Sabato, 20 aprile 2024 - ore 04.33

Pianeta migranti. Turchia, porta d’ingresso dello stato islamico in Europa?

L’accordo per fermare i profughi siriani in Turchia potrebbe di fatto facilitare il rafforzamento della radicalizzazione islamica del paese insieme al suo ingresso in Europa.

| Scritto da Redazione
Pianeta migranti. Turchia, porta d’ingresso dello stato islamico in Europa? Pianeta migranti. Turchia, porta d’ingresso dello stato islamico in Europa? Pianeta migranti. Turchia, porta d’ingresso dello stato islamico in Europa?

La Turchia, che già ora ospita la maggior parte dei profughi in fuga dalla Siria, è destinata a diventare il primo dei paesi filtro che l’Europa pensa di organizzare sulle diverse rotte che portano le ondate di migranti nel nostro continente. Per trattenere il maggior numero possibile di profughi siriani all’interno dei propri confini, Istanbul chiede, e le saranno certamente concessi, 3 miliardi di euro, il rilascio facilitato di visti europei ai cittadini turchi e la possibilità di ripresentare la propria candidatura a far parte dell’Unione Europea. 

L’accordo, che sembrerebbe una soluzione positiva ai problemi posti dalla crisi siriana, rischia però di avere ripercussioni pesanti sulla già molto precaria stabilità del paese stesso e sulla sicurezza dell’Europa in genere. I termini dell’accordo, infatti, vanno valutati su diversi livelli.

I fondi dovrebbero migliorare ed estendere l’accoglienza nei campi, che a dire il vero, sono già tra i meglio organizzati della zona. Ma non potrà essere solo quello. Infatti il 90% dei profughi siriani già ora vive fuori dai campi, nelle periferie delle città. A Istanbul, dicono analisti dell’area, già oggi vivono più siriani che in tutti i paesi europei messi insieme. Dei due milioni di rifugiati siriani nel paese,  il 55% ha meno di 18 anni. E i turchi, che finora avevano dimostrato solidarietà e simpatia nei loro confronti, cominciano a dare segni di insofferenza per la loro presenza massiccia e il loro sopravvivere ai margini della società. Il dibattito è aperto sui provvedimenti da prendere per il loro inserimento, ma pochi sono disponibili a far loro spazio in un contesto già critico. Il governo turco ha già speso 7 miliardi di dollari per loro, e certamente i fondi europei sono necessari per tentare di trovare soluzioni. Non ci si può nascondere, tuttavia, che non sarà affatto facile. La Turchia avrà bisogno di ben altro che fondi. Saranno necessarie politiche efficaci e collaborazioni in termini di esperienza e di conoscenza. Pena, la rapida radicalizzazione dei giovani emarginati, come del resto è avvenuto in molti altri contesti anche meno difficili. E l’Isis è appena oltre il confine.

Non si può inoltre sottovalutare il fatto che questo accordo viene fatto con un paese in forte crisi, sull’orlo della guerra civile, e con un regime che, negli ultimi anni, ha mostrato una deriva autoritaria responsabile della spaccatura politica della popolazione. Si è poi dimostrato molto ambiguo nei confronti della radicalizzazione islamica. In più avviene alla vigilia di una tornata elettorale in cui il partito del presidente Erdogan intende raggiungere la maggioranza assoluta, che gli è stata negata pochi mesi fa dalle elezioni precedenti. E’ chiaro che questo accordo gli darà una “legittimità” europea che verrà utilizzata sul piano politico interno. Ma anche su quello internazionale, dal momento che gli permetterà di ripresentarsi alle porte dell’Unione Europea, che erano rimaste chiuse nel passato, quando il conteso del paese era certamente molto più conforme agli standard democratici richiesti, ma che allora non erano stati ritenuti sufficienti.

Preoccupante è anche la richiesta della facilitazione dei visti per i cittadini turchi, che già ora, d’altra parte, cercano di lasciare il paese in numero sempre maggiore. Sono gli strati sociali più istruiti e che meno si riconoscono nelle politiche sempre più autoritarie e meno socialmente e culturalmente inclusive di Erdogan, che, non a caso, si ispira all’ideologia dell’islam politico dei fratelli musulmani.

Insomma, questo accordo potrebbe, nel breve periodo, aver diminuito il flusso dei profughi dalla Siria, ma nel medio periodo, aver facilitato l’ingresso in Europa di uno stato islamico che ha di fatto espulso i propri cittadini potenzialmente dissidenti  per sostituirli  con nuovi cittadini radicalizzati a causa di un’esclusione sociale inevitabile, stante i grandi numeri di profughi da inserire in un paese in crisi.

In definitiva, una politica miope e pericolosa, che, per scaricare la crisi migratoria sulle spalle di altri, di fatto mette in gioco la proprio stessa sicurezza futura.

Bruna Sironi

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