A valle di un enorme ritardo che è costato all’Italia una messa in mora da parte dell’Ue, il Governo italiano ha approvato ieri due decreti legislativi per attuare rispettivamente la direttiva europea sulle rinnovabili Red II (2018/2001) e quella sul mercato interno dell’energia elettrica (2019/904).
La direttiva Red II stabilisce che entro il 2030, a livello europeo, le energie rinnovabili dovranno incidere per almeno il 32% sul consumo finale lordo di energia; l’Italia contribuirà all’obiettivo comunitario da una posizione di retroguardia, fermandosi ovvero al 30%. Per raggiungere il traguardo ci sarà comunque da correre, dato che il nostro Paese è fermo al 18% circa, a fronte del 19,7% raggiunto dall’Ue nel suo complesso nel 2019.
Progredire velocemente sulla strada delle energie rinnovabili sarà fondamentale per dare un contributo fattivo al transizione ecologica dell’economia quanto alla lotta alla crisi climatica, soprattutto perché gli obiettivi prescritti dalla direttiva Red II – e fatti propri dal Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), non a caso in fase di revisione – nascono già vecchi.
Nelle scorse settimane, con il pacchetto “Fit for 55” presentato dalla Commissione Ue per traguardare entro il 2030 un taglio delle emissioni climalteranti pari al 55% rispetto al 1990 (adesso siamo a -24%, in Italia invece a -19,4%) si è già affacciata sul panorama legislativo la direttiva Red III, con l’obiettivo di «produrre il 40% della nostra energia da fonti rinnovabili entro il 2030». Per l’Italia significa più che raddoppiare i risultati raggiunti finora, in meno di un decennio.
È dunque evidente la necessità di accelerare il ritmo delle installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, che in Italia languono da troppo tempo: guardando infatti al di là del temporaneo crollo delle emissioni nel 2020, a fine 2019 le emissioni nazionali di CO2 italiane erano pressoché paragonabili a quelle registrate nel 2014: di fatto, cinque anni di stallo. Lo stesso vale per le rinnovabili, le cui installazioni sempre dal 2014 crescono col contagocce.
Anche nel 2020 le nuove installazioni di impianti alimentati da fonti rinnovabili sono nuovamente scese vicino alla soglia di 1 GW – mentre l’Europa ne installava 30, il mondo 260 –, un dato molto lontano dagli almeno 7 GW che dovremmo realizzare ogni anno per rispettare i nuovi obiettivi Ue al 2030.
Il moltiplicarsi delle sindromi Nimby e Nimto sul territorio rappresentano uno dei principali motivi di freno alle nuove installazioni, assieme a un asffissiante iter di permitting che lascia gli impianti prevalentemente su carta. Un processo autorizzativo per questi impianti ha una durata media di 7 anni, di cui quasi 6 anni oltre i limiti di legge: la direttiva Red II chiede il rispetto del limite di due anni.
Ecco dunque perché nel Dlgs approvato ieri «l’approccio per le autorizzazioni è quello della semplificazione e di una partecipazione positiva degli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni tramite un percorso condiviso di individuazione di aree idonee. Per gli incentivi, la scelta è quella di introdurre una forte semplificazione nell’accesso ai meccanismi e, al contempo, fornire una maggiore stabilità tramite l’introduzione di una programmazione quinquennale, al fine di favorire gli investimenti nel settore. Centrale – sottolineano dal Governo – la realizzazione delle infrastrutture necessarie per la gestione delle produzioni degli impianti a fonti rinnovabili: prevista un’accelerazione nello sviluppo della rete elettrica e della rete gas e semplificazioni per la realizzazione degli elettrolizzatori alimentati da fonti rinnovabili».
Complementare a quest’approccio è il Dlgs sul mercato elettrico, con cui «si introducono disposizioni volte a disciplinare le nuove configurazioni delle comunità energetiche dei cittadini in modo coordinato con le disposizioni previste dalla direttiva 2001/2018», introducendo al contempo novità di rilievo come per la volontà di utilizzare (a partire dal 2022) una quota dei proventi annuali derivanti dalle aste della CO2 «alla copertura dei costi di incentivazione delle fonti rinnovabili e dell‘efficienza energetica mediante misure che trovano copertura sulle tariffe dell’energia».
Come spiegano dal Governo, nel suo complesso il decreto legislativo punta a «rafforzare i diritti dei clienti finali in termini di trasparenza (delle offerte, dei contratti e delle bollette), a completare la liberalizzazione dei mercati al dettaglio salvaguardando i clienti più vulnerabili, ad aprire maggiormente il mercato dei servizi a nuove tipologie di soggetti quali la gestione della domanda e i sistemi di accumulo, a prevedere un ruolo più attivo dei gestori di sistemi di distribuzione, a regolare la possibilità di istituire sistemi di distribuzione chiusi, ad aggiornare gli obblighi di servizio pubblico per le imprese operanti nel settore della generazione e della fornitura di energia elettrica, ad introdurre un sistema di approvvigionamento a lungo termine di capacità di accumulo con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo degli investimenti necessari per l’attuazione degli obiettivi del Pniec». Un Piano che resta però ancora da aggiornare, dato che quello in vigore è nato già vecchio.