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I MARUBINI, OVVERO I RUBINI MIRACOLOSI DI CREMONA | Agostino Melega (Cremona)

E nel presentare il succulento piatto, il Cabrino farabutto, si mise persino a raccontare con soddisfazione che quella era la stessa prelibatezza che la comunità cremonese dedicava al ricordo di sant’Omobono, il patrono della città chiamato famigliarmente Mubòon.

| Scritto da Redazione
I MARUBINI, OVVERO I RUBINI MIRACOLOSI DI CREMONA | Agostino Melega (Cremona)

I MARUBINI, OVVERO I RUBINI MIRACOLOSI DI CREMONA | Agostino Melega (Cremona)

Nella città del Torrazzo, c’era una volta, tanti anni fa, un personaggio incredibile.

 Si chiamava Cabrino Fondulo, ed era conte di Soncino e marchese di Castelleone, e divenne pure signore di Cremona e vicario imperiale. Era una figura d’uomo non usa a delicatezze e a mezze misure con gli avversari politici. Infatti, nel men che non si dica, uccise con l’inganno l’intera famiglia dei Cavalcabò e tutti coloro che si opponevano al suo dominio assoluto. Un potere che durò tredici anni, a partire dal 1406.

 Nel mese di gennaio del 1414, questo tipetto da prendere con le molle, ormai accecato da una irrefrenabile sete di predominio, escogitò di invitare a Cremona i due grandi dell’epoca, il papa Giovanni XXIII (sì con lo stesso nome di Angelo Roncalli, cancellato poi dagli annali pontifici), e Sigismondo di Lussemburgo. L’intenzione del nostro era chiara come il sole: di uccidere entrambi, scaraventandoli giù dal Torrazzo, dalla Gran Torre che sovrasta e tiene a custodia l’intera città.

 Si narra che durante uno dei suntuosi banchetti imbanditi per celebrare il subdolo ossequio di Cremona alle due somme autorità, il Cabrino Fondulo abbia fatto portare in tavola uno straordinario piatto in brodo: i majrubini di Musone, quale cinico omaggio ai due prossimi ed imminenti defunti da salto mortale.

E nel presentare il succulento piatto, il Cabrino farabutto, si mise persino a raccontare con soddisfazione che quella era la stessa prelibatezza che la comunità cremonese dedicava al ricordo di sant’Omobono, il patrono della città chiamato famigliarmente Mubòon.

Anche se raramente un rovescio si trasforma nel suo diritto, quella volta avvenne però che il ringraziamento a fine pasto dei due grandi ospiti fu spassionato, quasi commosso, per quel piatto regale e sopraffino ricevuto, e alle congratulazioni e le feste essi aggiunsero la promessa d’un sostegno politico, compresa l’apertura di una Università a Cremona, che avrebbe fatto concorrenza a quella di Venezia.

 Infatti, alla frase storica carica di doppio senso di Cabrino, pronunciata all’inizio del pranzo in puro dialetto cremonese, ossia: “Mé me màj i rübéen de’l móont (Io mi mangio i rubini del mondo)”, con la quale egli alludeva anche all’imminente sacrificio dei due ignari e “preziosi” ospiti, s’accompagnò l’immediata lode del Papa e dell’Imperatore verso quel piatto prelibato.

“Sì! -, sentenziò il Sommo Pontefice – Questi majrubini sono i migliori del mondo!”. E subito lo seguì Sigismondo di Lussemburgo con l’icastica espressione: ”Il sole con i suoi raggi è giunto su questa tavola!”, nella quale frase traspariva il riferimento del sovrano ai rubini considerati dalla tradizione popolare come “le pietre del sole”.

 Allora altri copiosi majrubini ai tre brodi arrivarono ad allietare ancora i fausti commensali e da lì la storia di Cremona e del mondo prese tutta un’altra piega. Era il giorno del Signore, 13 gennaio 1414.

La fama della lacrimuccia per tale misfatto omicida non compiuto da parte del truce Cabrino si diffuse ovunque. Anche perché l’esito della vicenda era stato ben diverso rispetto a quello perpetrato sette anni prima ai danni dei tre Barbò scaraventati giù dalla Gran Torre.

 Altrettanto lontano giunsero gli echi dei commenti dei due illustri personaggi baciati dalla fortuna grazie al “marubino propiziatorio”. Il Papa e l’Imperatore, ovunque si trovassero, al ricordo di quella leccornia del palato, diffondevano opinioni che si tramutarono in condivisi giudizi, quali: “La madre dei rubini in tavola è Cremona”; “I majrubini sono cofanetti cremonesi di preziosi, affidati alla sagacia della carne, alla fantasia del brodo ed al senso del gusto supremo”, e così via.

 Fu da allora, partendo proprio dal ricordo dei due personaggi famosi, rimasti sorprendentemente vivi  anche dopo l’incontro con lo spietato Cabrino, che si radicò il convincimento popolare che “en piàt de marübéen el fà resüsitàa àan i mòort (un piatto di marubini fa risuscitare anche i morti).

I cofanetti miracolosi di Cremona, i marubini ai tre brodi, iniziarono così il cammino di una leggenda che incanta ancor oggi il palato del mondo intero.

Agostino Melega (Cremona)

Maggio 2020

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