ha pochi sostenitori del TCFD, il che renderebbe di più difficile attuare una politica TCFD obbligatoria.. Gli asset manager devono eseguire alcuni report di sostenibilità generici, ma lo sviluppo delle politiche sul rischio climatico avrà anche un impatto diretto su di loro. La banca centrale italiana fa parte dell’iniziativa Network of Central Banks and Supervisors for Greening the Financial System (NGFS)».