In un rapporto pubblicato oggi, intitolato “Illegali e mortali: attacchi con razzi e mortai dei gruppi armati palestinesi durante il conflitto di Gaza e Israele del 2014”, Amnesty International ha accusato i gruppi armati palestinesi di aver mostrato un flagrante disprezzo per la vita dei civili lanciando ripetutamente attacchi indiscriminati con razzi e mortai contro le zone residenziali israeliane. Secondo l’organizzazione per i diritti umani, diversi di quegli attacchi hanno costituito crimini di guerra.
Durante i 50 giorni di conflitto, tra luglio e agosto del 2014, quegli attacchi hanno ucciso sei civili israeliani, compreso un bambino di quattro anni. Nel più sanguinoso degli attacchi, un proiettile partito dalla Striscia di Gaza ha raggiunto il campo rifugiati di al-Shati, uccidendo 13 civili palestinesi, tra cui 11 bambini.
“Durante il conflitto, i gruppi armati palestinesi, incluso il braccio armato di Hamas, hanno lanciato attacchi illegali, in evidente sfregio al diritto internazionale umanitario e alle conseguenze delle loro azioni per le popolazioni civili tanto in Israele quanto nella Striscia di Gaza” – ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
Tutti i razzi usati dai gruppi armati palestinesi vi sono proiettili privi di guida, che non possono essere diretti con accuratezza contro obiettivi specifici e sono dunque di per sé indiscriminati. Queste armi sono vietate dal diritto internazionale e il loro uso costituisce un crimine di guerra. A loro volta, i mortai sono munizioni imprecise che non dovrebbero mai essere usate per attaccare obiettivi militari situati all’interno o nei pressi di zone residenziali.
“I gruppi armati palestinesi devono porre fine a tutti gli attacchi diretti contro i civili e a tutti gli attacchi indiscriminati. Devono inoltre prendere tutte le precauzioni possibili per proteggere la popolazione civile della Striscia di Gaza dalle conseguenze di tali attacchi, tra cui evitare di situare uomini armati e munizioni all’interno o nei pressi di zone densamente popolate” – ha aggiunto Luther.
Durante il conflitto del 2014 almeno 1585 civili palestinesi, tra cui oltre 530 bambini, sono stati uccisi a Gaza. Almeno 16.245 abitazioni sono state distrutte o rese inagibili dagli attacchi israeliani, alcuni dei quali hanno a loro volta costituito crimini di guerra.
“Il devastante impatto degli attacchi israeliani contro i civili palestinesi nel corso del conflitto è innegabile, ma le violazioni di una parte in conflitto non possono mai giustificare violazioni ad opera della parte opposta” – ha precisato Luther.
“Il fatto che i gruppi armati palestinesi possano aver commesso crimini di guerra lanciando attacchi indiscriminati con razzi e mortai, non esonera le forze israeliane dal rispetto del diritto internazionale umanitario. La guerra ha causato un livello senza precedenti di morti, distruzioni e feriti nel milione e 800.000 abitanti della Striscia di Gaza, e alcuni degli attacchi israeliani devono essere indagati come crimini di guerra” – ha aggiunto Luther.
“Le autorità israeliane e palestinesi devono cooperare alle indagini della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite e della Corte penale internazionale, per porre fine a decenni d’impunità che hanno alimentato un ciclo di violazioni dei diritti umani in cui le popolazioni civili di ambo le parti hanno pagato un prezzo elevato” – ha sottolineato Luther.
Secondo le Nazioni Unite, durante i 50 giorni di conflitto oltre 4800 razzi e 1700 mortai sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza contro Israele. Di queste migliaia di attacchi, 224 si ritiene abbiano colpito zone residenziali israeliane mentre molti altri sono stati neutralizzati dal sistema di difesa Iron Dome.
La morte di Daniel Tregerman, quattro anni, avvenuta il 22 agosto 2014 mostra quanto siano tragiche le conseguenze dell’uso di armi imprecise come i mortai contro i centri abitati. La famiglia Tregerman aveva lasciato il kibbutz Nahal Oz a causa del conflitto ma vi aveva fatto rientro appena un giorno prima. Poco dopo il suono delle sirene d’allarme, un mortaio lanciato dalla Striscia di Gaza ha centrato l’automobile della famiglia parcheggiata di fronte all’abitazione. La piccola sorella di Daniel ha visto il fratellino morire davanti ai suoi occhi.
“Mio marito e nostro figlio erano in salotto, io urlavo di scendere nel rifugio. Una scheggia è entrata nella testa di Daniel, uccidendolo immediatamente” – ha raccontato ad Amnesty International Gila Tregerman, la madre di Daniel. Le Brigate al-Qassam, il braccio militare di Hamas, hanno rivendicato l’attacco.
Il documento di Amnesty International mette anche in evidenza l’assenza di precauzioni, da parte di Israele, per proteggere i civili delle comunità vulnerabili, soprattutto gli abitanti dei villaggi beduini della regione del Negev, molti dei quali non sono ufficialmente riconosciuti dal governo israeliano.
Il 19 luglio 2014, ad esempio, Ouda Jumi’an al-Waj è stato ucciso da un razzo che ha raggiunto il villaggio beduino di Qasr al-Sir, nei pressi della città israeliana di Dimona.
Per la maggior parte i villaggi beduini del sud d’Israele, in cui vivono oltre 100.000 persone, sono classificati dalle autorità israeliane come “aree aperte” non residenziali. Il sistema d’intercettazione dei razzi Iron Dome non li protegge né esistono rifugi.
“Nel corso del conflitto, i civili dei villaggi beduini sono rimasti vulnerabili ed esposti, segno della discriminazione quotidiana cui vanno incontro. Le autorità israeliane devono assicurare che ogni persona sia protetta allo stesso modo” – ha dichiarato Luther.
Tra gli altri civili uccisi dagli attacchi lanciati dalla Striscia di Gaza c’era un ingegnere agricolo proveniente dalla Thailandia, Narakorn Kittiyangkul, morto quando un mortaio ha colpito l’azienda di pomodori del sud d’Israele dove lavorava. Il 26 agosto, Ze’ev Etzion e Shahar Melamed sono morti in un attacco di mortaio contro il kibbutz Nirim.
In quello che è risultato il più sanguinoso degli attacchi lanciati da un gruppo armato palestinese durante il conflitto, il 28 luglio un proiettile è esploso vicino a un supermercato nell’affollato campo profughi di al-Shati, uccidendo 13 civili palestinesi, 11 dei quali bambini. Era il primo giorno della Festa della rottura del digiuno e i bambini stavano giocando in strada o acquistando patatine e bibite.
Sebbene fonti palestinesi abbiano attribuito l’attacco all’esercito israeliano, un esperto indipendente in materia di munizioni ha esaminato le prove disponibili per conto di Amnesty International giungendo alla conclusione che il proiettile usato nell’attacco era stato un razzo palestinese.
“Le prove secondo le quali un razzo lanciato da un gruppo armato palestinese ha ucciso 13 civili all’interno della Striscia di Gaza sottolineano quanto queste armi siano indiscriminate e quanto orribili possano essere le conseguenze del loro uso” – ha commentato Luther.
Mahmoud Abu Shaqfa e suo figlio Khaled, di cinque anni, sono rimasti gravemente feriti nell’attacco. Un altro figlio, Muhammad, di otto anni, è stato ucciso.
“Il razzo è caduto vicino all’automobile. L’abitacolo era pieno di schegge. Sono stato colpito da un pezzo di metallo. Khaled è corso da me gridandomi ‘Papà alzati, papà alzati!’. Avevo una gamba intera squarciata e la parte posteriore del braccio lacerata”.
A Gaza non esistono rifugi né sistemi d’allarme per proteggere la popolazione civile.
Il rapporto di Amnesty International descrive, infine, altre violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dai gruppi armati palestinesi durante il conflitto del 2014, tra cui lo stoccaggio di razzi e di altre munizioni in edifici civili (comprese le scuole delle Nazioni Unite) e i casi in cui i gruppi armati palestinesi hanno lanciato attacchi o nascosto munizioni in luoghi assai vicini a quelli in cui centinaia di sfollati avevano trovato rifugio.
“La comunità internazionale deve contribuire a impedire ulteriori violazioni dei diritti umani affrontando la radicata impunità e ponendo fine ai trasferimenti ai gruppi armati palestinesi e a Israele di armi ed equipaggiamento militare che potrebbero essere usati per compiere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario” – ha concluso Luther.
Amnesty International continua a chiedere a tutti gli stati di sostenere l’azione della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite e la giurisdizione della Corte penale internazionale su crimini commessi da tutte le parti coinvolte nel conflitto del 2014.
Fonte: Amnesty International