Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 04.55

Comitato Acqua Pubblica: Commenti al documento delle aziende idriche

| Scritto da Redazione
Comitato Acqua Pubblica: Commenti al documento delle aziende idriche

Si tratta di un documento tanto sbagliato nella forma e nella sostanza quanto pericoloso; ed è una discreta “summa” di molti degli elementi che giustificano e fondano la lotta dei movimenti per l’acqua contro la privatizzazione del servizio idrico e la sua gestione tramite enti di diritto privato.

Va innanzi tutto evidenziato come questo atto sia una sostanziale presa in giro dei cittadini e dei sindaci: è stato annunciato e presentato sui mezzi di stampa come un progetto di fusione e invece l’unica cosa che fa è convenire di realizzare — in qualunque modo purché sia un ente di diritto privato — un gestore unico provinciale, affidando la redazione del vero progetto a un altro soggetto, sempre privato. Dunque non è un progetto, è semplicemente un generale consenso alla linea politica dell’Amministrazione Provinciale connesso al tentativo di vincolare i soggetti coinvolti a un percorso obbligato. E’ un documento politico, non tecnico; questo è un primo gravissimo elemento negativo.

 

Veniamo alle premesse del documento. Si tratta di affermazioni di carattere generale, tutte parziali e pilotate, gravi sia in quello che affermano sia in quello che omettono.

Primo, viene affermato il riconoscimento da parte delle aziende del principio di sussidiarietà. Come tutti sanno si tratta dello strumento giuridico attraverso il quale (nella sua applicazione in senso orizzontale) si “obbliga” il soggetto pubblico a farsi da parte ove un soggetto privato fornisca un prodotto o un servizio che il pubblico normalmente copre. Si tratta del principale grimaldello attraverso il quale il mondo delle aziende private è riuscito negli ultimi vent'anni a mettere le mani sui servizi pubblici, sui loro introiti e sui fondi statali ad essi legati, in quanto la sua applicazione in senso iperliberistico giunge ad affermare che non vi possono essere ambiti che per le loro caratteristiche vanno sottratti al principio di sussidiarietà. Il suo riconoscimento in ambito idrico è volto dunque ad inserire la costruzione del progetto in un percorso obbligato che non possa escludere la presenza del privato. Ma si tratta di una affermazione profondamente politica, non tecnica: dunque un atto che i presidenti non possono porre in essere ma devono semmai lasciare all'amministrazione pubblica da cui dipendono. Tale riconoscimento è ovviamente incompatibile con gli esiti referendari.

Secondo: “tutte le società riconoscono la rilevanza economico-sociale del servizio”. Un secondo eccesso di potere, perché non spetta a una azienda definire la rilevanza economica di un servizio, ma agli enti locali di cui sono (dovrebbero essere) emanazione. Anche in questo caso si tratta di una affermazione inaccettabile in quanto contrasta con gli esiti referendari (come definiti dalla sentenza di ammissione dei quesiti) che affermano come il comporsi del sì ai due quesiti delinea un quadro di sostanziale pubblicità del servizio.

Terzo: è evidentemente una forzatura che le società riconoscano la “necessità” di una loro integrazione operativa. Una fusione o un coordinamento di aziende può certamente essere utile, ma può altrettanto facilmente essere controproducente: dipende dal come si fa, con quali parametri, partendo da quali premesse e con quali obiettivi finali. Porla come “necessaria” serve chiaramente a togliere potere alle aziende “minori” che non devono  in alcun modo essere di intralcio al percorso di privatizzazione. La privatizzazione di un servizio provinciale infatti non può essere realizzata pezzo per pezzo (privatizzando azienda per azienda tutte le esistenti), poiché sarebbe troppo dispendioso e di incerto esito (non tutte le gare si possono vincere o addomesticare): molto più sicuro è procedere prima a una unificazione in modo da avere un solo interlocutore e partecipare (vincendo) a una sola gara, ottenendo così un territorio omogeneo da gestire e non a macchia di leopardo. Dichiarare “necessaria” l'unificazione è d'altra parte funzionale a presentare indirettamente come insufficiente e bisognoso di aiuto l'attuale sistema complessivo di aziende esistenti: non a caso infatti in nessuna parte del documento si afferma che il servizio reso dalle aziende è di buona qualità, giudicato tale anche dagli utenti oltre che dagli enti locali.

Quarto: le società (per il tramite dei loro presidenti) sono convenute a un tavolo per condividere tra loro una proposta per la riorganizzazione della gestione, senza riceverne esplicito e formale mandato (almeno per quanto risulta ufficialmente) e firmando l'atto senza avere avuto prima un ok dai rispettivi cda. Prevedere di ricevere un assenso a posteriori (come si farà lunedì) è percorso radicalmente differente.

 

Ma non solo il documento è pericoloso e parziale in quello che afferma, lo è anche e forse soprattutto in quello che omette. Sottolineiamo dunque i principali elementi mancanti nelle premesse così come nel resto del documento, perché servono ad inquadrare l'intera manovra e a “leggere” correttamente il documento:

- in nessuna parte del documento si parla di qualità del servizio: l’unico parametro utile a prendere le decisioni è quello economico-finanziario. Questa è la dimostrazione lampante di quale sia il vero scopo del documento, di come esso nasca e si muova all'interno di un'ottica squisitamente privatistica e d’altra parte di come la forma giuridica dell’azienda di diritto privato (massimamente la società per azioni) sia inadatta ed anzi incompatibile con la gestione di un bene comune. L’unico passo che adombra il tema della qualità è la frase “massimizzare l’obiettivo di soddisfacimento degli utenti” che non è sovrapponibile a quello di qualità del servizio, perché “soddisfacimento” è un livello minimo, significa alla fine realizzare il servizio (che è un obbligo di legge), non realizzarlo al massimo livello qualitativo possibile in relazione ai mezzi. In sostanza si ribaltano (come sempre in ambito privatistico) i parametri: prima vengono i soldi, poi (forse) gli utenti, l'ambiente, i lavoratori. Si ponga inoltre particolare attenzione al fatto che questo obiettivo di massimizzazione del soddisfacimento degli utenti viene posto non come scopo del servizio, ma come scopo della aggregazione: il che indirettamente porta a concludere chi legge che senza questa aggregazione il servizio risulterà insufficiente;

- in nessuna parte del documento si fa il più piccolo riferimento agli esiti referendari, proprio perché sono in netto e totale contrasto all’impostazione, allo scopo e alla strutturazione stessa del documento. Esso infatti punta palesemente (per quanto non esplicitamente, nel puerile tentativo di non allarmare sindaci e cittadini) alla privatizzazione del servizio, non riconosce l’acqua come un bene comune, non struttura il servizio come un servizio puntato alla qualità ma piuttosto al tornaconto economico.

 

Veniamo al dispositivo del documento:

Già la formulazione principale lascia perplessi: le aziende “convengono unanimemente [...] la creazione di un unico ente ecc.”. Non si può “convenire la creazione” di un oggetto: o si conviene sulla utilità della creazione (e quindi è una proposta) o si crea. Se è una proposta è inammissibile che la stessa definisca un percorso obbligato (come fa nelle parti successive) e vincolante anche per i soggetti firmatari; se è un atto di creazione è eccesso di potere, non possono le aziende in autonomia creare un soggetto.

E’ poi particolarmente grave e centrale in tutto l'atto che le aziende prendano la decisione, prettamente e profondamente politica, di proporre/creare un “ente giuridico di diritto privato”. Anche questo non rientra nelle loro competenze e possibilità, poiché si va a determinare una restrizione pesantissima e inaccettabile delle scelte a disposizione degli enti locali. Ma anche questo è evidentemente necessario in quanto la soluzione che più spaventa i privatizzatori è proprio quella dell'ente di diritto pubblico, che risulta la più semplice da applicare, la più trasparente nei confronti della pubblica amministrazione, la più economica in assoluto da tutti i punti di vista e la più adatta a favorire la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori.

Per la realizzazione dell’integrazione delle società nell’unico nuovo soggetto si propone di utilizzare (attenzione, in linea di massima, il che vuol dire che si prevedono eventualmente anche percorsi alternativi) il conferimento e non la cessione. Siccome il conferimento prevede che non si abbia un corrispettivo in denaro ma in quote azionarie, i soggetti conferenti necessariamente non scompariranno, dunque non si avrà nessuna semplificazione societaria, nessuna “poltrona” in meno (e relativi stipendi), ma anzi un cda e nuove poltrone in più. Quanto all'applicabilità dello strumento giuridico in sé bisognerà ragionare sul fatto che la maggior parte dei comuni non partecipa direttamente ad una azienda gestionale ma lo fa tramite le patrimoniali: per cui appare decisamente improprio che le tre patrimoniali principali (AEM, SCS e Padania Acque) decidano di “conferire” i loro rami gestionali alla futura società di diritto privato senza prevedere un passaggio con i Comuni ma al massimo un passaggio (entro il 5 marzo 2012) nei rispettivi CdA secondo le modalità fissate dalle rispettive governance. Salta agli occhi comunque l'assenza di qualunque menzione riguardante LGH, vero e proprio convitato di pietra del documento ma presente comunque alle riunioni delle società mediante due membri del suo cda (i presidenti Albertoni e Bonoldi) per tutelare anche gli interessi di LGH, che sono cospicui, in tutta la partita.

Grave poi (come già detto prima) che i parametri cui il redattore del progetto “vero” si dovrà obbligatoriamente attenere siano esclusivamente quelli del punto 3, cioè solo criteri economico-finanziari e non legati alla qualità del servizio, al mantenimento del livello occupazionale; altrettanto ovvio che tra gli elementi di cui tenere conto nella progettazione del nuovo soggetto provinciale non si preveda di tenere conto della eliminazione della remunerazione del capitale investito, che automaticamente renderebbe meno attraente la partita per un soggetto privato.

Ancora più grave il fatto che le aziende (sempre per il tramite dei loro presidenti) riservino a se stesse l’unico elemento di controllo “politico” sul percorso: come si legge infatti i componenti del cosiddetto “comitato guida” non saranno espressione degli enti locali o dei sindaci o dei lavoratori o dei cittadini ma saranno “Rappresentanti delle società firmatarie”. Altrettanto grave che le aziende chiedano all’Amministrazione Provinciale di affidare a loro l’intero iter e non di rimetterlo nelle mani dei soggetti politico-amministrativi di cui sono (dovrebbero essere) emanazione, vale a dire i comuni. Vi si aggiunga come le aziende arrivino a dettare i tempi alla parte politica, con un ribaltamento dei ruoli addirittura paradossale. E non solo si dettano i tempi: ancora una volta (brutta abitudine ormai inveterata in ambito provinciale) si costringono gli amministratori pubblici (così pare di capire dalle voci circolanti sull'ordine del giorno di lunedì) a votare l'atto il giorno stesso della sua presentazione.

Questi ultimi elementi delineano nettamente i contorni di un esproprio democratico molto pesante, inaudito, pericoloso e pertanto totalmente inaccettabile.

A comprova della volontà (si legga necessità assoluta) di escludere ogni scomodo controllo e passaggio democratico sulla strada della privatizzazione, si aggiunga che questo documento non è passato preventivamente nei consigli comunali, non è passato nelle giunte, non è passato nei cda delle aziende; passerà solo in un secondo momento nei cda delle aziende, mai presso i comuni (non è previsto in nessun punto dell’iter).

Preoccupa particolarmente poi (e si segnala con particolare urgenza alle organizzazioni sindacali) come in tutto il progetto non si preveda alcuna esplicita formula di salvaguardia del personale oggi esistente: anzi essendo di fatto le premesse una dichiarazione di insufficienza operativa fatta dai presidenti delle aziende non sul proprio operato ma sulla capacità delle aziende stesse questo documento può trasformarsi in un elemento ostativo all’assorbimento del personale nel nuovo soggetto, in quanto indebolisce fortemente la capacità contrattuale dei lavoratori attualmente presenti nell'organico delle aziende.

Un ultimo fortissimo elemento di insufficienza e (volontaria) mancanza di lungimiranza deriva infine dal fatto che il quadro complessivo di soggetti che viene delineato da questa proposta non risolve per nulla l'incompatibilità di fondo dell'attuale sistema societario complessivo, basato sostanzialmente su società di capitali “patrimoniali”, sulle quali si è abbattuta la recente sentenza con la quale la Corte ha dichiarato incostituzionali parti essenziali della legge lombarda. Senza la creazione di una o più aziende di diritto pubblico, che vadano finalmente a riunire tutte le funzioni (patrimonio, gestione, erogazione) tipiche del servizio idrico integrato.

 

Dall'analisi complessiva dell'atto risulta dunque evidente come questo percorso rappresenti il tentativo davvero inverecondo di spingere alla privatizzazione del servizio idrico aggirando ed escludendo totalmente i soggetti che più vi si stanno opponendo, vale a dire i sindaci e i cittadini. In nessuna parte del percorso delineato si prevede infatti un momento di coinvolgimento dei cittadini organizzati; ma soprattutto, ed è forse l'elemento negativo in assoluto più allarmante e nel contempo più scoperto, questo percorso sancisce l’assoluta e totale esclusione dei rappresentanti democratici delle collettività (i sindaci). Siccome sulla strada della privatizzazione del servizio idrico sono sorti (per fortuna della collettività) troppi ostacoli pesanti (mobilitazione dei cittadini, referendum popolari, opposizione o indisponibilità dei sindaci, opposizione o indisponibilità dei consiglieri provinciali) ora si tenta di privatizzare non solo la gestione ma il percorso stesso di scelta, quindi di affidare il compito a un “unico professionista e/o soggetto”, ovviamente privato. Sarà lui a prendere le decisioni politiche e finanziarie fondamentali, al di fuori da qualunque controllo democratico e lo farà “obbligato” a ragionare su premesse chiaramente privatistiche, del tutto disinteressate alla qualità del servizio ed ostili alla soluzione di diritto pubblico.

Si tratta, vale la pena di sottolinearlo in conclusione, di un percorso che si muove in opposizione alla stessa legge lombarda di regolamentazione del settore, in quanto conferisce ad un soggetto terzo ed esterno, privato, compiti che sono quelli fondamentali e principali affidati per legge all'azienda speciale Ufficio d'Ambito. Dunque anche in questo caso un onere totalmente inutile per la collettività, necessario tuttavia ai privatizzatori poiché evidentemente essi giudicano che l'azienda speciale Ufficio d'Ambito è troppo permeabile per legge a controlli pubblici (sia degli amministratori pubblici che dei cittadini, singoli od organizzati).

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