Domenica, 12 maggio 2024 - ore 02.26

Il punto di Rosario Amico Roxas sulla beatificazione di Paolo VI

Domenica 19 ottobre, papa Paolo VI sarà beatificato da papa Francesco. Un approfondimento sulla questione, firmato Rosario Amico Roxas

| Scritto da Redazione
Il punto di Rosario Amico Roxas sulla beatificazione di Paolo VI

È certamente sintomatica la decisione pontificia di beatificare Paolo VI proprio in questo periodo, quando il capitalismo segna la sua stessa fine, annegato nella stessa crisi che ha provocato. Papa Francesco eleverà all’onore degli altari papa Paolo VI a conclusione del Sinodo dei Vescovi; il rito della beatificazione del Ven. Servo di Dio Paolo VI avrà luogo in Vaticano il 19 ottobre. La beatificazione di Paolo VI riconosce la grande apertura di papa Montini ai valori sociali, superando i limiti e i confini di una religiosità consolatoria che fa appello alla “carità cristiana”, per sollecitare la solidarietà con quanti hanno maggior bisogno di essere sostenuti dai singoli, dalle Istituzioni e dai governi. Ho scritto molto su Montini pontefice e sulle sue encicliche, con particolare riferimento alla Populorum Progressio; quanti dovessero essere interessati possono ritrovare i miei scritti al seguente link, dove c’è una rubrica da me curata: www.ildialogo.org/DottrinaSociale/.

In questa occasione solenne desidero soffermarmi sul sacerdote e sull’uomo, prima che fosse chiamato a ricoprire il ruolo universale di Sommo Pontefice. Non potrei non cominciare da quella baracca, trasformata in chiesa, dove l’Arcivescovo di Milano, mons. Montini, celebrò la messa di Natale il 25 dicembre del 1955; quel giorno documentò al mondo che la Chiesa è nata tra i poveri ed è destinata ai poveri, ed è la sola voce che può e deve levarsi forte per sostenere i diritti dei più deboli e dei più fragili, di quelli che non hanno voce per farsi sentire. Come Arcivescovo, mons. Montini visitò l’America Latina e l’Africa, ma non si fermò ad ammirare i superbi reperti archeologici dei conquistadores o le bellezze naturali, ma guardò la realtà dell’indio e del negro, come realtà di uomini sofferenti in mezzo ad altri uomini opulenti ed egoisti; lì dovette maturare la convinzione del nuovo peccato commesso ogni giorno da quanti non vedono nel prossimo bisognoso la presenza di quell’Uomo che porta una Croce non Sua in giro per il mondo, appesantita dall’egoismo di tanti uomini, in una nuova Via Crucis dove si rinnova, stazione dopo stazione, il peccato sociale. Ricordando la pastorale del Natale 1955, in quel gelido tugurio dove il Cristo era presente nei derelitti di una Milano occupatissima a celebrare non il rinnovarsi del mistero della Natività, ma il rito del cenone, e la lettera enciclica Populorum Progressio, ritroviamo tutto l’itinerario dell’uomo Montini e la dilatazione degli orizzonti operata dall’assunzione della paternità universale. L’esigenza di toccare con mano la miseria che affligge una grande parte del mondo condusse Paolo VI, eletto al Pontificato, a visitare la Chiesa dei poveri in un pellegrinaggio che nel 1964 lo portò, innanzitutto, in Palestina, già allora terra travagliata e contesa. Un ulteriore viaggio fra i poveri portò Paolo VI fra gli orgogliosi grattacieli di New York, illuminati quotidianamente a festa, simboli tangibili di un’opulenza che mortifica tutta quella larga parte del mondo dei vinti, utilizzando l’illusorietà del benessere, destinato, però, solo a pochi privilegiati. A New York il Santo Padre non si soffermò a compiacersi dell’esibizione di ricchezza, andò a cercare i più deboli in quei ghetti dove il colore della pelle marchia, ancora oggi, escludendoli dal consorzio del benessere, gli emarginati di Harlem. Queste esperienze ci indicano le profonde motivazioni che portarono Paolo VI a inserire nella sua Populorum Progressio gli esempi di uomini che nel silenzio della propria coscienza si erano adoperati con gli altri e per gli altri, come Charles de Foucauld, il martire della donazione al Terzo Mondo, padre Chenu, il grande teologo sostenitore dei preti-operai, che si «fracassarono le reni» nei miserabili sobborghi fra algerini e italiani sfruttati dalla grande industria, e ancora padre Lebret, che consacrò il suo genio al servizio dei popoli del Vietnam, del Senegal e del nord-est del Brasile. Venne citato più volte il profetico documento del Concilio Gaudium et Spes, “Gioia e Speranza”, lì dove assicura gioia e speranza a chi riconosce nel povero l’immagine di Cristo, escludendo coloro i quali, nazioni, popoli o singole persone, hanno privilegiato l’accaparramento delle ricchezze in contrapposizione alla distribuzione della solidarietà; fu una citazione profetica con una promessa e una condanna. Voci vecchie e antistoriche coniarono per Paolo VI il soprannome di “papa comunista”, perché aveva voluto andare oltre l’interpretazione di un Vangelo consolatorio e aveva voluto calare nell’attualità il Verbo dell’universalità e dell’uguaglianza di tutti gli uomini non solo davanti a Dio (sarebbe stato un discorso limitato al mondo dei credenti), ma identificando tale uguaglianza nell’intima natura dell’uomo, senza distinzioni di razza, cultura, qualità della vita, sviluppo tecnologico o religione: un discorso cattolico e, quindi, universale.

Ma più che il Sommo Pontefice era il sacerdote e l’uomo che dispensava al mondo l’invito a una superiore analisi sociologica, non limitata agli occasionali momenti caritatevoli equivocati come spirito religioso; la “carità cristiana”, per essere veramente tale, deve essere totale e globalizzante, coinvolgendo i singoli individui, le comunità, le Istituzioni e gli Stati. Si legge, infatti, nella Populorum Progressio: «Non è soltanto questo o quell’uomo, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo planetario. Le civiltà nascono, crescono e muoiono. Ma come le ondate dell’alta marea penetrano ciascuna un po’ più a fondo nell’arenile, così l’umanità avanza sul cammino della storia».

Non omnis morieris

Rosario Amico Roxas

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