Mercoledì, 01 maggio 2024 - ore 16.24

Il punto di Rosario Amico Roxas. Il radicalismo arabo-islamico

La guerra non è un gioco di società, come sembra che sia interpretato dal politicume che cerca consensi, anche formulando idiozie

| Scritto da Redazione
Il punto di Rosario Amico Roxas. Il radicalismo arabo-islamico

ISIS e Al Qaeda non hanno scatenato la loro violenza «in nome di Dio» o per una «guerra di religione»; piuttosto si servono della religione per attirare le masse popolari costrette a subire l’aggressività economica dell’Occidente in una nuova colonizzazione finanziaria che mantiene lo status quo della stragrande maggioranza. Si tratta dell’esasperazione del nazionalismo arabo, che in molte regioni è riuscito a coniugare il nazionalismo con il fondamentalismo religioso, formando una miscela altamente esplosiva. Una guerra di difesa da parte dell’Occidente diventa legittima, ma se si svolge in casa dell’Occidente in caso di aggressione, anche terroristica.

La pretesa occidentale di ripetere gli errori del passato con una guerra di difesa, ma fuori dal proprio territorio, trasforma tale attività bellica come guerra di offesa, perché non esiste neanche il concetto di una guerra di difesa preventiva; meno che meno esiste un’aggressione esterna chiamandola «missione di pace», imponendo regole di ingaggio legate al Codice militare di guerra. I soli che possono o potrebbero disgregare l’unità nazionalista che coinvolge anche il fondamentalismo islamico, sono gli stessi islamici, seguendo le indicazioni che provengono dalle massime autorità religiose ìslamiche, cioè i Gran Muftì e i Consigli degli Ulema, come è accaduto, ma non adeguatamente divulgato, con il Consiglio degli Ulema di Rihad e del Cairo, nonchè dal Gran Muftì d’Egitto. Non si riesce a capire il silenzio che ha avvolto queste iniziative, che condannano senza appello le violenze fondamentaliste.

Separare il nazionalismo dall’Islamismo non è compito dell’Occidente, sarebbe un ulteriore fallimento; è compito dei Paesi arabi, anche con il sostegno dell’Occidente, ma senza velleità belliche. Sono i capi politici che si sono fatti capi religiosi di una delle tante deviazioni dell’Islam, al fine di tenere sotto controllo le masse popolari, che possono e debbono utilizzare il loro ascendente in campo religioso per condannare il fondamentalismo nazionalista, controproducente anche per le nazioni arabe. L’ascesa di un violento nazionalismo arabo vorrebbe apparire come responso alla povertà, alla disoccupazione, allo scarso accesso alla giustizia; come risposta alla mancanza di istruzione, alla corruzione, alla perdita di fiducia nei sistemi politici, o alle sofferenze degli indigenti e dei lavoratori.

Come verità parziali, sono indiscutibili. Coloro che vengono condannati a vivere una vita priva di speranza e di felicità sono di certo vulnerabili al richiamo dei demagoghi religiosi, che offrono una felicità futura in cambio di obbedienza incondizionata nel presente. Da qui nasce e si sviluppa la fusione tra nazionalismo e fondamentalismo religioso, che diventa radicalismo islamista che mette gli stessi musulmani l’uno contro l’altro, oltre che contro il mondo in generale.

Il radicalismo islamista ha raggiunto una presenza strabordante in Pakistan e Afghanistan. Sta anche rapidamente cambiando il tessuto sociale in Bangladesh, e sta peggiorando le relazioni, in India, tra la minoranza musulmana e la maggioranza hindu. Il Pakistan è nella morsa di un’insorgenza islamista su vasta scala. Incapace di contrastare il mix tossico di religione e nazionalismo tribale, il governo di Islamabad ha perso la sua autorità amministrativa nelle maggior parte delle aree confinanti con l’Afghanistan. I talebani hanno il pieno controllo amministrativo di numerose aree tribali, e hanno costretto i governanti locali alla fuga.

Esempi di tentativi di coinvolgere insieme il nazionalismo con il fondamentalismo islamico non mancano: i sovrani del Marocco vantano la diretta discendenza da Maometto; i sovrani della Giordania preferiscono definirsi “re degli hascemiti” piuttosto che dei giordani; gli hascemiti appartengono alla tribù di appartenenza di Maometto, e vantano il diritto di essere considerati “custodi delle città sante”, che si trovano in Arabia, sotto la dinastia Saud che ne rivendica l’appartenenza, con un’insanabile frattura tra le due case regnanti; a loro volta i Saud legittimano il loro potere con l’appartenenza alla confessione Waabita, alla quale, per motivi di cartello petrolifero, hanno aderito gli emiri del golfo, gli Al Sabbah del Kuwait, e i gli Yemeniti e i teocratici Omanidi; la Siria ufficialmente è una repubblica presidenziale, ma presidenziale al punto da non potersi distinguere da una monarchia assoluta, anch’essa avallata dall’appartenenza alla confessione alawita; anche il laico libano di Jhumblat è governato in nome di un’enclave drusa che trae origine da Al Darazi, che secoli fa fondò una delle tante scissioni sciite che approdò a un movimento politico del quale oggi Walid, come prima di lui il padre, è signore e padrone.

Ora devono essere questi stessi personaggi che dovranno esercitare la loro influenza per neutralizzare ciò che è loro sfuggito di mano; in questa senso avrebbe motivo di essere la collaborazione con il pianeta occidentale.

Rosario Amico Roxas

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