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Racconto DRAGUNERA: l’uomo che fermò il vento, ma non conquistò la Luna | Agostino Spataro

Era la notte della “dragunera”, un vento sterminatore che terrorizzava i contadini. Un vero disastro che, per fortuna, giungeva assai di rado.

| Scritto da Redazione
Racconto DRAGUNERA: l’uomo che fermò il vento, ma non conquistò la Luna | Agostino Spataro

Racconto DRAGUNERA: l’uomo che fermò il vento, ma non conquistò la Luna | Agostino Spataro

Era la notte della “dragunera”, un vento sterminatore che terrorizzava i contadini. Un vero disastro che, per fortuna, giungeva assai di rado.

Primo episodio  Dragunera

1... Qualcuno ancora ricorda quella notte tetra, quando si scatenò una lotta furibonda fra ombre sataniche che misero a soqquadro gli an­gusti anditi del piccolo borgo annidato sulla collina dirimpetto al monte Atabirio. Una notte memorabile nella quale irruppe un vento rabbioso, proveniente dal Sahara, che sferzò il paese con folate di pioggia impastata di sabbia rossa. Un ingiusto flagello sopra gente at­territa e muta. In quella notte senza stelle e senza Dio, si udì soltanto la voce, terrea e potente, di Giosafat , il negromante.

“Citalena, citalena, sangu pazzu e focu eternu, alluntanati stu ventu malignu. Fermati dragunera ca staiu arrivannu!”

L’urlo cavernoso del vecchio sciamano squarciò la coltre di terrore che avvolgeva i catoi e sfidò il ghibli che, come un cavallo imbizzarrito, aveva galoppato per l’arido vuoto, volato sopra la stretta distesa del mare africano e ora erompeva nella notte oscura dei monti sicani.

Era la notte della “dragunera”, un vento sterminatore che terrorizzava i contadini. Un vero disastro che, per fortuna, giungeva assai di rado.

Simile a una tempesta profetica, sconquassava ogni cosa: i giardini d’aranci e d’ulivi, i campi di grano e d’orzo, le stalle e gli ovili e le ca­panne di stoppie per la vasta campagna.

Scuoteva anche le misere case di gesso che si tenevano, solidali, una con l’altra. Brandelli di luce, emanata dai lampioni impazziti, anima­vano le raccapriccianti creature del vento: ombre titaniche di case mi­nute e mostri volanti con arti pennuti.

Come in una lotta mortale di forze terribili, la dragunera sibilava fu­rente più di prima come volesse annientare l’intero villaggio per zittire, subissare quella voce, carica di disperato coraggio.

La voce precedeva l’ombra bislunga di un uomo canuto, incassato in un pesante pastrano dal quale penzolavano due braccia rinsecchite, aperte a forma di croce.

Stringeva una “citalena” con la quale tentava di rischiarare i furori del vento. Avanzò a fatica fino al centro della piazza grande e urlò più forte.

“Curri, curri cavaddrazzu ca lu chianu è tuttu to’, ora ju t’amminazzu e a la fini ti sdirrupu!”

Il ghibli ebbe come un respiro affannoso e poi cessò. Improvvisamente, com’era venuto.

2...Sotto un fascio di luce giallognola apparve il volto estenuato di Giosafat. Stanco e vittorioso.

Chi era veramente Giosafat? Non fu mai chiaro chi fosse effettiva­mente quest’uomo: un impostore o un ingegno balzano, un mago o un seguace del demonio, l’arcano o il nulla…

Addirittura, per l’arciprete poteva essere figlio del demonio o Satana in persona il quale, con la scusa della magia, tentava di ammaliare quella massa d’ignoranti contadini.

In realtà, Giosafat era un poveraccio, un millemestieri che si esercitava in giochi di magia e in molteplici attività sperimentali. Con risultati assai deludenti,  pessimi.

Il suo cruccio era quello di vedersi riconosciuto come inventore di quei strani congegni che fabbricava nel sottoscala.

La gente lo derideva o lo temeva, mai lo apprezzava.

Egli si sentiva un genio con le ali purtroppo tarpate dal pregiudizio po­polare.

Lavorava in solitudine, lontano da occhi indiscreti, dentro una grotta millenaria, sottostante l’abitazione familiare, forse residuo di una tomba sicana.

Sarà stata sepolcro di un principe o una più umile dimora?

Per la gente era la grotta di “fimmina morta” poiché, molto tempo prima, vi era stato rinvenuto il cadavere, quasi intatto, di una bellissima dama forestiera.

Come arrivò o chi la portò in quell’antro? Mistero. Un altro mistero scavato nel sottosuolo di questo borgo apparentemente banale, senza storia, avvolto in un realismo magico o tragico che tende a disperdere la sua esile identità.

Il vento si acquietò e portò via quei mostri vaganti. Dalle porte di lindi catoi uscirono uomini atterriti e tentennanti, andarono verso la piazza grande per vedere l’uomo che aveva vinto la dragunera.

Giosafat, spogliato del suo manto ombroso, apparve in tutta la sua scheletrica potenza.

Ieratico e ancora tonante, ringraziò le arcane potenze per avergli ac­cordato la vittoria contro quel vento maligno. Raccolse tre pugni di sabbia rossa e si asperse il capo e le vesti e così parlò alla folla invisi­bile e sgomenta:“Non per voi, ma per me, solo per me, è venuta la dra­gunera …ma anche sta vota, comu vinni s’inn’à jutu…A mani vacanti. Ancora cci nné ogliu a la lampa e forza a la catina. Non è questo il se­gno del mio destino!”

Le parole uscivano a fiotti dalla sua bocca decrepita e bavosa. Nessuno capiva il loro significato ostentatamente esoterico. Come se stesse parlando con un’entità lontana, con qualcuno con il quale aveva un conto da regolare.

Secondo lui, la dragunera altro non era che strumento di una perfida congiura ordita, a tradimento, dalla Signora nera per accopparlo in sonno.

La sua morte prematura avrebbe spezzato la venerabile Catena.

Giosafat si era autoproclamato uno dei cento uomini prescelti per for­mare la Catena che regge le sorti dell’ignara umanità. A ciascuno di loro era stata affidata una copia del “Rutiliu”, il libro delle Verità fon­damentali, contenente la summa dei poteri e dei saperi occulti.[1]

Il Libro, che nulla aveva a che fare con la vulgata biblica, era stato stampato, secoli prima, in soli cento esemplari e conferito, per le vie dell’arcano, a ciascuno degli eletti, con l'obbligo di trasmetterlo al suc­cessore predestinato.

Un libro segreto che a Giosafat fu affidato da un ufficiale morente sulle montagne del Carso, con la preghiera di recapitarlo a un medico di Roma che non riuscì a trovare, durante la sua breve permanenza nella capitale. Era morto anche lui o il destino volle che il Libro finisse nelle sue mani?

E, una volta che lo aveva, se lo tenne.

Qualcuno bene informato diceva che fosse un testo di magia nera, riservato agli iniziati predestinati.

Il libro conferiva al suo possessore un potere immenso: poteva tra­sformare le immagini raffigurate in entità viventi e comandarle a suo piacimento.

Un eletto che lo volle incontrare gli disse: “Ricordati fratello con questo Li­bro possiamo fare solo il male, non il bene. Solo il male… Ricordati.”

Agostino Spataro

Maggio 2020

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