La perestroika in versi | VINCENZO MONTUORI (Cremona)
Qualche giorno fa ho visto in tv un docufilm molto interessante sulla vita di Gorbaciov con il regista Werner Herzog che intervistava l’ultimo segretario del PCUS ormai novantenne.
E mi sono ricordato che tanti anni fa avevo scritto qualcosa sulla fine dell’impero sovietico e sul personaggio che all’epoca mi aveva entusiasmato. Rovistando tra le vecchie carte ho trovato un fascicolo ingiallito dattiloscritto con Olivetti Studio 45 rigorosamente meccanica risalente ai mesi tra la fine del 1989 e la primavera del 1990 e che s’intitolava “Una primavera siberiana”. Credo che nessun poeta si sia in Italia mai occupato di quelle vicende: avevo articolato la raccolta tra momenti storici e descrizioni delle nuove città siberiane e ricordo vagamente che avevo anche avviato un tentativo di pubblicazione finito nel nulla. Da quella raccolta vi propongo due testi: il primo, “Vladivostock” , è dedicato alla più grande città dell’estremo oriente russo, grande porto sul mar.del Giappone e capolinea della ferrovia Transiberiana che inizia a Mosca; il secondo, “Bajkon Ur”, si riferisce al cosmodromo in Kazakistan da dove partono fin dagli anni Sessanta le missioni spaziali russe:
VLADIVOSTOCK
Dopo la prigione del gelo
la tua alba
-color oriente perla-
sfreccia, e un rondone
nel cuore svola assediato dal bianco.
Nel roseo limite del golfo
smuore il fischio
affocato dei treni
che scandisce il silenzio,
tu, miracolo di voci che sorge
dal deserto di strade.
Sete di primavera
negli occhi brilla
accecati dal bianco,
quando si apre
la verde tavolozza del lido.
E il sangue ferve nelle vene ancora
se appari dopo il pozzo del buio.
BAJKON. UR
Fulmina qui tragico il non senso
della nostra ridda secolare,
dell’appartenersi e limitare
le relazioni umane con ruoli
di rifiuti o rivendicazioni
come i gatti il proprio territorio
con testimonianze di escrementi
Alla luna scabra che rifruga
un deserto di ombre vedovato
appaiono le torri del cosmodromo
-corolla di luce che dirompe
con la trasparenza di infantile
sorriso immotivato
dall’orizzonte livido del nulla-
Con gli occhi appiccicati al monitor
l’orbita seguire dei compagni,
raggelati per quanto vano sia
lo schermo delle cose alla scena
che il regista tra le quinte appronta:
l’aggallare fuggevole da un punto
all’altro del vischioso eterno.
VINCENZO. MONTUORI