Egregio direttore, il ricordo di Enrico Berlinguer suscita sempre in me profonda commozione. È quanto avvenuto anche nei giorni scorsi, nel centesimo anniversario della sua nascita.
Mi ha fatto enormemente piacere vedere la quantità (e la qualità) degli spazi riservati alla ricorrenza dai mezzi della comunicazione. Ciò deve indurre a serie riflessioni sul perché–a 38 anni dalla sua scomparsa–vi sia più che mai un ricordo vivido della sua figura e della sua opera, del suo vissuto come persona e come dirigente comunista.
Certo, le numerose note sulla sua biografia sottolineano ampiamente – anche con accenti e sottolineature diverse – le qualità che ci tramandano ancora oggi testimonianza della grande dimensione della sua statura politica e culturale. In quelle note ho rilevato un dato comune: Berlinguer era l’u omo politico più amato dal popolo di sinistra (non solo dai militanti nel Pci) e il più rispettato dai suoi avversari. Mi è piaciuta particolarmente una considerazione di Giorgio Napolitano che - riferendosi a quanto potrebbe chiedere un giovane riguardo a come intendere la politica - avrebbe dovuto assumere come riferimento Enrico Berlinguer, in termini di onestà, passione e dedizione. Rimango orgoglioso di aver militato, fino a che è stato in vita, nel Pci e di aver ricoperto la carica di Segretario della Federazione cremonese al tempo della Segreteria nazionale di Berlinguer.
Fu una stagione di elevato livello nella politica, proprio anche per la messa in campo di alcune intuizioni di Berlinguer (compromesso storico, la politica di austerità con implicazioni ambientaliste, l’esau - rimento della spinta propulsiva nei paesi del cosiddetto socialismo reale, eurocomunismo, l’ombrello della Nato). Di Berlinguer viene ricordata, soprattutto, la rigorosa, puntuale analisi sulla questione morale, che sembrava già profetizzare quanto, anni dopo, sarebbe accaduto con tangentopoli.
È bene che ciò avvenga, non trascurando però la dimensione complessiva della sua politica, suscitatrice di dibattito intenso, vivace anche all’interno del Pci, oltre che nel confronto con le altre forze politiche e sociali. Nel Direttivo della Federazione cremonese, ad esempio, votammo una mozione che – di fronte ad un rilassamento nella gestione della solidarietà nazionale ed una scarsa incisività dell’azione del governo Andreotti – espresse una critica nei confronti della dirigenza nazionale.
Berlinguer mi rispose dichiarandosi disponibile a tenerne conto. Certamente, la linea politica voluta e praticata da lui consentì anche a noi di operare maggiori aperture sul piano politico e sociale. Ricordando Berlinguer, un posto particolarmente caro –nel mio percorso politico, e di vita – occupa un fatto collegato alle prime elezioni dei Consigli di Quartiere, nel 1977.
Come Pci ottenemmo una importante vittoria. In un incontro pochi giorni dopo a Brescia, Berlinguer mi espresse calorosi complimenti. Al piacere che ciò mi recò, unii la constatazione che un grande leader dimostrasse attenzione anche per una consultazione comne quella per i Consigli di quartiere di Cremona.
Evelino Abeni Cremona