Vincenzo Montuori (Cremona) ci propone due testi della raccolta ‘I sette gradi dell’assenza’
Mettendo ordine tra carte e fascicoli accumulati da decenni mi sono imbattuto in un libretto stampato a Imperia nel lontano 1994 che pubblica una mia plaquette con cui avevo vinto un premio poetico dedicato a Montale intitolato “Ossi si seppia”.
La raccoltina si intitolava “I sette gradi dell’assenza” ed è una riflessione sulla assenza e/o lontananza come motore ispirativo della elaborazione poetica.
Infatti, se definiamo la poesia come “espressione di una condizione di privazione “(scusate le rime interne) e cioè per dirla semplice come “l’avvertire che ci manca qualcosa sia pure di non decifrabile e riconoscerlo”, allora è chiaro che l’assenza e/o lontananza ci permette di separare i dati contingenti dalla sostanza della nostra condizione e pervenire a una voce poetica che sarà forse meno sentimentale ma più efficace; quindi l’assenza e/o lontananza è essenziale per la costituzione della scrittura poetica insieme alla memoria.
Diceva infatti il buon Giacomo , che non era come molti pensano, un poeta sentimentale, che “la rimembranza è essenziale alla costituzione del sentimento poetico”. A questo riguardo vi propongo due testi da quella raccolta:
I
Sul negativo l’estrema impressione
della pienezza sua si è affievolita
-dimenticato dopo la sortita
resta il portiere ad immalinconire-
Si allunga silenziosa la ferita
-sul piazzale abbagliato alla stazione
nessuna foglia al vento a risbaldire,
afa di notte agli alberi si avvita-
Sono la crepata marna intristita
nell’attendere vano della piena,
girasole al colmo di preghiera
reciso, il brivido buio che strema
le ultime accensioni della brughiera:
tuo il colpo che ha deciso la partita.
II
Vuoto che neppure palpita
del tardivo lamento delle strolaghe,
pietra delle mani, occhi di sale,
indigenza di carezze
naufragate nel silenzio,
uncino del vuoto-vetriolo
che mette un urlo sordo in cuore,
buio che prosciuga tutte le fibre
fino a levigarmi, ciottolo di fiume-,
suo atomo assetato.
Occhi non ho più, ne’ mani,
non ho più terminali,
sfera nera, vuota, chiusa al mondo.
E mi riconosco aperto
ancora nell’azzardo della pagina.
VINCENZO. MONTUORI