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Il cuore di carne di don Luisito Bianchi| Marco Pezzoni

| Scritto da Redazione
Il cuore di carne di don  Luisito Bianchi| Marco Pezzoni

Il cuore di carne di don  Luisito Bianchi| Marco Pezzoni
Sabato 7 gennaio 2012 a Vescovato, alle 14,30, nella chiesa di San Leonardo si celebrano i funerali di don Luisito Bianchi. Non trovo  gesto migliore per ricordarlo che rivolgere a lui le parole che Luisito dedicò nell'aprile 2009 a don Primo Mazzolari : " un cuore di carne non si può imbalsamare " .
In allegato 4 scritti raccolti dalla rivista Adista: il primo, un articolo del 1949 di Primo Mazzolari sul rischio atomico e sull' urgenza di rinnovare l'uomo e la sua umanità. Il secondo articolo ricostruisce il dialogo dell'aprile 2009 tra il movimento " Noi Siamo Chiesa" e don Luisito Bianchi sul modo migliore di attualizzare la profezia di Mazzolari. Il terzo è di Vittorio Bellavite che chiede, a nome del direttivo italiano di " Noi Siamo Chiesa", proprio a Luisito, in qualità di discepolo di Primo Mazzolari, il modo migliore e " alternativo" per ricordare Primo Mazzolari con un pellegrinaggio a Bozzolo di rappresentanti dello stesso movimento. Il quarto intervento è la risposta di don Luisito : profonda, anticoformista, umana, più antica delle montagne perchè nutrita dal Vangelo. Leggetela e sentirete e vederete la voce di Luisito sbriciolare con dolcezza e fermezza i muri del conformismo , le scorciatoie celebrative che tentano di mettere i profeti sul piedestallo dell'eccezionalità, per richiedere invece quel cuore nuovo e buono che, poi, è semplicemente un cuore di carne.

Marco Pezzoni, Forum per la pace e il diritto dei popoli " Primo Mazzolari"
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«Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro.
Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi.
Questo è il destino dei profeti»
Paolo VI

No alla Bomba
Il dubbio non è di oggi e non sono neanche il primo a pensarlo: oggi, però, me lo trovo davanti con volto nient’affatto accademico: oggi c’è dell’angoscia in chi pensa col cuore. Lo so purtroppo che il finire della storia difficilmente è regolato dai contemplatori: so pure che, nonostante il costo crescente del progresso, la più stupida delle religioni, noi continueremo su questa strada della speranza di pagare un giorno un po’ meno le nostre comodità: ma so pure che comodità non vuol sempre dire vivere da uomini.

E se esiste una intraducibilità, non è ragionevole che, dimenticando per un attimo la lusinga dell’utile immediato, misuriamo la pericolosità del nostro «vivere civile». Non c’è scoperta che non sia stata usata male e che il mal uso di essa non sia pesantemente ricaduto sull’uomo. Mi dispenso dalla documentazione. La colpa è dell’uomo che non vuole usarne bene. Sì, la colpa è nostra: ma constatare un fatto non vuol dire spiegarlo. C’è da vedere come mai non abbiamo saputo finora ovviare il grosso guaio di farci del male con le nostre mani: se ne possediamo la capacità; se è giusto che per un breve utile, limitato anch’esso a pochi, ci portiamo dietro, quasi fossimo dei condannati, non la croce ma il capestro di questa civiltà.

Prima di rispondere conviene riproporre, in termini semplici e reali, il problema dell’uomo e del suo destino. Il problema è grosso e le risposte sono molte. Senza pretendere d’imporre la mia, immagino che nessuna creatura ragionevole sia disposta ad accettare per sé e per i suoi una condizione umana, in cui un breve quasi ebbro respiro venga fatalmente scontato da una sorte paurosa, che scardina e inghiotte le cose nostre.

Che piacere può dare una casa a dieci piani, se la so destinata a rovinare sotto un tappeto di bombe col rischio di rimanervi sepolto con la mia famiglia? È da meno di una tenda o di un capanno di cocomeraio, ove, in qualche modo, mi riparo dalle intemperie e posso stare al sicuro dalle insidie degli uomini troppo intelligenti. Chi non farebbe volentieri senza aeroplani? I modesti servizi che hanno reso e che potranno rendere non compensano le rovine e i massacri che hanno causato. La prima bomba atomica distrugge Hiroshima, avanti di garantire «la pace». D’accordo. Ma se non riesco a guarirmi e queste scoperte provocano ed eccitano la mia sonnecchiante malvagità, non sarebbe da savio rinunciarvi, fino a quando almeno mi sentirò più padrone di me? Non è giusto che si spezzi una macchina per il solo fatto che ci abbiamo cavato un guaio.

Rinnoviamo l’uomo. Questa sarebbe la vera soluzione: meglio, l’impegno da prendere. Ma oggi, l’uomo ne ha le capacità? Ragionando concettualmente, non ne dovrei dubitare: ma davanti ai fatti, mi faccio estremamente cauto. Finora, e sono anni e anni, nonostante il molto predicare, abbiamo piuttosto peggiorato. Due guerre di inaudita barbarie teorica, in un quarto di secolo, e rivoluzioni altrettanto distruttrici, non bastano a farci persuasi che le autoblinde, i carri armati e adesso le bombe atomiche non servono la libertà e l’indipendenza, ma le tirannie e le dittature? Gli ordigni non ne hanno colpa, è vero: ma se ci mettono in tentazione di far male, perché fabbricarli? Almeno, fino a quando saremo in condizione d’animo di usarne senza nocumento. Come un tempo c’erano mostri naturali contro cui l’uomo primitivo dovette lottare fino al loro sterminio, così vi sono oggi mostri artificiali contro cui bisogna insorgere, non essendo capaci di domarli.

Si salveranno le invenzioni che riusciremo a rendere umane, come si sono salvati gli animali che l’uomo ha saputo addomesticare. Meno potenti e un po’ più uomini. È duro riconoscere che siamo gente limitata e che abbiamo bisogno di un limite anche al genio. Ma non si mortifica il genio: si ferma l’uomo sulla linea dell’uomo. Quante rovine e asservimenti in terra d’uomo, col pretesto di farci grandi! Vogliamo scuotere anche le catene di questa disumana grandezza che ha bisogno di miracoli fatturati e di troppi schiavi.

Che ne faremo di questi mostruosi strumenti della nostra civiltà meccanica? Li metteremo in un museo, accanto ai dinosauri antidiluviani: e quando saremo veramente fratelli tra di noi, se ce ne resterà il gusto, li tireremo fuori.

Primo Mazolari
Da Avvenire, 4 aprile 2009

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UN CUORE DI CARNE NON SI PUÒ IMBALSAMARE  SULL'AMBIGUA "CANONIZZAZIONE" DI MAZZOLARI
Un francobollo a lui dedicato, un annullo filatelico, celebrazioni, convegni, pubblicazioni. Addirittura una commemorazione alla Camera dei Deputati, presieduta da Gianfranco Fini (ironia della sorte, proprio dall'epigono di quell'ideologia di cui fu sempre irriducibile oppositore): il 50.mo della morte di don Primo Mazzolari non è passato di certo inosservato. Anzi, forse il prete pacifista ed antifascista di Bozolo, anticipatore della stagione conciliare e del dialogo tra cattolici e sinistra, viene in queste settimane anche un po' troppo celebrato. Tanto da far pensare che la sua esaltazione postuma sia più funzionale alla normalizzazione della sua figura, alla narcotizzazione del suo pensiero profetico, che ad una ricostruzione rigorosa del suo percorso politico ed ecclesiale (il Tg1, nell'edizione delle 20 del 21 aprile, ne ha ricordato l'impegno nella lotta al comunismo...).

A pensarla così è anche don Luisito Bianchi, scrittore e già prete operaio, che don Primo lo ha conosciuto bene. In una lettera inviata al coordinatore nazionale di "Noi Siamo Chiesa" Vittorio Bellavite, che gli aveva chiesto una riflessione sulla figura di don Primo in occasione di un pellegrinaggio "alternativo" a Bozzolo che il movimento aveva organizzato per lo scorso 18 aprile, don Luisito scrive infatti: "Accetto tutta l'ufficialità come il prezzo che questo nostro grande fratello deve pagare, come altri che lo precedettero su questa linea, a tranquillizzare a basso prezzo buone coscienze, perché non è possibile imbalsamare un cuore di carne che continuamente pulsa negli scritti e nei comportamenti di don Primo"

La pace. "Adesso"

Nato nel 1890, figlio di agricoltori socialisti, Mazzolari ebbe una vocazione molto precoce e fu ordinato prete nel 1912. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si schierò con gli interventisti, ma dall'esperienza bellica, cui partecipò da cappellano militare, tornerà – come tantissimi altri intellettuali italiani - profondamente deluso e cambiato. Dopo la guerra, don Primo divenne parroco a Cicognara e poi a Bozzolo, due centri in provincia di Mantova (diocesi di Cremona), dove trascorrerà tutta la vita. Lì, a partire dal rifiuto della guerra, approfondì un percorso umano e religioso che lo porterà ad assumere posizioni di radicale pacifismo, fino a pubblicare, in forma anonima, nel 1955 un piccolo Tu non uccidere, che resta la testimonianza di una delle posizioni più avanzate del pacifismo cristiano.

Per questo sua intransigente radicalità politica ed evangelica, don Primo non poté che schierarsi, sin dall'inizio, contro il fascismo. Già nel 1922, a proposito di certo entusiasmo cattolico verso il nascente regime, scriveva che "il paganesimo ritorna e ci fa la carezza e pochi ne sentono vergogna". Nel novembre del ‘25 si rifiutò di cantare il Te Deum organizzato in tutte le chiese italiane come ringraziamento a Dio per aver sventato un attentato a Mussolini. Nel ‘29 si rifiutò di partecipare al plebiscito che seguì la ratifica dei Patti lateranensi.

Nel 1943, alla caduta del fascismo, don Primo strinse rapporti con la Resistenza. L'anno successivo fu arrestato dai nazifascisti. Liberato, entrò in clandestinità fino alla Liberazione. Nel dopoguerra si schierò a fianco della Democrazia Cristiana, ma su posizioni di sinistra, vicine a quelle di un celebre dirigente cattolico cremonese, Guido Miglioli, ex organizzatore sindacale dei braccianti cattolici ed ex deputato del Partito Popolare. Nel dopoguerra Miglioli era però approdato alla collaborazione stretta con il Partito Comunista. Mazzolari no, anche se nel 1949 - anno della scomunica di Pio XII ai comunisti – scrisse: "Combatto il comunismo, amo i comunisti". Quello stesso anno iniziava le sue pubblicazioni Adesso, un giornale fondato da Mazzolari per dare spazio alle "avanguardie cristiane". La testata, cui si "abbeverarono" figure cardine del cattolicesimo conciliare (come Milani, Turoldo e Balducci) andò incontro a polemiche e traversie, e fu anche accusato di essere finanziato dai comunisti. Mazzolari subì da parte della gerarchia ecclesiastica pesanti sanzioni, come    la proibizione di predicare fuori diocesi senza il consenso dei vescovi interessati e il divieto di pubblicare articoli senza preventiva revisione ecclesiastica. Dovette anche cedere la direzione del giornale, cui continuò però a collaborare. Fu però molto amato dal card. Roncalli, che vide papa per appena un anno, morendo nel 1959.

In una udienza concessa da Paolo VI alla sorella di don Primo, dieci anni dopo la morte del parroco di Bozzolo, il papa, già da diversi anni estimatore di Mazzolari disse: "Hanno detto che non abbiamo voluto bene a don Primo. Non è vero. Anche noi gli abbiamo voluto bene. Ma voi sapete come andavano le cose. Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto noi. Questo è il destino dei profeti".

Per ricordare in modo non retorico la figura di don Primo, nel tentativo di restituirgli tutta la sua profetica radicalità, ecco qui di seguito la lettera di don Luisito Bianchi, preceduta da quella di Vittorio Bellavite.

Valerio Gigante

www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=45259

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Una lettera a don Luisito Bianchi
Carissimo don Luisito,

il direttivo di Noi Siamo Chiesa ha deciso nella sua riunione di domenica 29 di organizzare per sabato 18 aprile un pellegrinaggio alla tomba di don Primo Mazzolari  a Bozzolo (ore 11,  Chiesa di S. Pietro) in occasione del cinquantesimo della sua morte. Ad esso invitiamo tutti quanti si sono formati al suo insegnamento e ne vogliono mantenere un ricordo non inquinato da una comoda e facile propaganda enfatica e stupidamente apologetica.

Abbiamo anche deciso di chiederti cortesemente, in quanto discepolo di Mazzolari, quali siano i tuoi sentimenti e le tue opinioni in questa occasione. In particolare su :

 - quali siano in sintesi i punti principali del messaggio di Mazzolari che sono tuttora validi per ogni credente nell’Evangelo;
 - cosa pensi delle tante celebrazioni in corso per il cinquantesimo gestite dall’ufficialità della Chiesa, che è la stessa che molto lo avversò in vita;
 - se credi, quali sono stati i tuoi rapporti personali con Mazzolari.

Ti ringrazio anticipatamente anche a nome di tutti noi di Noi Siamo Chiesa.
Un abbraccio di pace nel nome del Signore
Vittorio Bellavite

Milano 2 aprile 2009

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Don Mazzolari, un cuore di carne
Caro Vittorio,

mi chiedi che pensi dell’ufficialità che si costruisce attorno a don Mazzolari nel cinquantesimo della sua morte, un’occasione attesa e preparata per onorare i comportamenti, i sentimenti, la memoria insomma di questo nostro fratello la cui vita è stata intensamente vissuta davanti alla Parola che non passa, all’amore del Padre fatto carne in Gesù Cristo.

Debbo fare una precisazione che mi sembra importante anche se potrebbe sembrare una questione formale. Tu mi chiedi che parli di don Mazzolari “in quanto suo discepolo”. In questa espressione ci può essere un equivoco. Innanzitutto, come lo conobbi io, don Mazzolari non voleva discepoli che lo imitassero. E penso che non ci fosse nulla da imitare. Don Mazzolari indicava chi bisognava imitare, ponendosi sempre come discepoli.

Il mio Maestro, diceva parlando dei comportamenti evangelici. Don Primo incentrava tutta l’influenza che la sua eccezionale parola e sensibilità suscitava senza nemmeno ricercarla, verso l’evangelo. Cercava collaboratori, questo sì, alla maniera dell’apostolo perché gli fossero d’aiuto e di sostegno nell’opera che sentiva come una missione. Forse ci fu chi poco intelligentemente pensò a un’imitazione di facciata, rasentando il ridicolo. Se ci fu qualche tentativo in questo senso si sciolse nel nulla, al suo timido apparire.

Questo non significa che don Primo non esercitasse un’influenza straordinaria. Parlo per me. Nella mia decisione a scegliere nella vita di diventare prete, i libri e l’esempio di don Primo ebbero una grande importanza; soprattutto sul modo di esercitare il sacerdozio, se mai fossi giunto a tale meta. L’influenza andava al cuore dell’evangelo senza che altre considerazioni potessero intromettersi, e che oggi sembrano essere addirittura la ragione dei fari puntati su don Primo in occasione del 50mo della sua morte.

Lo si vuole onorare definendolo un Profeta. È un modo piuttosto sbrigativo per non chiederci che cosa ha lasciato, trasmesso, alla chiesa tutta, e interrogarci se l’unico modo di onorarlo non sia quello di riprendere la sua passione di evangelizzatore. Non fu un profeta perché continuamente indicava, come Giovanni il Battista, Colui che aveva realizzato in sé ogni profezia. Chiamandolo profeta si corre il rischio di legittimare il comportamento d’incomprensione nei suoi confronti e di chiudere la questione innalzando il monumento al Profeta che non poteva essere compreso e che, quindi, seguì la sorte d’ogni profeta che non è mai accetto fra i suoi.

Si dice anche che precorse i tempi. Non c’è tema che don Primo abbia trattato e non sia definito un precorrere i tempi, avendo, ad esempio, come punto di riferimento, perfino il Concilio. Precorse anche il Concilio. Io penso che a interrogarlo allora, quando non si faceva questione né di profezia né di anticipazione dei tempi, don Primo avrebbe risposto che il tempo era ormai compiuto in Cristo, la pienezza del tempo altro non era che Cristo crocifisso e risorto, che il Padre ci aveva donato come segno del suo amore assoluto per l’uomo.

E allora, che cosa richiederei perché l’avvenimento del 50mo della morte sia l’occasione per accogliere e fare propria, come Chiesa, la sua testimonianza di chiesa? Mi rifaccio ancora alla mia esperienza personale. Non è che in casa mia, trattandosi della scelta che intendevo fare, la cosa fosse pacifica. Mio padre mi diceva che i preti non avevano cuore e che l’unico che lui conosceva veramente di cuore, don Primo, era messo al bando dalla Chiesa a dimostrazione che essa non voleva preti di cuore. Fino all’ultimo – dico alcuni minuti prima che entrassi negli esercizi del suddiaconato – batté per l’ultima volta su quel tasto. Non poteva accettare che suo figlio non potesse avere cuore. Al mio sorriso aggiunse: “Se proprio vuoi fare il prete, fallo giusto”. Sapevo che cosa intendeva con quell’aggettivo: avere cuore e non cercare soldi, come don Primo.

Ecco, non si dovrebbe dimenticare, in tutta l’ufficialità dei riconoscimenti – dicono perfino sedute alla Camera, un francobollo commemorativo, discorsi ufficiali di chi non conobbe don Primo e riuscirà a diventare punto di riferimento anche nella banalità – che don Primo ebbe un cuore di carne, come il suo Maestro oltretutto. Fin dalla prima omelia, giovanissimo curato in un paesetto a pochi chilometri da Cremona sul Po, ebbe la testimonianza della Nina: “Signor Curato, per essere la prima volta ha proprio parlato con cuore”. Credo che anche l’ultima volta a pochi giorni dalla morte, ci fosse stata la Nina gli avrebbe detto: “Signor Parroco, per essere l’ultima volta ha proprio parlato con cuore”. Fra la prima e l’ultima c’è stata di mezzo tutta la vita di un cuore che bruciava da consumarsi, come aveva splendidamente previsto il vecchio parroco della Nina che aveva udito, anche lui, la prima omelia: “Quel ragazzo ha del cuore fino in bocca”. Vecchio di vita ed esperienza, aveva aggiunto con una lucidità impressionante, che sembrava illuminare le fatiche e le gioie di avere, come prete, un cuore di carne: “Penserà ben qualcuno nella vita a farglielo rimasticare”. Non si dice nulla di strano a lamentare nella chiesa di oggi la quasi assenza di un cuore di carne alla maniera d’un Giovanni XXIII (non per niente in un fugace apparire questo papa e don Primo s’intesero e si sorrisero). Chissà, fosse ancora vivo, soprattutto in questi ultimi tempi, come avrebbe dovuto rimasticarlo, questo suo cuore!

Credo, caro Vittorio, che questo sia il lascito di don Primo alla chiesa, un dono che anche lui ha ricevuto attraverso avvenimenti e persone che gli hanno costruito il cuore. Allora accetto tutta l’ufficialità come il prezzo che questo nostro grande fratello deve pagare, come altri che lo precedettero su questa linea, a tranquillizzare a basso prezzo buone coscienze, perché non è possibile imbalsamare un cuore di carne che continuamente pulsa negli scritti e nei comportamenti di don Primo. Ormai il dono è irrevocabile per don Primo e per la sua chiesa, la promessa pasquale già avverata come Profezia: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36, 26). E tutto questo, nella stessa Profezia realizzata, “non per riguardo a voi, ma per amore del mio nome santo”. Per amore del Cuore di Carne di Cristo, come cercò di dimostrare don Primo in tutta la sua vita.

Caro Vittorio, potrebbe essere questa lettura della vita e della testimonianza di don Primo un impegno di “Noi siamo chiesa”, dato che volete onorare anche voi don Primo nella semplicità del cuore e nella verità della mente.

Tuo Luisito
da “Noi Siamo Chiesa” , 15 aprile 2009
Viboldone, 15 aprile 2009

 

 


 

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