Martedì, 16 aprile 2024 - ore 14.25

Pianeta migranti. L’informazione tossica genera stereotipi e pregiudizi

Moltissimi sono i pregiudizi e gli stereotipi sui migranti che vanno per la maggiore nel nostro paese. I più radicati: ci invadono, la percentuale di delinquenti è altissima, spendiamo un sacco di soldi per mantenerli a non far niente.

| Scritto da Redazione
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Alcune ricerche recentemente pubblicate li smentiscono uno ad uno.

L’Italia, ad esempio, non è tra i primi paesi per presenza di rifugiati. Secondo dati dell’UNHCR, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei profughi, che si riferiscono alla fine del 2014, prima di noi si contano Pakistan, Libano, Iran, Turchia, Giordania, Etiopia, Kenya, Chad, Uganda e altri ancora. Come è ovvio, sono i paesi limitrofi alle crisi ad avere il carico maggiore di presenze di persone che cercano protezione Se poi si va ancora più in profondità e si guarda al numero dei rifugiati per numero di abitanti, ai primi posti troviamo Libano, Giordania, Chad, Gibuti, Sud Sudan, Malta, Mauritania, Iran, Kenya, Svezia.

In Europa, il primo Paese per numero di rifugiati è la Germania (200.000) seguita dalla Francia (238.000), dal Regno Unito (126.000) e dalla Svezia (114.000). L’Italia accoglieva alla fine dell’anno scorso 76.000 rifugiati, poco più di 1 ogni 1000 abitanti.

Però gli Italiani pensano che il 30% della popolazione sia composta da immigrati (in realtà è il 7%) e che il 20% siano musulmani (in realtà sono il 4%).

Quanto al livello di criminalità, il dossier statistico preparato da due enti specializzati, il centro studi Idos e l’Ufficio anti discriminazioni della Presidenza del consiglio, Unar, reso pubblica alla fine di ottobre non lascia dubbi. I dati esaminati, che si riferiscono al periodo 2004 – 2013, dicono che le denunce penali verso italiani, a fronte di una popolazione in leggera diminuzione, sono aumentate del 28% mentre quelle a carico di stranieri, a fronte di una popolazione più che raddoppiata, sono diminuite del 6,2%.  Inoltre gli stranieri commettono delitti meno gravi, ma godono di una tutela giuridica minore, dunque usufruiscono in misura molto minore di pene alternative, quali gli arresti domiciliari, l’affido ai servizi sociali, e passano maggior tempo in carcere rispetto agli italiani che hanno compiuto gli stessi reati.

E che dire del peso economico che, secondo la percezione della maggioranza degli italiani, migranti e rifugiati costituirebbero per le nostre già scarse risorse? Secondo lo stesso dossier statistico il saldo per il bilancio dello stato sarebbe in attivo di 1 miliardo e 400 milioni di euro. Il dato si ricava facendo la differenza tra tasse e contributi pagati dagli stranieri e le spese sostenute per immigrati e rifugiati. L’analisi dei dati presentati mostra inoltre che la maggior parte delle spese vanno per contrastare gli ingressi e per controllare le presenze, più che per favorire l’integrazione.

A questo miliardo e quattrocento milioni si deve sommare un valore aggiunto stimato di circa 7 miliardi prodotti da 477.519 ditte i cui titolari sono immigrati, il 7,8% del totale nazionale, con un aumento annuale del 5,4%. I contributi previdenziali degli stranieri sono inoltre una boccata d’ossigeno per le casse dell’INPS. Dal dossier emerge che i contributi degli immigrati coprono l’equivalente di oltre 600.000 pensioni erogate a cittadini italiani.

Perché allora i pregiudizi e gli stereotipi nei confronti degli stranieri sono così diffusi? Secondo una ricerca demoscopica britannica sulle false percezioni in vari settori, compresa l’immigrazione, gli italiani sarebbero in cima alla lista dell’ “ indice di ignoranza”. Cioè le nostre percezioni si discosterebbero in maniera maggiore di quelle di altri paesi dalla realtà.

Una tale discrepanza sarebbe causata dalla cattiva informazione. Ne è sicuro un blogger, Cat Reporter, che si occupa di informazione, di cui riporto il testo che condivido in pieno.

“Uno dei decani del giornalismo statunitense, … Lincoln Steffens, faceva notare come avrebbe potuto creare un’emergenza sociale, una psicosi collettiva, partendo dai normali fatti di cronaca che avvenivano nel quotidiano, amplificandoli attraverso il mezzo mediatico e la sua retorica. Questo perché il cronista è il “medium” tra le masse e ciò che succede e per questo le masse sviluppano nei suoi confronti un rapporto di tipo fideistico. Da tale assunto di base si comprende la delicatezza del ruolo di chi fa informazione; una notizia manomessa, alterata o , peggio ancora, falsa, sporca la percezione che il cittadino ha di sé stesso, del collettivo e di chi lo governa, orientandolo di conseguenza. Il crisismo demolitivo e l’allarmismo che sta delineando il lavoro della stampa nazionale si muove secondo questa nefasta traiettoria. I motivi sono: il dettato politico (quasi tutte le testate hanno una proprietà partitica) ed il bisogno di fare “cassetta”, bisogno che soltanto le notizie ad altissimo impatto emotivo possono garantire, secondo il principio breueriano-freudianio della catarsi (il lettore scarica ed appaga i propri impulsi più violenti nell’acquisizione di una notizia di importante urto adrenalinico ). Si viene meno, però, ai dettami dell’etica deontologica (mirabilmente illustrati e condensati nello “Statement of Principles” del 1975 ) nuocendo alla società, corrodendone le basi e, quel che è peggio, la fiducia, ammanettandola ad una cultura del disfattismo che mostra i contorni del vicolo cieco.”

Bruna Sironi

  

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