Egregio Signor Direttore,come cittadino e come iscritto al PD ho seguito il dibattito sulla proposta di legge di riforma del mercato del lavoro approvata dal Senato.
Ho cercato di capire e di verificare cosa ci fosse di nuovo,di moderno e di innovativo nelle scelte fatte e nelle argomentazioni che le hanno sostenute.
Capire il nuovo è una profonda e urgente necessità per una sinistra che vuole affrontare i problemi aperti dalla crisi economica, dalla finanziarizzazione dell’ economia,dal fallimento delle ricette liberiste e di austerità e che vuole realizzare una società più libera,più solidale,più uguale.
Le affermazioni contenute nelle linee guida del Job Act, cioè riduzione della disoccupazione e precariato, estensione dei diritti e delle tutele a chi non le ha, assicurare un sostegno economico a chi perde il lavoro o non lo ha, sono sacrosante e costituiscono una grande sfida per ogni riformista.
Diceva Gramsci “ bisogna riconoscere l’unità nella difformità e la difformità nell’unità”.
E’ proprio questo il caso: obiettivi unitari ma risposte divergenti ed anche in contrasto con gli obiettivi conclamati.
Il governo afferma che per la riduzione del precariato e della disoccupazione è efficace la sua proposta di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Ma è così?
Guardiamo i fatti.
Pochi mesi fa è stato approvato un decreto per effetto del quale si sono liberalizzati i contratti a tempo determinato rendendoli una specie di periodo di prova di tre anni.
Si consentono cinque rinnovi del rapporto di lavoro nell’arco di tre anni senza che le imprese debbano specificare le cause di tale proroghe in un contratto che continua essere a tempo determinato.
Si è tolta la clausola della legge precedente che prevedeva l’obbligo dell’impresa di specificare le cause della proroga.
Si è realizzato un contratto a “tutele calanti”.
Se non si modifica il decreto Poletti si creano lavoratori di serie B: tre anni di lavoro a tempo determinato più altri del contratto a tempo indeterminato in cui puoi essere licenziato senza giusta causa.
Nella proposta di contratto a tutele crescenti si affronta la modifica dell’articolo 18: non quello della legge 300 ma quello della Fornero.
Si toglie il diritto di reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza causa.
Si precisa che vale solo per i nuovi assunti : nello stesso luogo di lavoro ci saranno diritti diversi tra lavoratori.
Rispetto al recente passato si fa un altro contratto a” tutele calanti.”
A ciò si deve aggiungere la proposta della possibilità di demansionamento del lavoratore, del controllo a distanza dei lavoratori : altre “tutele calanti”.
Non si riduce la precarietà se si mantengono tutte le forme contrattuali attualmente in vigore che la favoriscono.
Mi si dice che bisogna abbandonare,per semplificare, il retaggio delle concezione classista dell’impresa e del lavoro.
Il licenziamento per ingiustificato motivo è ,per la persona che lo subisce, un sopruso,una offesa alla sua dignità ,alla sua professionalità.
La monetizzazione che sostituisce il diritto al reintegro riduce il lavoratore a merce.
L’art 18 nella sostanza afferma il fatto che il lavoratore non può essere considerato una proprietà alla stregua delle macchine o di qualsiasi mezzo di produzione e che i diritti delle persone o i diritti di cittadinanza non vengono a cessare nei luoghi di lavoro.
Il Segretario del partito a cui sono iscritto il PD ha affermato: il lavoro è un dovere non un diritto, l’imprenditore deve avere la libertà di licenziare,
Che l’imprenditore abbia la facoltà di licenziare non è messo in discussione: in questo periodo succede purtroppo spesso.
Ma la facoltà di licenziare è cosa diversa dalla libertà di licenziare : roba dell’800 da primordi del capitalismo.
Si spacciano per moderne e innovative concezioni vecchie e per niente originali che non aiutano ad affrontare la disoccupazione e la piaga del precariato: se non si aumentano gli investimenti produttivi pubblici e privati, se non si fa una politica industriale che li favorisca, se non si aumenta la domanda non ci saranno nuovi posti di lavoro.
Per questi motivi aderisco alla manifestazione della CGIL : una prima e doverosa iniziativa per contrastare e cambiare scelte sbagliate del resto mai indicate in nessuna campagna elettorale del PD e nelle stesse elezioni primarie del Segretario del PD.
Mi si dirà: ecco uno che non vuole Il PD al 40% ma vuole una sinistra relegata al 25%.
Credo che chi ha votato il PD alle Europee non ci abbia dato il voto perché il governo facesse scelte da tempo sognate da Sacconi e mai realizzate.
Distinti saluti
Cesare Mainardi