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Pianeta migranti. Libia, se questi sono uomini

In Libia i migranti subiscono violenze e gravi violazioni dei diritti umani, denunciati ormai da numerose testimonianze. Eppure la comunità internazionale non fa nulla per affrontare la situazione

| Scritto da Redazione
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Ancora un naufragio al largo delle coste libiche, che anche in questi giorni, come troppo spesso negli ultimi mesi, sono costellate di cadaveri: una quarantina, per la precisione, sulla battigia tra Tripoli e Khoms, mentre si cercano altri trenta dispersi.

La notizia, tremenda come tutte quelle del genere che l’hanno preceduta e che ormai ci provocano un senso di ineluttabile sconforto e impotenza, segue di poche ore la pubblicazione sull’edizione italiana dell’Huffington Post di un articolo della scrittrice e blogger Flore Murard-Yovanovitch dal titolo significativo: “I nuovi Lager. L’incubo dei migranti nei campi di concentramento libici”.

Non è una notizia nuova. Il primo a segnalare le inumane condizioni dei migranti nei centri di detenzione libici fu il documentario denuncia dell’etiopico Dagmawi Yimer, Come un uomo sulla terra, basato sulle testimonianze di alcuni profughi che erano riusciti a trovare accoglienza a Roma. Ricordo ancora con angoscia una sera in cui fu presentato a Milano. Tra il pubblico, scarso per la verità, una giovane eritrea che, alla fine della proiezione, quasi in una seduta psicanalitica, si liberò di tutta la sua esperienza raccontandoci per un’ora il suo viaggio, palleggiata tra diversi centri di detenzione, in balia di poliziotti corrotti e trafficanti esosi e crudeli, attanagliata dall’incubo di non farcela, come tanti compagni di strada che erano rimasti insepolti lungo le rotte del deserto o erano spariti dalla cella, quando ormai erano allo stremo. E infine l’angoscia  di aver lasciato i figli a casa e di non avere strade diverse e più sicure per loro, per farsi raggiungere e coronare finalmente il sogno di una vita normale insieme.

Gheddafi allora era ancora ben saldo in sella, i trafficanti avevano appena cominciato ad organizzarsi e il governo Berlusconi finanziava i centri di detenzione, per creare un filtro ai flussi migratori. Quello che succede oggi ce lo dice un rapporto di Amnesty International pubblicato la primavera scorsa e che non ha avuto grande diffusione nel nostro paese. Il titolo già è un pugno nello stomaco: “La Libia è piena di crudeltà. Storie di rapimenti, violenza sessuale e abuso di migranti e rifugiati”; un sommario che non ha bisogno di ulteriori commenti. D’altra parte, se la situazione era agghiacciante quando c’era un governo, possiamo ben immaginare cosa succede ora, con la Libia divisa e in gran parte sotto il controllo di bande armate che si ispirano al radicalismo islamico. Scalpore ha suscitato, qualche mese fa, lo spettacolo macabro messo in scena dal gruppo Stato Islamico in Libia, quello della decapitazione di almeno 28 tra etiopici ed eritrei, colpevoli di essere cristiani. E’ di pochi giorni fa la notizia, neppure ripresa dai nostri giornali, della decapitazione di un cittadino sud sudanese, anche lui colpevole di essere cristiano e di scappare da una guerra civile ben lontana dall’essere conclusa, anche dopo la firma di un accordo di pace. Dunque il rito continua. Non a caso, un rapporto dell’Onu diffuso il 2 ottobre dice che "I circa 250.000 rifugiati, richiedenti asilo, presenti in Libia sono quelli più bisognosi di protezione, dal momento che il loro status li rende particolarmente vulnerabili ad abusi, emarginazione e sfruttamento".

Ma l’articolo di Flore Murard-Yovanovitch ci porta direttamente nei porti siciliani e ci descrive le condizioni in cui molti rifugiati scampati ai “campi di concentramento” libici raggiungono l’Europa: “i volti emaciati, i corpi denutriti e sull'orlo di spezzarsi, come le loro anime”; “le gambe e ginocchia raccolte, con i corpi divorati dalla scabbia per via dell'estrema vicinanza in cui sono costretti a vivere. Le ferite aperte e infette”; “Guardo quei piedi feriti, martoriati cruentemente da armi da fuoco, bastoni e sbarre di metallo. Afferro le ferite nell'anima. Alcuni dei migranti sono impazziti dagli abusi in Libia, e sul porto i sanitari si muovono per i Tso, verso i reparti psichiatrici.”

Questa è una parte della storia che abbiamo intuito, ma che raramente qualcuno ci ha raccontato. La scrittrice, che da anni approfondisce i temi legati alle migrazioni, afferma senza mezzi termini che è  “in corso un vero e proprio sterminio di popoli subsahariani in Libia, tenuto nascosto per anni: esseri umani uccisi, sequestrati, torturati lasciati morire di epidemie, abbandonati al loro destino senza essere curati; addirittura vediamo sempre più persone con fratture agli arti inferiori, perché gettati dai piani dei palazzi, dove sono costretti ai lavori forzati, quando si ribellano o non pagano i soldi richiesti. Tecniche di eliminazione che hanno sempre più una connotazione razziale, contro i migranti neri “.

Ecco, è verso questa situazione che molti migranti vengono respinti o costretti a rimanere dalle politiche europee, concentrate sulla dissuasione, con blocchi navali, con accordi con governi che violano platealmente i diritti umani, come quello eritreo e sudanese, per citare i due che si trovano sulla rotta migratoria che porta in Libia. Invece che corridoi umanitari, voli di soccorso e protezione molti degli scampati verranno rimandati verso i lager da cui sono riusciti a fuggire. Scappano dalla povertà e da violazioni quotidiane dei loro diritti basilari, credono di aver diritto ad una vita dignitosa in quanto appartenenti alla grande famiglia umana, e questo non li rende degni dell’asilo in Europa.

Poi, tra cento anni, qualcuno aprirà un museo in qualche oasi libica, come quello che commemora la tratta degli schiavi sull’isola di Goreè, in Senegal, e i nostri nipoti affermeranno solennemente che mai più nella storia si dovranno vedere campi di concentramento e sarà permessa l’organizzazione del traffico di esseri umani. Fino alla prossima volta.  

Bruna Sironi

Immagini 26 ottobre 2015 ; immigrati in Libia

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