Domenica, 12 maggio 2024 - ore 00.11

Il punto di Rosario Amico Roxas. Le radici dell’uomo

Di seguito, l’analisi di Rosario Amico Roxas

| Scritto da Redazione
Il punto di Rosario Amico Roxas. Le radici dell’uomo

In questa Europa dove è stato sancito il primato religioso del cattolicesimo con quel libercolo firmato a quattro mani dall’allora cardinale Ratzinger e dal ragioniere filosofo Marcello Pera, Senza radici, in cui si vorrebbe esaltare razionalmente il cattolicesimo, sotto la spinta di una cultura pangermanica che non contempla la carica umanistica dell’originalità delle parole di Cristo.

Senza radici sarebbe l’Europa multirazziale e relativista; l’Europa progressista che vuole adeguarsi alla evoluzione dei tempi che non permettono più discriminazioni di razza, pelle, religione. Questa apertura, che fu del Concilio Ecumenico Vaticano II, viene rigorosamente rigettata sia dal rag./prof. Pera che dall’allora cardinale Ratzinger. L’itinerario non si interruppe, come non si è interrotta la connivenza fra i due, si è anzi rinforzata con l’elezione al pontificato di Benedetto XVI, al punto da far diventare Pera un «cardinale ateo e laico», portavoce ufficioso del pontefice. L’apertura all’adeguamento dei tempi voluta e sancita dal Concilio Vaticano II, venne rinnegata per riportare la Chiesa al conservatorismo di stampo post medievale.

Tale conservatorismo si evince dalle stesse parole usate, «senza radici», perché si guarda al passato come qualcosa non suscettibile a evoluzione alcuna.

Il progressismo verso i tempi nuovi di dialogo valuta i frutti che quelle radici hanno prodotto e utilizza anche innesti diversi per migliorare i frutti; innesti di altre culture, di altre religioni, di altre razze, tutti unificati dalla vocazione di proiettarsi avanti.

Dalle radici di Pera/Ratzinger sono nati i frutti del male, le discordie, la presuntuosa pretesa di un primato occidentale che finisce con il volersi imporre forzando l’uso dei mezzi più cruenti.

Con il Viaggio Apostolico in Brasile in occasione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi (9-14 maggio 2007) Benedetto XVI perfezionò il suo ruolo di capo dello Stato vaticano che disprezza e mortifica i popoli della fame, gli esclusi, le vittime, indossando paramenti con 18 km. di fili d’oro e 16 km. di filo d’argento, cuciti da suore di clausura brasiliane e con lo sfarzo degli ermellini: un viaggio diplomatico, quindi e non un pellegrinaggio apostolico per confortare gli abitanti delle favelas e i bambini viados, che furono fatti sparire dalla visibilità delle strade per non “urtare” la sensibilità del sovrano assoluto dello Stato città del Vaticano. Ma si parla di radici… E sono le radici che portarono Bush in Vaticano, con quella scampagnata nei giardini vaticani, quando Benedetto XVI chiese e ottenne da Bush l’immunità, in quanto capo di Stato in carica in vista dell’imminente viaggio negli USA, essendo stato posto sotto accusa da una corte del Texas per “ostacolo alla Giustizia”, con quella lettera ai vescovi americani Crimen sollicitationis, nella quale imponeva, pena la scomunica, il silenzio sui fatti di pedofilia, che dovevano essere affrontati e risolti nella penombra delle sacrestie, assolvendo i colpevoli e condannando le vittime; furono le radici che legarono, in una unione innaturale, il Vaticano alle lobby piduiste, berlusconiane, con il tramite di Pera che faceva l’ambasciatore di Berlusconi in Vaticano.

È diventata una «moda», un urgente costume, quello di appellarsi alle «radici cristiane» dell’Europa e dell’Italia; un costume che venne assunto da personaggi in cerca d’autore, incerti tra il loro stesso modo di essere e di vivere e l’esigenza di dover apparire per conquistare i consensi del pianeta cattolico.

Chi utilizzava questi termini non possedeva alcuna sensibilità religiosa, non «serviva» la causa religiosa, ma «si serviva» della religione per recuperare facili e gratuiti consensi e promozione di una immagine falsamente populista.

Da credente non ho mai permesso di essere rappresentato da questi squallidi personaggi. Ho riletto più volte le Sacre Scritture, senza trovare da nessuna parte l’urgenza di difendere le radici della fede (qualunque essa sia).

Questa rinnovata esigenze mi riporta indietro nelle pagine della Storia; poche pagine indietro che però rappresentano un’abisso in termini di sviluppo del pensiero sociale. Mi riportano alla Controriforma, al Concilio di Trento, alla Santa (!) Inquisizione, alla caccia alle streghe e agli alchimisti, a Giordano Bruno, a Galileo, e, quindi, alle Crociate che hanno insanguinato oltre due secoli.

Oggi torna la volontà di difendere le «radici», ma dove sono i frutti che queste radici hanno generato e procurato?

Il frutti del cristianesimo, ben coltivati dallo sviluppo sociale della Chiesa, iniziato con l’enciclica Rerum Novarum e proseguito con un crescendo sociale fino alla Centesimus Annus, si sono concretizzati nella «Sociologia del Nuovo Umanesimo».

Ma sono arrivati i professionisti della parola, incoraggiati dalla massima autorità dello Stato Città del Vaticano, irriconoscibile come pastore della Chiesa Universale i quali, ignorando tutto, pretendono di farsi difensori delle «radici cristiane» soltanto per potere giustificare il desiderio di rappresentare una parte di elettorato, non certo una parte dei credenti.

La nostalgia del passato mal si coniuga con l’adesione allo sviluppo del magistero sociale della Chiesa, come non si coniuga con la condanna delle stragi terroristiche compiute in nome di Dio. Anche il cattoilicesimo si macchiò del medesimo peccato, infervorando le masse nelle guerre di religione che furono le crociate al grido Deus vult. Si accusano gli islamici di essere in debito con la storia per almeno 600 anni, ma si manifesta nostalgia proprio di quel passato quando imperversavano le guerre di religione e i processi inquisitori che concludevano il loro itinerario in una pira di fuoco purificatore.

Se le radici del Cristianesimo hanno prodotto questi frutti e queste lacerazioni, allora non meritano di essere difese, perché hanno prodotto frutti amari, deleteri per la civile convivenza tra i popoli.

L’uomo precede la sua religione e la sua fede, per cui, se di radici vogliamo parlare dobbiamo farlo riferendoci alle «radici dell’uomo», le sole che accomunano l’intera specie umana; alla centralità dell’uomo e di tutti gli uomini, senza alcun immeritato primato.

Il pontificato di Benedetto XVI si è concluso con un’ineludibile dimissione, stante la constatazione del fallimento di una teologia razionalista e poco spirituale; è iniziato il pontificato di papa Francesco, con un diverso approccio alla Fede, combattuto dall’interno dai medesimi cardinali elevati alla porpora dal pontefice precedente e dimissionario; un pontificato proiettato verso il mondo unificato dalle “radici dell’uomo” senza esclusioni per motivi religiosi, culturali e razziali.

Rosario Amico Roxas

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