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Dopo le Olimpiadi, il Brasile alla ricerca di se stesso

Le Olimpiadi di Rio 2016 sono finite e il risultato è stato migliore di quanto molti immaginassero

| Scritto da Redazione
Dopo le Olimpiadi, il Brasile alla ricerca di se stesso

Le Olimpiadi di Rio 2016 sono finite e il risultato è stato migliore di quanto molti immaginassero. O temessero. Nonostante le frustrazioni circa i risultati sportivi del “Team Brasil”, la delegazione degli atleti brasiliani, e alcuni problemi dell’ultimo minuto, soprattutto nella gestione del Villaggio Olimpico e con nuotatori americani dalla vivace fantasia, la manifestazione sportiva è stata un successo di pubblico e critica. Il Brasile ha ospitato i Giochi olimpici in maniera efficiente e spendendo meno che cinesi e britannici nelle precedenti edizioni.

L’epidemia del virus Zika, le carenze infrastrutturali e l’endemica violenza urbana di Rio de Janeiro non hanno interferito con la luminosità delle Olimpiadi nella Cidade Maravilhosa. Tuttavia, smaltita la sbornia olimpica, arriva la parte più difficile: la politica interna.

In queste due settimane il processo di impeachment del presidente (sospeso) Dilma Rousseff è andato avanti, e sembra ormai solo una questione di tempo affinché perda definitivamente il suo mandato. Il Senato voterà la questione questa settimana e il numero di senatori favorevoli all’allontanamento definitivo dal Palácio do Planalto pare sarà fatale. Dal canto suo, anche dopo essere confermato alla guida del Brasile, il governo del presidente ad interim Michel Temer avrà problemi a ridurre l'enorme deficit dei conti pubblici, lasciato dalla Rousseff, nonostante la fiducia crescente di mercati e società brasiliana, e la possibilità che il paese riprenda a crescere nel 2017. Sebbene condizioni meteorologiche avverse a causa di El Niño abbiano causato forti aumenti dei prezzi interni dei prodotti agricoli, generando un’impennata inflattiva, la Banca Centrale del Brasile è determinata a rispettare l’inflation targeting fissato al 4,5% entro la fine 2017. Una scelta che ritarderà la riduzione del tasso di interesse di riferimento (Selic), il quale rimarrà al 14,25% almeno fino alla fine di quest’anno. Ancora una volta il Brasile si conferma il paese con il tasso di interesse reale più alto del mondo. E gli investimenti, naturalmente, ne saranno pregiudicati.

Tuttavia, se la crescita aggregata sarà effettivamente dell'1,6% nel 2017, così come previsto oggi, l’esecutivo di Brasilia non dovrà aumentare la pressione fiscale. Le aspettative riguardanti il Pil, però, sono discordanti. Molti economisti locali sono animati per una possibile ripresa, mentre le banche straniere si mantengono caute. Gli economisti brasiliani citano la crescente fiducia osservata in vari sondaggi e ricerche di mercato volte a misurare il livello di soddisfazione della business community con l’operato del governo. Una condizione che dovrebbe portare ad un aumento degli investimenti, necessari per sostenere la ripresa. Gli analisti esteri, invece, dubitano ancora della determinazione dell’esecutivo Temer nel ridurre il deficit fiscale, dovendo allo stesso tempo gestire gli enormi deficit e debiti accumulati dei vari stati e degli oltre 5 mila municipi che compongono la federazione, tutti in profondo rosso, aumentando contemporaneamente i salari del settore pubblico e facendo fronte alle altre problematiche che senza dubbio sorgeranno durante il percorso e dovendo sopportare le bordate degli agguerriti sindacati brasiliani, fedelissimi del Partido dos Trabalhadores (Pt) della Rousseff, che hanno promesso battaglia senza esclusione di colpi contro il governo nel caso l’impeachment venga approvato.

Negli ultimi vent’anni, nonostante un Congresso refrattario ad approvare misure economiche impopolari ma necessarie, il Brasile ha dimostrato una notevole capacità di recupero da shock economici. L'inflazione non è esplosa come negli anni Settanta e Ottanta. I mercati hanno diversificato. I tassi di interesse sono scesi. Gli investimenti diretti esteri in entrata sono cresciuti. Ed è questo il percorso che il potente ministro della Fazenda (economia), Henrique Meirelles, vuole riprendere. Il suo successo contribuirà a rafforzare non solo la ripresa economica del Brasile, ma anche il suo prestigio personale come candidato alla Presidenza nel 2018.

Meirelles, economista stimato a livello internazionale, si concentra su due dispositivi fondamentali: tagli alla spesa pubblica e riforma della previdenza sociale. Nel primo caso, si tratta di norme che limitano le uscite della macchina statale a tutti i livelli, non permettendo un aumento reale della spesa per vent’anni. In questo modo, i frequenti aumenti delle tasse necessari per compensare la costante espansione della spesa, e così dolorosamente familiari al brasiliano medio, dovrebbero cessare.

Nel secondo caso si tratta di cambiamenti profondi nella legislazione previdenziale, al fine di compensare un deficit pensionistico eccessivamente alto, in un momento in cui i cambiamenti demografici hanno alterato con inaspettato anticipo le proiezioni elaborate nei decenni precedenti. Nei prossimi anni, infatti, il Brasile conoscerà un sorprendente aumento del numero dei cittadini con oltre 65 anni rispetto alla popolazione economicamente attiva, rischiando di diventare un paese vecchio prima di diventare ricco. Già oggi il Brasile impegna una percentuale maggiore del Pil per il pagamento delle pensioni rispetto ad altri paesi con livelli di reddito pro capite simili. Se la questione non verrà affrontata rapidamente e in profondità, potrebbe rivelarsi una palla al piede per la crescita di lungo periodo del gigante sudamericano.

Il Congresso discuterà seriamente queste proposte solo dopo le elezioni municipali di ottobre,dal momento che molti deputati e senatori sono candidati a sindaco o si impegneranno nelle campagne elettorali a favore di compagni di partito. I cambiamenti sul settore previdenziale influenzeranno poco il deficit nel breve periodo, ma avranno un impatto fondamentale nei prossimi decenni. Ma, soprattutto, questi voti saranno la prova della solidità politica della base alleata di Temer.

In altri momenti di crisi politica il Brasile ha dato prova di riuscire ad implementare riforme strutturali importanti, cambiando rapidamente rotta. Il precedente più recente è il varo del “Plano Real” nel 1994, quando il paese cambiò valuta per l’ultima volta, conquistando stabilità monetaria e sconfiggendo definitivamente l’inflazione. Anche in quel caso il Brasile aveva affrontato un processo di impeachment, il presidente allora era Itamar Franco, ex vice presidente del deposto Fernando Collor de Mello.

Tuttavia, i rendimenti passati non sono garanzia di quelli futuri. Non vi sono prove che una politica economica più sensata sia sufficiente, da sola, ad incoraggiare le riforme profonde di cui il Brasile ha disperatamente bisogno.

 

Carlo Cauti

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