Giovedì, 25 aprile 2024 - ore 07.25

Campagna Sudan: il punto sugli avvenimenti

| Scritto da Redazione
Campagna Sudan: il punto sugli avvenimenti

Sudan e Sud Sudan: scontro sul petrolio

Il 28 novembre Khartoum ha annunciato un’interruzione delle esportazioni del greggio del Sud, che può raggiungere il Mar Rosso e i mercati internazionali solo attraverso gli oleodotti del Nord. Il  ministro del Petrolio Ali Ahmed Osman, motivando la misura con lo stallo dei negoziati con Juba sulle tariffe di transito, ha spiegato che il blocco era stato deciso il 17 novembre dopo mesi di trattative infruttuose cominciate all’indomani della proclamazione dell’indipendenza del Sud Sudan. Khartoum, ha aggiunto il ministro, ha finora permesso che le esportazioni continuassero nella speranza di un’intesa relativa anche al pagamento degli arretrati.  Khartoum ha motivato il blocco anche con il mancato pagamento da parte di Juba di arretrati per 727 milioni di dollari. Il Sud ha risposto chiedendo cinque miliardi, dovuti dai tempi della guerra civile (1983-2005).  Khartoum chiede 32 dollari a barile a fronte di valori di mercato non superiori ai sette. Jared Ferrie, corrispondente a Juba dell’agenzia di stampa finanziaria Bloomberg, citato dall'agenzia Misna, spiega che «Il Nord sostiene di aver riserve per garantire vendite regolari per un anno intero, lasciando il Sud a secco». Mentre secondo Egbert Wesselink, responsabile della rete Coalizione europea per il petrolio in Sudan, «Il rischio è che a furia di tirare la corda si finisca per bloccare le trattative».

La Cina prova a mediare. Il governo di Pechino ha rivolto un appello a Khartoum e a Juba affinché trovino un compromesso in grado di scongiurare il crollo delle esportazioni di petrolio sudanese. «Speriamo – ha detto un portavoce del ministero degli Esteri di Pechino – che il Nord e il Sud mostrino cautela e risolvano i problemi con spirito pragmatico e negoziati amichevoli». La Cina è il principale partner economico e commerciale del Sudan, acquista da sola circa il 60% dei quasi 500.000 barili di greggio prodotto ogni giorno, per lo più nelle regioni meridionali. Il Sud controlla infatti almeno tre quarti dei giacimenti di petrolio sudanese, ma affinché il greggio possa raggiungere il Mar Rosso e i mercati internazionali sono indispensabili gli oleodotti che attraversano il Nord.

Uno degli elementi più importanti degli accordi di pace del 2005, che avevano concluso una guerra civile durata oltre venti anni, era stata proprio la suddivisione delle rendite petrolifere tra Nord e Sud. Dopo l'indipendenza del Sud Sudan, in luglio, quegli accordi sono venuti meno e non sono ancora stati sostituiti da una nuova intesa tra Khartoum e Juba.

L'offerta di Juba. Il 30 novembre, attraverso un comunicato emesso a Addis Abeba, dove erano in corso le trattative, il governo del Sud Sudan ha reso noto di accettare la mediazione dell'Unione africana  per risolvere la disputa e ha dichiarato di essere pronto a trasferire al Nord 5,4 miliardi di dollari, ovvero «circa il 70% del debito pubblico del Sudan, secondo i calcoli del Fmi». In cambio, Juba chiede di considerare in questo modo definitivamente chiuse le discussioni pendenti e di iniziare nuove trattative sul petrolio senza tenere conto di accordi precedenti.

 

Sudan, 1 / Verso un rimpasto di governo

Il governo di Khartoum sembra sempre più vicino a un rimpasto atteso da tempo, per permettere all'esecutivo stesso di riorganizzarsi dopo l'indipendenza del Sud Sudan (a luglio). Il Ncp, partito del presidente Bashir, deve affrontare l'opposizione dei partiti storici del Nord Sudan e anche le proteste popolari nelle strade, dovute principalmente all'aumento dei prezzi. Nel frattempo a fine novembre Bashir ha nominato suoi assistenti Jaffar Al-Sadiq Mohamed Osman Al-Mirghani (figlio del leader storico del partito Dup) e Abdel-Rahman al-Sadiq al-Mahdi  (figlio del leader del Umma). Molti analisti hanno interpretato le nomine come un tentativo per coinvolgere i partiti nel governo. Dopo mesi di trattative, l’Umma Party ha però rifiutato, mentre il Dup - seppur spaccato e dopo un dibattito convulso - ha accettato.

 

Sudan, 2 / Entro Natale 100mila profughi dal Nilo Azzurro

I combattimenti tra l'esercito di Khartoum e  i ribelli dello Splm-Nord nel Nilo Azzurro hanno giá costretto oltre 76mila sudanesi a abbandonare le proprie case per rifugiarsi in Etiopia. Secondo le stime dell'Acnur, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, prima della fine dell'anno i rifugiati in Etiopia saranno 100mila. A questi vanno aggiunte circa 16mila persone che sono andate nella regione dell'Upper Nile (in Sud Sudan) e altri 20mila sfollati che si sono spostati verso il Kordofan meridionale, un altro territorio in cui combattono i soldati di Khartoum e i ribelli dello Splm-Nord.

I precedenti. Kordofan meridionale e Nilo Azzurro da un punto di vista amministrativo fanno parte del Sudan; dal punto di vista geografico confinano con il Sud Sudan, indipendente da luglio; sono territori che non hanno trovato una collocazione completamente definita dopo gli accordi di pace tra Nord e Sud (ovvero tra il partito del presidente Bashir e lo Splm, al potere nel Sud) nel gennaio 2005, accordi che avevano chiuso una guerra civile durata oltre venti anni e che avevano aperto la fase di transizione che avrebbe portato al referendum sull'autodeterminazione del Sud e all'indipendenza. Nelle due regioni la presenza dello Spla e la diffidenza nei confronti del governo sudanese erano e sono tradizionalmente molto sviluppate. La ribellione del Nilo Azzurro è iniziata con l’attacco dell’esercito del governo di Khartoum alla residenza del governatore eletto, Malik Aggar (leader dello Splm-N) e la sua deposizione: da giugno la ribellione insanguina anche il Kordofan meridionale, dove lo forze dello Splm-Nord sono guidate da Abdel-Aziz al-Hilu, in precedenza vicegovernatore della regione.

 

Il contesto regionale

«Il Kenya deve arrestare Bashir»

Il 28 novembre la Corte suprema di Nairobi ha emesso un’ordinanza che impone al governo del Kenya di arrestare il presidente sudanese Omar el Bashir nel caso tornasse a visitare il paese. La misura recepisce un mandato di cattura spiccato nei confronti del capo di Stato dalla Corte penale internazionale (Cpi) nel 2009.  Al Bashir è ricercato dalla Cpi con l’accusa di essersi reso responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità durante il conflitto cominciato nel 2003 nella regione sudanese del Darfur.

Poche ore dopo il pronunciamento della Corte suprema  keniana, il ministro degli Esteri di Nairobi, Moses Wetangula, ha  criticato «la mancanza di sensibilità dimostrata dalla magistratura, nello gestire questioni che hanno evidenti ripercussioni sulla politica estera del paese». Un portavoce del ministero degli Esteri sudanese, Al Obeid Meruh, ha tentato di smorzare i toni della vicenda, avvisando che la decisione dei giudici keniani non avrebbe avuto ripercussioni sulle relazioni tra i due paesi.

Il 29 novembre, infine, il governo del Sudan ha invitato l’ambasciatore di Nairobi a Khartoum a lasciare il paese. All’ambasciatore keniano sono state date 72 ore per lasciare il territorio sudanese, mentre allo stesso modo è stato richiamato in patria il rappresentante diplomatico di Khartoum a Nairobi.

 

La Eac rifiuta l'adesione del Sudan

La Comunità dell’Africa orientale (Eac) ha respinto la richiesta di adesione presentata dal Sudan. La decisione è stata motivata con la mancanza di alcune delle condizioni necessarie. L’articolo tre dello statuto della Comunità dell’Africa orientale subordina l’adesione al rispetto dei principi del buon governo, della democrazia e della tutela dei diritti umani. Un’altra condizione è la continuità geografica con i paesi del blocco, continuità che il Sudan ha perduto dopo l’indipendenza del Sud seguita alla guerra civile (1983-2005). La richiesta di adesione di Khartoum è stata presentata all’indomani della proclamazione dell’indipendenza del Sud Sudan, ottenuta nel luglio scorso. I membri della Comunità dell’Africa orientale sono Kenya, Uganda, Tanzania, Rwanda e Burundi.

 

Documenti

Appello per i prigionieri politici dello Splm-N

Il comitato per il supporto dei prigionieri politici e i detenuti in Sudan ha lanciato un appello di solidarietà  per difendere i diritti di  alcuni militanti dello Splm-N. Ecco il testo: «Un tribunale, istituito nella città di Sinja, nello stato del Sennar, con un processo sommario ha emesso le sentenze di morte contro 19 detenuti civili, appartenenti allo Splm-Nord (Splm-N), originari dello stato del Nilo Azzurro e del Nord Sudan, che non hanno nessun coinvolgimento nelle azioni militari in corso in quelle zone. I detenuti sono stati arrestati nelle loro case o nei loro luoghi di lavoro, lo scorso settembre, durante l’attacco militare da parte dell’Ncp, il partito al potere in Sudan, nello stato del Nilo Azzurro e la destituzione del governatore eletto, Malik Agar, dello Splm-N. La maggior parte di loro sono stati sottoposti a torture indicibili, gravi minacce e abusi durante il periodo di detenzione. In seguito ai maltrattamenti subiti sistematicamente alcuni di loro hanno riportato disabilità fisiche o sono rimasti sfigurati. Ora, in una situazione di totale mancanza di qualsiasi notizia ed informazione, hanno ricevuto processi sommari che non hanno portato a nessuna giustizia naturale o a procedimenti legali imparziali e non gli sono stati riconosciuti nemmeno i più basilari diritti legali. Le sentenze rappresentano la più grave violazione delle norme sui diritti umani. Ora i 19 detenuti condannati stanno aspettando il loro destino nella prigione di Kober, a Khartoum, tra loro c’è anche il famoso scrittore e poeta Abdel- Monim Rahma. Altri detenuti saranno sottoposti a processo a Sinja nei prossimi giorni».

 

Appello per il popolo Nuba

La rete della diaspora Nuba ha pubblicato un appello, sottoscritto da molte organizzazioni della società civile. Ecco il testo: «Il Kordofan Meridionale (Sudan) è stato teatro di ripetute tragedie. I nuba hanno subito aggressioni ambientali, economiche, culturali. Oggi Khartoum sta di nuovo bombardando quelle terre. Nel silenzio del mondo. Serve la reazione di tutti per evitare un genocidio.  Il 10 novembre, un aereo militare Antonov del governo di Khartoum è entrato nello spazio aereo del Sud Sudan per circa 15 km e ha bombardato il campo profughi di Yida, dove oltre 20mila persone nuba – per lo più bambini, donne e anziani – avevano trovato scampo, dopo essere fuggiti dai loro villaggi nello stato sudanese del Kordofan Meridionale, perché vittime di una feroce repressione. Almeno 12 i morti; 20 i gravemente feriti. Le agenzie umanitarie dell’Onu stavano proprio in quei giorni organizzando l’assistenza dei rifugiati per aiutarli a sopravvivere nel nuovo e ostile ambiente. Questa azione, compiuta nella più totale mancanza di rispetto delle leggi internazionali e contravvenendo a numerose convenzioni internazionali – oggi Sudan e Sud Sudan sono due nazioni indipendenti e sovrane – è soltanto l’ultimo dei numerosi crimini commessi dal regime di Khartoum contro il popolo nuba. Il bombardamento ha avuto luogo poche ore dopo che il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, aveva condannato un precedente attacco, avvenuto il giorno 8, contro un villaggio della contea di Maban (7 morti), e accusato il governo di Khartoum di cercare la guerra. Quel bombardamento di un territorio straniero è stata l’ennesima prova che nulla fermerà il regime di Khartoum dall’usare ogni mezzo per piegare la volontà dei nuba di affermare il loro diritto all’autodeterminazione. Pare ormai certo che il governo di Omar El-Bashir è deciso a riprendere il genocidio culturale e fisico del popolo nuba, interrotto momentaneamente dal cessate-il-fuoco del 2002 e dall’Accordo globale di pace del gennaio 2005 tra il regime islamista di Khartoum e l’Esercito/Movimento popolare di liberazione del Sudan (Spla/m), e forse anche pronto a provocare una nuova guerra tra il Sudan e il Sud Sudan. Noi, nuba della diaspora e amici del popolo nuba sparsi nel mondo, seguiamo con profonda preoccupazione il conflitto armato che è deflagrato nel giugno di quest’anno, e condanniamo con decisione questi nuovi atti di repressione barbarica da parte del governo di Khartoum.

In passato, lo stato del Kordofan Meridionale è stato teatro di ripetute tragedie: tratta schiavista, colonizzazione, prolungato isolamento del popolo nuba, totale privazione dei servizi scolastici e sanitari, negazione del diritto di proprietà e di uso delle risorse naturali locali... In particolare, i nuba hanno sofferto innumerevoli invasioni di razziatori di schiavi e una forzata arabizzazione-islamizzazione. Sono stato costretti con la forza a combattere in guerre che non erano per la loro difesa, ma per il beneficio di regimi lontani, se non proprio stranieri.

Nonostante queste ingiustizie, i nuba sono riusciti a far fronte a spaventose condizioni di vita e a sviluppare una straordinaria capacità di ripresa e un forte senso di identità. Il regime di Khartoum li ha tenuti sotto controllo attraverso una diabolica combinazione di meccanismi economici, sociali, ambientali e politici, ma non è stato in grado di spezzare la loro volontà. In campo economico, Khartoum sta avvantaggiando persone o gruppi disposti a sposare i suoi orientamenti politici e a servire nelle sue strutture amministrative. In campo sociale, ricorre alla denigrazione di tutto ciò che non è arabo e alla diffusione di norme sociali, tradizioni e costumi importati nella regione attraverso o un’esplicita imposizione dall’alto o matrimoni misti e pratiche religiose. A livello ecologico, il regime sta gestendo l’ambiente in maniera scriteriata al solo scopo di avere il totale controllo dei mezzi di sussistenza in materia di cibo e sicurezza alimentare. Dal punto di vista politico, con una linea programmatica sfacciatamente discriminatoria, ha impedito ai nuba di svolgere un loro ruolo a livello locale, nazionale e internazionale.

Infine, la popolazione dei Monti Nuba è  stata testimone di vere e proprie aggressioni culturali, perpetrate per promuovere lingue, religioni, tradizioni, danze, usi e costumi “altri”. Quasi tutte le culture imposte hanno mirato a instillare nei nuba un senso di inferiorità, quasi dovessero vergognarsi di essere ciò che sono. Tutti i mezzi di comunicazione, radio e televisione in particolare, sono stati – e sono tuttora – monopolizzati da chi detiene il potere e controlla le ricchezze nazionali.

L’Accordo globale di pace del 2005 non ha voluto affrontare il destino del popolo nuba e di altri gruppi marginalizzati del Sudan, né osato esaminare le molte cause di conflitto presenti in quelle aree. Questa la ragione principale che sta dietro l’attuale ritorno alla violenza, il pericolo di una nuova guerra civile e la possibilità di un conflitto interregionale se non addirittura internazionale. Oggi Khartoum uccide persone indifese che sono fuggite da zone di guerra, raggiungendole perfino in campo profughi. Cosa bisogna fare per fermare le violenze e evitare una nuova guerra? Di sicuro, serve la partecipazione di molti. Pertanto, ci appelliamo a tutti i nuba della diaspora, perché sostengano il loro popolo, usando ogni mezzo possibile per far conoscere le sue sofferenze e le sue lotte, coinvolgendo i mezzi di comunicazione della nazione in cui vivono, così che il regime di Khartoum non possa più continuare impunemente a fare ciò che sta facendo sui Monti Nuba e nel Kordofan Meridionale; alla comunità internazionale e agli organismi non governativi, perché approntino e inviino subito sui Monti Nuba e nel Kordofan Meridionale commissioni d’inchiesta per raccogliere documentazioni sui crimini che vi sono commessi, e nello stesso tempo mandino aiuti ai civili indifesi; alle potenze mondiali e alle agenzie dell’Onu, perché esercitino pressioni sul governo di Khartoum, affinché consenta il libero accesso alle zone colpite dalle nuove violenze e promuovano un dialogo politico tra tutte le parti interessate.

Invitiamo tutti a fare in fretta, ad agire ora, quando un genocidio vero e proprio è ancora evitabile».

 

La Campagna Sudan

Chi siamo

La Campagna italiana per il Sudan è una campagna nazionale di informazione, sensibilizzazione ed advocacy che opera dal 1994. Raggruppa organizzazioni della società civile italiana (Acli, Amani, Arci, Caritas Ambrosiana, Caritas Italiana, Mani Tese, Missionari Comboniani, Missionarie Comboniane, Ipsia Milano, Iscos Emilia Romagna, Nexus Emilia-Romagna, Pax Christi) e lavora in stretta collaborazione con enti pubblici e privati italiani e con varie organizzazioni della società civile sudanese. In Italia la Campagna ha fatto conoscere la situazione del Sudan e ha sostenuto i processi volti al raggiungimento di una pace rispettosa delle diversità sociali, etniche, culturali, religiose della sua popolazione. Per informazioni: www.campagnasudan.it.

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