Domenica, 28 aprile 2024 - ore 05.15

Cremona blak bloc noi c’eravamo In scena lo spettacolo di aggressione alla città.

E' stato programmato uno spettacolo in cui tutto era già previsto. In cui noi, manifestanti pacifisti e antifascisti, eravamo il pubblico.

| Scritto da Redazione
Cremona blak bloc noi c’eravamo In scena lo spettacolo di aggressione alla città.

Gentile direttore, c’eravamo, al corteo antifascista del 24 gennaio. C’eravamo, a tenere lo striscione di apertura, in segno di solidarietà e di amicizia con un amico che ancora non conosciamo, ma la cui vicenda ci ha turbato, indignato. Abbiamo scelto di esserci. E abbiamo visto quel che è successo. Il corteo è iniziato con calma. Cremona sembrava una città deserta, spettrale. Solo qualcuno si affacciava ai balconi, alle finestre. Molti fotografavano, filmavano. ‘Perché tutta questa tensione? Sta andando tutto bene’.

Dietro di noi, facce giovani; più indietro bandiere dell’Anpi, dell’associazionismo, qualche partito. Davanti a noi il furgone mandava musica e slogan. Mentre procedevamo lentamente (via Mantova, piazza Libertà, inizio di viale Trento Trieste), alcuni militanti del centro sociale coordinavano il ritmo del cammino, in modo che lo striscione fosse ben visibile, che i familiari di Emilio avessero lo spazio che meritavano.

Avanti, oltre il corteo,il cordone di polizia; distante. Dietro di noi, invece alcuni spingevano, premevano. E arrivati all’altezza dei giardini del vecchio passeggio, i  militanti del Dordoni ci chiedono di arrotolare lo striscione e di spostarci, e magari di andare alla fine del corteo, «perché potrebbe essere pericoloso». Qui scatta il nostro stupore. Come, pericoloso? Siamo qui per manifestare solidarietà, vicinanza, non per distruggere. Invece è il momento dei fumogeni: come in una rappresentazione teatrale, il fumo al posto delle quinte, un gruppo folto che stava dietro di noi scompare nel fumo per poi riapparire in divisa: caschi integrali, giubbini e pantaloni neri, bastoni bianchi. Era cambiata la scena, erano cambiati i protagonisti.

Uno dalla Val Susa, vedendoci contrariati, scippati, ci spiega che «fanno così per non venire identificati, perché basta una spilla, una scarpa». Sì, ma perché? Noi ci stavamo mettendo la faccia, nella nostra città. Perché? Da la in poi è accaduto quello che sappiamo. Scontri, vetrine e bancomat aggrediti, perfino la polizia locale. Un obiettivo vale l’altro, basta lasciare un segno. Scene d’altri tempi . Quel che stavolta ci ha sconcertato, che ci ha lasciato questa profonda inquietudine, è stata la messa in scena, la  programmazione puntuale di uno spettacolo di aggressione ad una città. Parafrasando Hannah Arendt, la banalità di un caos costruito ad arte, condotto da figure anonime, prive di pensiero, capaci di scempi, forse addirittura guidate a sfogarsi contro obiettivi prevedibili (non per caso le vie perpendicolari al viale Trento Trieste erano libere). Rituali e contro-rituali.  A distruzione programmata, oltre la violenza, oltre la devastazione, rimane questa terribile sensazione: l’aver sottratto uno spazio pubblico ai cittadini, l’aver profanato una manifestazione legittima, una indignazione sovrana. L’aver programmato uno spettacolo in cui tutto era già previsto. In cui noi, manifestanti pacifisti e antifascisti, eravamo il pubblico.

Pisana Bassi e Mauro Ferrari (Piadena)

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