Giovedì, 18 aprile 2024 - ore 17.41

(CR) Pianeta Migranti. Braccianti riscattati dalla schiavitù dei caporali

Se in Calabria si riesce a liberare i braccianti dal caporalato vuol dire che è possibile anche qui da noi. E’ una sfida etica e di legalità.

| Scritto da Redazione
(CR) Pianeta Migranti. Braccianti riscattati dalla schiavitù dei caporali

(CR) Pianeta Migranti. Braccianti riscattati dalla schiavitù dei caporali

Se in Calabria si riesce a liberare i braccianti dal caporalato vuol dire che è possibile anche qui da noi. E’ una sfida etica e di legalità. 

L’associazione NoCap nasce nel 2011 per contrastare il caporalato in agricoltura, si autofinanzia ed è composta da esperti di Cooperazione, agronomi, avvocati, commercialisti.

La Chiesa calabrese, con monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio, sostiene l’iniziativa.

Grazie a NoCap i braccianti vengono tutelati e aiutati in ogni modo.

NoCap trova per loro abitazioni decenti, paga il primo mese di affitto quando i braccianti iniziano a lavorare; fornisce loro mobili, stoviglie, materassi ecc…affinchè abbiano il necessario. In teoria dovrebbe essere sempre così perché lavorare nei campi e provenire dalla miseria non è un reato da scontare.

La Calabria ha tre zone agricole per vocazione: la Piana di Gioia Tauro, con gli ulivi e gli agrumi; Lamezia Terme con sue cipolle rosse, e la Piana di Sibari con le arance, le fragole, le albicocche, i melograni. Attorno a queste aree si sono creati ghetti di persone-fantasma.

Uomini-schiavi, per lo più, senza permesso di soggiorno, che faticano anche dieci ore al giorno, per pochi euro l’ora. Coltivare la terra è una specie di iattura: una volta finito il lavoro dei campi, i braccianti entrano nell’inferno dei ghetti dove non c’è riposo né cibo buono, né servizi, né assistenza. Nella tendopoli di San Ferdinando alle porte di Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro, sono stipate oltre 400 persone.

Con il decreto Cutro i ghetti come San Ferdinando possono moltiplicarsi. Spesso sono proprio i braccianti stranieri a reggere la produzione del settore agricolo del nostro Paese. Lavorano senza tutele e diritti, con un salario da fame e diventano proprietà del caporale che dispone di loro come vuole. Quindi cessano di esistere come persone libere, perdono la dignità  e diventano vulnerabili e invisibili.

Il caporalato e i ghetti dei braccianti sono una piaga sociale da estirpare. Servirebbero  politiche nuove, contrarie a quelle messe in agenda dall’attuale esecutivo. Servono strumenti di inclusione, il rilascio di permessi di soggiorno stabili perché la regolarità giuridica è uno dei primi strumenti di contrasto ad ogni forma di illegalità.

NoCap cerca aziende agricole disposte ad assumere una squadra di persone (non schiavi) a condizioni lavorative buone e sottratte al caporalato. Non è scontato, ma la rete delle imprese etiche del progetto progetto con NoCap si sta allargando. Alle aziende viene offerta la possibilità di commercializzare meglio i loro prodotti, grazie ad un bollino di garanzia; quelle interessate ad abbandonare la strada ‘fuori legge’, come ad esempio la Cooperativa Frutti del Sole di Vibo, stipulano contratti di bracciantato regolari, rispettando un orario di lavoro umano.

Il logo del bollino di NoCap è rappresentato da sei mani colorate tese verso l’alto. Da febbraio 2019 e al 2022 il risultato è stato buono e più di 100 braccianti hanno avuto un lavoro onesto. La scommessa ora è allargare la rete delle imprese che offrono lavoro buono. La sfida è quella di far entrare le aziende agricole nel circuito etico di NoCap poiché non si ottengono risultati utili se si interviene solo sul bracciante sfruttato, ma occorre adoperarsi anche per le aziende vittime delle multinazionali e della grande distribuzione. E si sa che la filiera agricola è una realtà molto complessa.

Vedi il video Braccianti, non schiavi! Da Cosenza al ghetto di San Ferdinando - Popoli e Missione

 

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