Sabato, 04 maggio 2024 - ore 01.37

Uomini non ci si improvvisa,ci vuole anche coraggio|G.Carnevali

| Scritto da Redazione
Uomini non ci si improvvisa,ci vuole anche coraggio|G.Carnevali

Caro direttore, vi ricordate di quell’uomo “dei proverbi” dell’estate scorsa da me incontrato (occasionalmente) in quel della Piazza Duomo, in un afoso pomeriggio di mezz’agosto? Mica che ve lo siete “giàbelle” che dimenticato, vero? Massi, quel personaggio a dir poco inusuale, strano, inverosimile…quasi, al punto tale che il suo comportamento mi aveva lasciato semplicemente di “cacca”? Beh, voi non ci crederete, eppure l’ho incontrato nuovamente mercoledì scorso, 25 aprile, festa della Liberazione. L’ho scorto, tra i numerosi partecipanti  al tradizionale corteo cittadino, seguire composto e partecipativo, niente meno che dietro la banda della Città di Cremona. Qui è doverosa, però, una riflessione seppur breve. Quando ci si pente di non essere riusciti ad interagire col “prossimo tuo come con te stesso”  è segno che avremmo dovuto ascoltare maggiormente quanto la nostra ragione ci suggeriva. Purtroppo non sempre la ragione si sposa col cuore.

E viceversa; anzi! Ed io, in quella circostanza, avevo peccato niente meno che di presunzione, giudicandolo “nu poco pazzariello!”. In realtà quelle sue stranezze comportamentali (incalzare continuo di proverbi, dai più comuni a quelli più sconosciuti) nei miei confronti erano segno evidente di un suo tormento interiore, di un disagio esistenziale che personalmente avevo sottovalutato, peggio, per nulla considerato. Per di più quella tremenda “travata” (pacca sulla mia innocua spalla) violentemente scaraventata,  aveva lasciato un segno indelebile (in tutti i sensi, più sul doloroso che sul metaforico!) a significare la sua esasperata solitudine. E l’avevo così seguito, mercoledì 25 aprile, con giustificata curiosità ma con altrettanta lancinante suspicione, “per via” di quel suo strano comportamento, camminare con passo cadenzato sul lastricato che va da Piazza San Luca a Piazza Duomo. “Teneva” costantemente il capo sempre chino, fisso e rivolto verso il basso. Di tanto in tanto, allorquando si levavano canti partigiani provenienti dal corteo, alzava leggermente il capo, roteando gli occhi a dritta e a manca. L’incedere un poco incerto. L’abbigliamento? I medesimi sandali d’allora, poi un berretto di panno blu con visiera, rigorosamente calato verso il basso, leggermente inclinato a sinistra (e non poteva essere altrimenti, vista la manifestazione!), giubbotto (a me sembrava da pilota d’aerei, non so!) tipo “bomber” realizzato in pelle di vitello (presumo di prima qualità e di una morbidezza esagerata, almeno al vederlo ”a pelle”), colore marrone con ricami U.S. Air Force americana. Due grandi taschini portadocumenti sul davanti, il giretto vita del bomber…in elastico.

Un’autenticata “figata”…per uno come lui! I pantaloni erano lunghi di colore cachi uniformi dell’esercito militare, dotati delle più svariate tasche. Prudevo, prudevo letteralmente, direttore, dalla voglia di avvicinarmi a lui e di farmi riconoscere. Era un autentico rompicapo per me, quella mattina. E mi chiedevo, in continuazione: fino a che punto una linea divide inesorabilmente un “di qua” e un “di là”? Quanto potente può essere un ipotetico confine, segnato fisicamente da un filo spinato, tracciato tra me e lui e che attraversa, invisibilmente: comprensione, condivisione, relazioni, culture? Fino a che punto quella linea marcava una distinzione tra “noi” e “loro” (plurale maiestatis preso a prestito…così, tanto per darci importanza), una differenziazione tra mondi che solo contrapponendosi sembrano (o dovrebbero) ritrovare la propria identità? D’altronde durante le frequentazioni dei numerosi anni di scuola, non ci hanno mica “imparato” che una linea, oltre che dividere, può anche unire, diventare anche un punto di contatto? Dichiariamoci in un altro modo, va là: non è che magari c’è bisogno dell’altro per crescere ed essere pienamente noi stessi? Con l’inesorabile trascorrere del tempo, forse, me la sono “giàbelle” che scordata quest’ultima elementare regoletta, sapete direttore?! E se invece il mio “atto comportamentale” altro non fosse stato se non quello assimilabile a quella regola geometrica che afferma, in maniera inconfutabile, che due linee parallele non si incontrano mai, anzi, si incontrano all’infinito? Allora avrebbe voluto significare che “io” e “lui” non ci saremmo mai più incontrati, ci saremmo guardati un poco in cagnesco, magari “annusato” anche poco e malvolentieri, e che l’incontro dei nostri due sguardi umani (forse troppo umani per essere autentici!) avrebbe potuto innescare comportamenti “virtuosi” non previsti? Spesso penso che l’alterità sia sempre più un pregiudizio verso il prossimo. In tempi come i nostri dove si è ripresa la consuetudine di costruire muri, di distinguere, dividere, chiudere, espellere, di menar vanto dei propri “io”  (dialetti, consuetudini, condizioni sociali) forse è più che mai appropriata una seria riflessione in merito. Non sarà che codesto nostro inconscio comportamento sottintenda paura ed ignoranza? Paura di dialogare, di capire, di interagire! Riflessioni profonde, pesanti, motivo di turbativa per menti esageratamente sensibili. Mah! Direttore, per farla breve, non ho avuto il coraggio di riavvicinarlo, ecco tutto! Arrivati in Piazza Duomo, accidenti…l’ho perso di vista.

Meschinamente l’ho cercato, mi sono aggirato sotto i portici di Palazzo, sotto i portici della nostra stupenda Cattedrale, dietro il Battistero, tra le bancarelle di un mercato da sempre protagonista dei più deliziosi e profumati “sapori” della nostra terra della bassa, in “barba” alle sdolcinate affermazioni di quelle due damigelle di nostra reciproca conoscenza, risapute paladine della “res publica”  e della “cives”, schifate dai nauseabondi odori di frittura di pesce, sudor d’ascelle, per di più scandalizzate dallo sventolare di coloratissime sensuali mutande. Manco fosse stato il “25 aprile” (AGGIUNGI DUE POSTI A TAVOLA, DIRETTORE, VA LA’). Ma di lui, di quell’originale personaggio…manco una traccia, manco un segno di vita, manco l’ombra. Ed allora, mestamente, mi sono dovuto arrendere, convincendomi che se n’era andato così come si era presentato con quella sua improvvisa ed inaspettata apparizione. Ed allora, toh…una metafora finale, che tutti ci dovrebbe accomunare: “L’edificare sulla sabbia è un infelice mestiere: ma io credo che tra coloro che disponendo della roccia non scavano fondamenta né alzano un muro, paghi di magnificare la saldezza del loro terreno, e coloro che in qualche maniera si adoperano a costruire sia pure su terreno friabile, siano preferibili questi ultimi. Sono almeno uomini di buona volontà!”. (don Primo Mazzolari).

giorgino  carnevali

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