Giovedì, 02 maggio 2024 - ore 15.38

I fatti del 13 novembre a Parigi: rispondere alle domande dei bambini

Un documento che giunge da ADUC prova a rispondere alle domande dei più piccoli

| Scritto da Redazione
I fatti del 13 novembre a Parigi: rispondere alle domande dei bambini

Caro direttore,

di seguito, una piccola guida/manuale, che mettiamo a disposizione di chiunque, in privato o pubblico, voglia farne tesoro. Cosa è successo il 13 novembre?

Degli uomini, molto violenti, dei terroristi, si sono organizzati per attaccare Parigi, la capitale della Francia, Paese di cui l’Italia è come un fratello e dove molti di noi vanno per tanti motivi (studio, turismo, lavoro, trovare amici ecc.). Questi terroristi hanno fatto quelli che si chiamano attentati. Per imporre la loro visione del mondo, essi sono violenti e fanno del male alle persone, e sperano di mettere paura a tutto il mondo.

Venerdì sera, il 13 novembre scorso, questi uomini violenti hanno fatto esplodere tre bombe a Parigi, vicino allo stadio di calcio dove era in corso una partita della nazionale francese. Una persona è stata uccisa da un’esplosione. Nello stesso momento, altri terroristi sono andati in un quartiere a est di Parigi, popolare e molto abitato, e hanno sparato con fucili che in genere sono usati per fare la guerra. Altri terroristi sono entrati in un locale dove si teneva un concerto di musica, il Bataclan. Hanno sparato su delle persone che assistevano al concerto e, quando la polizia è arrivata, hanno fatto esplodere una bomba che avevano addosso. I poliziotti sono intervenuti per proteggere le persone.

I terroristi, in tutto, hanno ucciso 129 persone. I soccorsi per i feriti, che sono moltissimi, sono stati immediati. Questi sono ora all’ospedale e i medici li stanno seguendo. Anche sette terroristi sono morti venerdì sera a Parigi. Perché i terroristi hanno attaccato?

I terroristi, in genere, possono avere motivi diversi per quello che fanno. Alcuni vogliono impossessarsi di un pezzo di Paesi dove già ci sono altre persone: altri vorrebbero obbligare tutto il mondo a seguire la loro religione e ad avere le stesse loro idee. I terroristi di venerdì a Parigi fanno parte di un’organizzazione che si chiama ISIS. Non è un Paese: è stata creata da un gruppo di terroristi dieci anni fa, all’interno di un Paese che si chiama Iraq. Questi terroristi oggi comandano su alcune città in Iraq e un altra parte del territorio di un Paese vicino, la Siria.

I terroristi dicono di aver deciso di fare questi attentati a Parigi per vendicarsi della Francia. Essi sono molto arrabbiati perché la Francia, insieme ad altri Paesi, butta delle bombe sulla Siria. Lì c’è la guerra da più di quattro anni, la situazione è molto complicata anche perché il Governo di quel Paese è anch’esso violento verso i propri abitanti. La Francia, insieme ad altri Paesi, tra cui anche l’Italia, cerca di impedire che l’ISIS abbia delle armi e si organizzi.

Questi terroristi dicono di avere una religione, l’Islam; loro dicono di essere musulmani. Molte persone, la stragrande maggioranza, hanno la stessa religione, e sono invece molto tranquille e amano la pace. Ma questi che hanno fatto gli attentati praticano l’Islam in un modo particolare e non vogliono che altre persone siano diverse da loro, non si comportino come loro. Per esempio, vogliono che le donne siano completamente coperte da un velo pesante e che nessuno, se non i loro stretti parenti, le possano vedere, anche solo in faccia; non vogliono che le persone bevano alcolici e ascoltino della musica. Per imporre tutto questo a tutta la società, loro fanno uso della violenza. Questi terroristi sono jihadisti: dicono di battersi in nome dell’Islam, ma le loro azioni non hanno niente a che fare con questa religione.

Negli attentati di venerdì sera a Parigi si è anche parlato di kamikaze. Questi sono dei terroristi che uccidono sé stessi, facendosi esplodere con delle bombe che hanno messe sul loro corpo, e così uccidono anche le altre persone che sono intorno. Ed è per questo che si parla di attentati suicidi.

Cosa cambia nella nostra vita quotidiana? La televisione parla molto degli attentati, e anche tutti i grandi, è normale: quando si è sotto shock, quando si è tristi o arrabbiati, bisogna parlarne. Questi sono dei momenti difficili dove si sente il bisogno di stare insieme e di condividere ciò che si sente. Inoltre, la vita quotidiana è un po’ cambiata. Il Presidente della Repubblica francese, François Hollande, e anche tutti i capi di Governo degli altri Paesi, incluso il nostro, ci hanno detto che siamo in una situazione di emergenza. Questo vuol dire che alcune regole di vita quotidiana sono un po’ diverse: la polizia ha più poteri e può costringere le persone a restare nelle loro case. Per prudenza, a Parigi sono stati chiusi per due giorni diversi luoghi pubblici, come le scuole, le biblioteche e le piscine. Anche alcuni grandi negozi sono rimasti chiusi. Non solo a Parigi, ma anche da noi in Italia, diversi luoghi pubblici, come i monumenti e i musei e le grandi piazze in cui c’è sempre tanta gente, sono più sorvegliati dalla polizia. Questo non vuol dire che è pericoloso uscire di casa, ma solo che bisogna fare più attenzione.

In diversi luoghi del mondo, Italia inclusa, si sono tenuti dei minuti di silenzio: questo vuol dire che in ogni luogo ci si ferma, non si fa quello che si fa normalmente e ci si mette insieme, in gruppo. Durante un minuto non si parla e si pensa alle persone che sono state coinvolte in questi attentati, morti, feriti e persone che li conoscevano direttamente, e si rende loro omaggio in questo modo: è un modo di raccogliere i propri pensieri e di sentire che tutti noi siamo solidali con loro, e quindi per sentirsi tutti più forti. Si possono accendere delle candele per ricordare quelli che sono morti, o deporre dei fiori in loro ricordo in alcuni luoghi simbolici, come per esempio, qui da noi in Italia, davanti ai consolati e ai luoghi che in qualche modo ci ricordano Parigi e la Francia. Così fanno in tutto il mondo, anche mostrando la bandiera francese (blu, bianca e rossa) e dicendo «Je suis Paris», cioè «Io sono Parigi».

Tutti possono dare la propria solidarietà, per esempio facendo dei disegni e farli girare tra amici o su Internet, o più semplicemente andando coi propri genitori, parenti o amici più grandi, lì dove diverse persone si radunano.

E ora, che cosa succede? I poliziotti non sono riusciti a impedire che questi terroristi agissero, perché questi ultimi erano molto ben organizzati per non farsi scoprire prima degli attentati. Ma oggi ci sono molti più poliziotti e soldati che, per proteggerci, sorvegliano diversi luoghi delle nostre città. Anche se quanto è accaduto è molto triste e molto difficile, gli attentati sono comunque molto rari. Anche se a oggi nessuno può dire che non ce ne saranno più, anche in luoghi diversi da Parigi e dalla Francia.

Quando accadono fatti drammatici come questi, la paura può provocare delle cattive reazioni. Per esempio, alcune persone pensano che tutti quelli che sono musulmani sono di conseguenza violenti. Ma non è così. Ciò che è più importante per non far vincere i terroristi è continuare a vivere normalmente: è normale avere paura, e se ognuno di noi sente delle cose che non capisce o che gli danno fastidio, è bene parlarne con un grande, come i genitori o i propri insegnanti.

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