Giovedì, 09 maggio 2024 - ore 01.26

Sicilia. L’Italia in camicia di Rosario Amico Roxas

Non si tratta di una ricetta culinaria, come il classico uovo in camicia, ma di un’identificazione politica (o pseudo tale) che cambia colore e, con esso, il sistema

| Scritto da Redazione
Sicilia. L’Italia in camicia di Rosario Amico Roxas

L’esordio fu di breve durata e poco significativo: fu la camicia rossa dei garibaldini, quando la discutibile epopea garibaldina concluse la piemontesizzazione del Regno delle Due Sicilie, con relativa sottrazione “manu militari” delle riserve auree del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli, diventate patrimonio del neonato Regno sabaudo. Il colore rosso ebbe poca durata, anche perché la rivoluzione russa, che avrebbe imposto la camicia rossa, era ancora da venire; inoltre quel colore non piaceva alla massoneria carbonara, così fu dismessa, in attesa di tempi migliori.

L’Europa venne travolta dalla prima Grande Guerra, quando la Germania guidò la guerra all’Europa, quindi al mondo intero, subendone le conseguenze.

L’Italia divenne una nazione, monarchica con gli accenni assolutistici dello Statuto Albertino.

Ma una nuova camicia si apprestava a colorare la vita dell’Italia, era la camicia nera, accompagnata dall’olio di ricino per agevolare l’indigesta gestione di una dittatura della borghesia. Durò venti anni, diventando una vera e propria divisa, senza la quale non si poteva accedere ad un lavoro dignitoso.

Fu sempre la Germania, non memore del suo passato inglorioso, a dichiarare, per la seconda volta nel secolo, guerra all’Europa, dilatando le attività belliche al mondo intero; anche stavolta la Germania dovette pagare il fio delle sue intemperanze. Anche l’Italia pagò lo scotto di un’alleanza nefasta, che si concluse con una lotta intestina fra i nostalgici della camicia nera e i nuovi scamiciati della Resistenza; lotta che pose fine a quelle camicie, che, peraltro, indistintamente tutti i portatori giurarono di non avere mai indossato.

Fu il momento dei grandi statisti, che presero in mano le sorti della nazione dotandola di una Costituzione protettiva, in grado di scongiurare il rinnovarsi di velleitarismi autoritari.

Con quella Costituzione l’Italia divenne uno Stato; è la camicia?

Quella divenne bianca, per rinnovare la speranza con il suo candore. Anche la camicia rossa fece la sua riapparizione, specialmente quando l’attentato a Togliatti minacciò di fare piombare lo Stato in un rinnovato scontro fratricida. L’epopea di Bartali al Tour de France scongiurò tale evento, richiamando l’intera popolazione sotto l’orgoglio patriottico.

Imperversò la camicia bianca della DC, Democrazia Cristiana, che sintetizzava, nel suo acronimo, i valori portanti del novello Stato, che aveva già deciso le sue sorti votando il referendum a favore della Repubblica.

Una nota merita il “Re di Maggio” che rifiutò di contestare il risultato del referendum affermando che “Non si governa una Nazione con il 50%”, impartendo una lezione che i suoi successori non hanno mai capito.

La camicia bianca seppe ben amministrare lo Stato e promosse il “boom economico”, che lanciò lo Stato repubblicano nel novero delle grandi nazioni del pianeta.

Pur condizionato da situazioni contingenti, lo Stato funzionò, equilibrando lo Stato Sociale, nello spirito della democrazia.

Ma dietro l’angolo covava il liberismo medio borghese; una distorsione del liberalismo storico, del quale usurpava parte del nome. Fu così, anche a causa degli scandali che promossero l’azione giudiziaria “Mani Pulite”, che la camicia divenne azzurra. Il neonato liberismo, che del sistema democratico aveva usufruito per affermarsi, giunto al potere con un’azione mediatica, mostrò i segni di insofferenza verso il sistema democratico, sostenuto e difeso dalla Costituzione.

Il resto, tutto il resto, è la storia nota che ci documenta le rinnovate divisioni della base popolare.

Il sistema liberista ha fatto dilatare la grande crepa che divide il popolo italiano: da una parte il 10% della popolazione, che possiede il 50% della ricchezza nazionale e dall’altra il restante 90% che passa dalla indigenza alla povertà per giungere alla miseria, con la disoccupazione galoppante, con un debito pubblico ingovernabile e fagocitato dai soliti noti grazie alle normative liberiste, che hanno favorito la finanza creativa, quella finanza che genera denaro attraverso le speculazioni, senza dover ricorrere alla fastidiosa incombenza di generare lavoro, produzione, concorrenza, generando una spirale infinita di decremento finanziario.

La camicia azzurra, durata venti anni, come quella nera, fornita di troppe tasche dove nascondere i vari malloppi sottratti alle pubbliche finanze, ha fatto il suo tempo; il popolo, ricordando di essere costituzionalmente “sovrano”, ha riposto quella camicia, ormai lordata, nel cesto della “roba sporca”, che i possessori avrebbero voluto “lavare in casa”.

Una timida apparizione ha fatto anche una camicia verde, ma limitatamente al Nord del paese, anch’essa posta nel dimenticatoio dopo che vennero acquisite le documentazioni di sperpero di pubblico denaro con investimenti in Tanzania, acquisto di brillanti, manovre oscure di autofinanziamenti e lauree a gogò acquistate negli inconsapevoli atenei dell’Albania.

Ora ricompare la camicia bianca, e non più con valenza nazionale, bensì con velleità europee. È ridiventata una divisa che dovrebbe rassicurare con il suo rinnovato candore.

Ma l’attuale camicia bianca è di alta sartoria, non cucita a mano come quella precedente; chi la porta ama l’esibizionismo e si auto flagella con un gavettone di acqua gelata, passeggiando con un cono in mano per somigliare ai quei consumatori che non riescono ad andare oltre quel “cono gelato”, e non tutti i giorni.

Impensabile ipotizzare i veri statisti portatori della camicia bianca intenti a gettarsi una secchiata di acqua in testa: De Gasperi, Moro, Fanfani, Calamandrei, Einaudi ecc. non lo avrebbero mai fatto.

Intanto l’Italia, diventata Nazione, promossa a Stato, non è ancora riuscita a diventare Patria Comune.

Rosario Amico Roxas

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