Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 13.05

Perché il riformismo include| A.Virgilio

| Scritto da Redazione
Perché il riformismo include| A.Virgilio

Molti di noi sono affascinati dall'idea e dall'esigenza di mettere in discussione i nostri tabù, di proporre un cammino inedito del riformismo italiano e di valorizzare, dentro al centrosinistra e soprattutto nel paese, un'autentica cultura liberale.
Tuttavia, dobbiamo decidere come e con chi intraprendere questa strada: in relazione a questo e soprattutto su un certo modo di concepire il percorso, è necessario fare alcune considerazioni.

Da più parti prevale la suggestione della rottura come una sorta di liberazione da un condizionamento culturale/morale: la sua conseguenza è la volontà di resettare, cancellare legami, relazioni, per ricostruirne altre e compromettere le connessioni naturali con mondi tradizionalmente vicini al PD. Un esempio? Il sindacato, con la sua golden share sui nostri processi decisionali, ma anche quell'associazionismo cattolico e laico che, dentro ai territori, è portatore di una  vocazione partecipativa e di cittadinanza che prende forma nelle pratiche quotidiane dell'impegno civile e sociale.

Si tratta di realtà attive, di soggetti preziosi ed autentici, che tuttavia non sempre riescono ad affrontare i nostri tempi: una forza riformista come il PD ha bisogno anche del  loro sguardo, del loro ruolo, del loro rispetto e della  loro interlocuzione.

Siamo tutti consapevoli che debba concludersi il tempo del collateralismo e probabilmente anche l'epoca della concertazione spesso vincolante e improduttiva, ma la forza delle relazioni ci deve permettere di consolidare quegli spazi politici di dialogo e confronto con mondi vitali a cui parte del 'nostro popolo' appartiene.

Penso, per esempio, ai movimenti per i beni comuni: sarebbe un errore etichettare queste realtà come meramente stataliste, nella consapevolezza che qualcuno, a sinistra, ha strumentalizzato quelle istanze per riproporre schemi anacronistici.

La battaglia per i beni comuni richiama invece l'idea tocquevilliana dell'autogoverno, dell'oltrepassare il conflitto ideologico fra stato e mercato per innescare elementi di responsabilizzazione della comunità: una sfida che anche Elinor Ostromha sostenuto partendo dal fatto che per garantire socialità non servono dispositivi  burocratici e nel contempo non è sempre la leva dell'individualismo ad attribuire valore aggiunto alla collettività.

Ho spesso l'impressione che mentre ci si richiama ad una vocazione maggioritaria del PD, nel contempo si scelga la via di un riformismo elitario più incline ad esplicitare le rotture che a includere.

Ricordo le grandi aspettative sul PD di Veltroni, quello del Lingotto: quell'impianto potenzialmente condivisibile e straordinariamente innovativo si è sciolto nell'arco di una breve campagna elettorale, dentro a un partito che si è dimenticato di essere tale, dentro all'idea che leadership e primarie avrebbero riempito lacune organizzative, pluralismo interno, personalismi (inevitabili) e partecipazione.

Oggi occorre prendere per mano il nostro mondo, accompagnarlo, metterlo in relazione con le altre parti di un paese spezzato e frammentato.

Oggi il riformismo non si riconosce nell'autenticità di un programma di governo, ma nell'esigenza concreta di gestire la fatica quotidiana di una lunga e decisiva transizione: e proprio quest'esigenza ci ha portato, in questi mesi, a sostenere il Governo Monti, a costruire un rapporto dialettico non passivo con l'esecutivo, ad avviare una stagione davvero nuova per questo paese senza cadere nella tentazione di speculare sulla fragilità del centrodestra.

Nei territori in cui il riformismo è stato attuato in questo modo, con una maggiore attenzione ai processi che al marchio, con uno sguardo puntato sull'interesse generale di una comunità, con alleanze di centrosinistra aperte al civismo locale, alleanze nelle quali il rapporto fra progressisti e moderati non viene ingessato nel gioco delle parti, in questi contesti è stata realizzata innovazione e sono stati avanzati nuovi modelli di governance e di politiche pubbliche.

Il riformismo nella storia è spesso ed inevitabilmente denso di complessità e contraddizioni: tuttavia, credo con convinzione che il nostro obiettivo sia quello di arrivare all' "Italia di mezzo", quella che 'se la sfanga' ogni giorno, che sopravvive alla crisi e nel frattempo innova e produce, lontana e affrancata dai condizionamenti della politica.

Non basta più essere il riferimento di chi si colloca sotto ai riflettori e condiziona con gli strumenti tradizionali l'opinione pubblica e l'agenda del dibattito politico: il PD può costruire  questa interlocuzione larga solo se diventa il generatore di una democrazia dialogica, dentro la quale agiscono i modi di fare del passato e realtà più libere e meno istituzionalizzate, forse anche meno visibili. E' necessario  costruire ponti fra frammenti di società, perché in questo passaggio fra culture politiche vecchie - smarrite ma ancora ben radicate - e nuove - ancora molto fragili - ci sono storie, biografie, aggregazioni, ci sono legittime e opposte ragioni, ci sono contaminazioni fra il "vecchio" e il "nuovo".

E proprio dentro a questo percorso difficile e inevitabile di emancipazione dalle culture politiche del '900 è necessario più che mai costruire legami e generare fiducia.

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Andrea Virgilio. Cremonese, classe 1973, operatore sociale, educatore di strada e di comunità, è capogruppo nel Consiglio provinciale di Cremona e membro dell'Assemblea nazionale del PD. Già segretario cittadino dei DS e capogruppo del PD in Consiglio comunale a Cremona.

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