Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 08.48

Pianeta Migranti. L’Europa e le sue politiche miopi

Davanti alle ondate di profughi che cercano protezione, la preoccupazione europea è come proteggere se stessa.

| Scritto da Redazione
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“L’unico modo per evitare lo smantellamento di Schengen è assicurare un controllo serio dei confini esterni dell’UE”. Lo ha affermato il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, in una nota indirizzata ai capi di governo dei paesi membri. Il problema, per Tusk, è come evitare che si infittiscano le barriere interne che ormai molti paesi dei Balcani e dell’Europa centrale, soprattutto, ma non solo (pensiamo a Ventimiglia e a Calais) hanno innalzato per fermare le ondate di profughi in fuga da crisi fomentate in gran parte da decisioni sbagliate dei paesi occidentali. Pensiamo alla Libia, agli interventi in Iraq e Afghanistan, all’inerzia sul conflitto in Siria, all’appoggio a regimi autoritari e corrotti che ha favorito la radicalizzazione islamica in Medio Oriente e Africa, ai giochi, ormai smascherati e pubblicamente ammessi, di apprendisti stregoni che hanno fomentato l’instabilità di intere regioni, anche finanziando gruppi terroristici che ben presto, e non poteva essere altrimenti, hanno cominciato ad agire in proprio, come i Talebani e l’Isis.  

Di fronte a questo scenario che pretenderebbe forti assunzioni di responsabilità e analisi approfondite volte a mettere a punto una strategia di supporto alla composizione della crisi medio orientale e nord africana, e più globalmente una visione delle relazioni internazionali future, l’Europa pensa a come meglio arroccarsi nella propria privilegiata “fortezza”.  

Tra gli strumenti da applicare indicati da Tusk alcuni sono già ben sono noti.

Primo è il filtro nei paesi di transito, cioè la cooperazione con paesi come la Turchia, ma anche il Sudan e il Marocco, perché fermino le ondate dei migranti. In Marocco, paese chiave della rotta migratoria dell’Africa Occidentale, gli accordi sono già operanti da circa un anno. In Spagna, paese di approdo di quella rotta, gli arrivi nell’ultimo anno sono drasticamente diminuiti. La società civile marocchina e spagnola che monitora la rotta assicura che da quando è in vigore l’accordo, sono di molto aumentati i prezzi dei trafficanti e le violazioni dei diritti umani dei migranti, i quali, all’inizio disorientati, cercano ora altri modi, sempre meno sicuri, per raggiungere il nostro continente (vedi http://www.nigrizia.it/notizia/dal-marocco-non-si-passa). L’11 e il 12 novembre a Malta si terrà un summit dei paesi della rotta migratoria che passa dal Corno d’Africa, in cui il Sudan assumerà il ruolo che il Marocco ha in Africa Occidentale. Possiamo già scommettere che la situazione sarà la stessa. I trafficanti, molti organici alle istituzioni eritree e sudanesi a detta di autorevoli ricercatori, troveranno il modo di continuare il loro commercio sulla pelle di chi ha la colpa di credere di aver diritto ad una vita migliore. D’altra parte il primo tentativo di filtro era stato fatto dal governo Berlusconi con la Libia di Gheddafi, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Il secondo strumento per la salvaguardia dei confini europei sono gli hot spot nei paesi di approdo, Italia e Grecia. Qui team specializzati composti da funzionari di Frontex e Easo dovranno decidere chi ha diritto all’asilo e dovranno rimpatriare al più presto coloro che non rientrano nei parametri. Ma quali parametri? Bisognerà capire in base a che cosa un nigeriano o un sudanese o un egiziano hanno più o meno diritto all’asilo di un siriano o di un iracheno, o, perché no, di un turco. E se il diritto all’asilo deve essere meglio assicurato sulla base di violazioni collettive o individuali dei diritti. E quali diritti, poi? Ci fermiamo ai diritti umani più di base o ci spingiamo fino ai diritti civili, politici, economici, ambientali ormai considerati come inalienabili alla stregua di quelli individuali elencati nella dichiarazione di Parigi del 1948? Voglio dire che i parametri da tenere in considerazione non sono per nulla scontati.

Ma nulla si dice nelle disposizioni europee sui criteri in base ai quali si dovrà lavorare negli hot spot, di cui, per ora si conoscono solo i dettagli tecnici, quali la collocazione e la capienza, oltre che l’obiettivo principale: i rimpatri. Insomma sono direttive in cui non si prende in considerazione il quadro di riferimento politico ed etico in cui i tecnici devono essere tenuti a muoversi.

Che ne sarà, ad esempio, delle garanzie di rispetto effettivo dei trattati internazionali sulla protezione dei richiedenti asilo firmati da tutti i paesi europei?  E delle garanzie di rispetto per la dignità e i diritti di persone già così provate da aver deciso consapevolmente di affrontare un viaggio in cui hanno rischiato la vita pur di avere la possibilità di un futuro dignitoso? Ma soprattutto, che ne è della visione dell’Europa, come continente basato sul rispetto della legge e dei diritti, oltre che sulla trasparenza democratica dei processi decisionali? E da ultimo: qual è la visione di medio e lungo termine che l’Europa ha, se ce l’ha, per affrontare la crisi migratoria a partire dalle sue radici?

E’ sulla base delle risposte che verranno date anche a queste domande che dipende il futuro stesso dell’Europa, dicono ormai molti analisti. 

 

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