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FACCIAMO IL PUNTO SUL PROCESSO TAMOIL| S.Ravelli

| Scritto da Redazione
FACCIAMO IL PUNTO SUL PROCESSO TAMOIL| S.Ravelli

Il processo Tamoil è giunto oramai nella sua fase finale. Sono stati sentiti i periti nominati dal giudice Salvini in contraddittorio con le parti, i difensori degli imputati hanno avuto modo di depositare le loro controdeduzioni e sono in corso le ultime audizioni dei consulenti tecnici della difesa e delle parti civili. Nel giro di un paio di udienze verrà esaurita questa fase istruttoria, poi finalmente si passerà alla discussione conclusiva e successivamente alla sentenza di primo grado.

Al centro del confronto fra i periti e i consulenti di parte è il momento in cui si è prodotto l'inquinamento: prima o dopo l'insediamento della società Tamoil?

I periti nominati dal giudice Salvini (i chimici Mauro Sanna e Bruno Greco, il geologo Roberto Monguzzi) hanno ricostruito l'intera storia dell'insediamento produttivo che, come sappiamo, nasce come deposito negli anni '50 e si sviluppa come raffineria negli anni '60, con vari passaggi di proprietà, dai F.lli Camangi agli americani dell'Amoco e, infine, a metà degli anni '80, ai libici della Tamoil. E' certo che in siti di questa natura si possa trovare un inquinamento di tipo storico, però dalla perizia disposta dal giudice Salvini emerge come questo tipo di contaminazione sia continuata sicuramente dopo il 1983, momento in cui la raffineria viene acquistata dalla società Tamoil, e che da allora sia proseguita fino al 2007, ma anche dopo, in quanto nonostante la messa in sicurezza attraverso la barriera idraulica la contaminazione delle aree delle canottieri non è mai stata del tutto eliminata, come dimostrano gli accertamenti effettuati dall'Arpa nel 2011. La presenza fra gli inquinanti del MTBE dimostra inoltre che l'inquinamento proviene soltanto dallo stabilimento Tamoil in quanto l'additivo è stato introdotto da Tamoil solo a partire dalla metà degli anni '80.

Il processo prende in esame il periodo fino al 2007, data d'inizio dell'indagine della Procura di Cremona. Va specificato che soltanto a partire dal 2007 la Tamoil ha messo in funzione la barriera idraulica, un'opera di contenimento costituita da pozzi di emungimento installati lungo il perimetro della raffineria che riescono ad intercettare gran parte del prodotto petrolifero disperso nell'ambiente.

Nel corso dell'udienza dello scorso 5 novembre è stato sentito il geologo, esperto di bonifiche, Gianni Porto, consulente della parte civile Gino Ruggeri, l'esponente radicale che si è costituito in sostituzione del Comune di Cremona, soggetto danneggiato.

Il consulente Porto, a seguito dell'analisi dell'imponente documentazione agli atti del processo (oltre 20 mila pagine) ha prodotto una serie di osservazioni che vanno nella direzione dell'accertamento della verità storica rispetto alla contaminazione e alle opere che la Tamoil ha effettuato e avrebbe dovuto effettuare all'indomani dell'entrata in vigore nel 2001 del decreto legislativo n. 471 riguardante i siti contaminati. Detto decreto fissava il termine del 30 marzo 2001 entro il quale era possibile per tutti gli impianti produttivi effettuare una autodenuncia e dichiarare la condizione di contaminazione onde poter aprire le procedure tecnico-amministrative che avrebbero consentito all'inquinatore di evitare di incorrere nel reato penale di omessa bonifica. Anche la Tamoil, il 30 marzo 2001 (ultimo giorno utile), ha effettuato la propria autodenuncia, dichiarando uno stato reale di inquinamento dei suoli all'interno dello stabilimento e dichiarando, altresì, testualmente che “non ci sono i presupposti per mettere in atto misure di sicurezza d'emergenza” per impedire la propagazione di questo inquinamento verso l'esterno. A prova di questa situazione di tranquillità verso l'esterno, la Tamoil adduce l'esistenza di un manufatto civile, il cosiddetto “taglione”, che avrebbe dovuto impedire la migrazione della falda contaminata e del prodotto idrocarburico verso le zone esterne occupate dalle società canottieri.

In realtà il “taglione” è un'opera idraulica costruita negli anni '60 a difesa dell'argine maestro del fiume Po e non aveva come obiettivo quello d'impedire la contaminazione ambientale. Secondo i periti del giudice Salvini e il consulente Porto, non ci sono evidenze scientifiche certe che il “taglione” abbia potuto impedire la migrazione delle sostanze inquinanti. Quello che è invece sicuro è che dal 2001 al 2007 non sono state adottate da parte della Tamoil misure di messa in sicurezza, bensì solo operazioni di indagine, prolungate anche oltre misura, in accordo con gli enti di controllo ambientale che hanno guidato questa l'indagine.

Secondo Gianni Porto, già dal 2001 sussistevano i presupposti per un intervento di emergenza. Questo intervento, come prevede espressamente la legge, doveva essere totalmente a carico della Tamoil e senza un preliminare assenso da parte degli enti di controllo ma da effettuare “motu proprio” nel più breve tempo possibile. L'intervento di messa in sicurezza d'emergenza (MISE), effettuato all'atto dell'autodenuncia, avrebbe potuto evitare i problemi che poi, nel 2007, in modo eclatante, sono emersi con l'inquinamento delle piscine delle canottieri e con la presenza dei gas idrocarburici nei pozzetti elettrici che hanno portato nel 2008 all'ordinanza del sindaco di chiusura delle canottieri stesse. Le evidenze scientifiche a supporto della tesi del consulente Porto, illustrate nel corso della già citata udienza del 5 novembre scorso, sono adesso al vaglio del giudice Salvini e potranno essere controdedotte dai periti di parte Tamoil nel corso della prossima udienza prevista per il prossimo 12 dicembre.

 

Cremona, 22 novembre 2013

 

Sergio Ravelli

presidente dell'Associazione

radicale Piero Welby

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