Da quando la guerra è cominciata il piccolo teatro liberty Les Kurbas, nel centro di Leopoli, si è trasformato in un centro di accoglienza per i profughi: materassi per terra, una tavola per mangiare al centro della platea e un deposito di vestiti, coperte e beni di prima necessità nei camerini. “Nella situazione in cui ci troviamo non era possibile fare altro”, racconta Andrej Voydyehev, uno degli attori del teatro che ora fa il volontario e si occupa del trasferimento delle persone e della loro accoglienza.
Da Leopoli per il momento non passa la linea del fronte, ma la città è strategica nel conflitto, perché è la porta da cui stanno passando migliaia di profughi in fuga in tutto il paese. Un milione in una settimana, secondo le Nazioni Unite, la metà dei quali è passata da qui. In pochi giorni la città dell’Ucraina occidentale, cuore delle attività culturali del paese, si sta trasformando in un campo profughi a cielo aperto, mentre la guerra è destinata per ora ad andare avanti.
Il secondo round di negoziati tra Kiev e Mosca, il 3 marzo, non ha prodotto risultati positivi a parte un accordo sulla creazione di corridoi umanitari per permettere ai civili di uscire dalle zone che sono sotto attacco. Sembra che il presidente russo Vladimir Putin abbia intenzione di usare i profughi come una delle armi di pressione sull’Europa, esattamente come aveva fatto il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko con la Polonia a partire dall’estate scorsa. Finora non ha bombardato le vie di fuga e sta permettendo alle persone di scappare dalle città che sono sotto attacco.
Porta d’Europa
A Leopoli dall’inizio del conflitto sono passati i 548mila profughi diretti in Polonia. Così la città ha sospeso quasi tutte le attività abituali e si è dedicata ad accogliere quest’enorme quantità di persone, mentre si prepara alla guerra. “Le persone che arrivano da noi stanno scappando da Kiev, da Charkiv, da Mariupol. Sono terrorizzate e stanche: in molti casi hanno viaggiato per giorni con temperature che scendono sotto lo zero. Si fermano nel teatro per qualche giorno poi ripartono”, racconta Voydyehev. Olga è appena arrivata nel teatro Les Kurbas da Charkiv, e sta dando da mangiare uno yogurt a sua figlia di quattro anni.
“Abbiamo vissuto per cinque giorni nei rifugi antiaerei, sottoterra. I bombardamenti non erano vicini a casa mia, ma avevamo molta paura che ci colpissero”, racconta la donna che è scappata con le sue due figlie di 16 e 4 anni e suo marito. “Dal secondo giorno di bombardamenti siamo scesi nei sotterranei, perché abbiamo capito che avrebbero bombardato tutta la città e non c’era nemmeno un angolo sicuro. Eravamo nel panico: siamo tornati a casa, ci siamo fatti una doccia e siamo partiti con pochissime cose, sono uscita di casa con i capelli ancora bagnati”, racconta Olga. Ora è diretta in Polonia dove spera di trovare un po’ di pace, ha degli amici in Spagna che forse potrebbero aiutare la sua famiglia. A casa ha lasciato la madre e la nonna che ha novant’anni e non poteva affrontare il viaggio.
Durante la notte centinaia di volontari raccolgono, smistano e ridistribuiscono gli aiuti in arrivo dal resto dell’Ucraina e dall’Europa
Anche lo stadio di Leopoli è stato trasformato in un centro di accoglienza: nell’ingresso è stata allestita una mensa in cui i profughi possono riposarsi, mangiare, ricaricare i telefoni, prima di essere trasferiti nei dormitori. “Abbiamo aperto questo centro il primo giorno di guerra, ma mi sembra un unico giorno senza fine”, racconta Ivanna Herus, vicepresidente del distretto di Leopoli che gestisce l’accoglienza. “Decine di volontari ci portano cibo e pacchi alimentari. C’è una solidarietà incredibile”.
Il Palazzo delle arti di Leopoli è il quartier generale degli aiuti umanitari: durante la notte centinaia di volontari raccolgono, smistano e ridistribuiscono gli aiuti in arrivo dal resto dell’Ucraina e dall’Europa. Nel parcheggio dell’edificio sono stipati centinaia di scatoloni e generatori elettrici. È appena arrivato un tir da 36 tonnellate. “Ieri da qui sono partiti cinquanta autobus pieni di aiuti: quaranta tonnellate di pacchi a Odessa e circa dieci tonnellate a Cherson e a Kiev”, spiega il direttore, Yurij Vyzniak.
“Abbiamo cominciato a lavorare solo due o tre ore dopo l’inizio dei bombardamenti”, assicura Vyzniak. Nella sala principale dell’edificio di novemila metri quadrati c’è un continuo andirivieni e tutti sembrano sapere cosa fare. Il sistema è consolidato: nel seminterrato sono accumulati i medicinali, al piano terra il cibo. Al primo piano, nella sala da concerto, sono smistati vestiti e giocattoli per i bambini e al secondo piano quelli per i neonati.
Nella chiesa dei Santi apostoli Pietro e Paolo, nel centro di Leopoli, il cappellano militare Roman Mentukh è incaricato della raccolta delle donazioni: “Sono momenti molto commoventi, soprattutto quando arrivano le persone anziane e capiamo che ci stanno portando tutto quello che hanno”. Mentukh spiega che accettano tutto, “tranne le armi”. Le donazioni della chiesa sono destinate esclusivamente ai militari, chiarisce. Mentukh racconta la messa che ha celebrato la mattina del 24 febbraio davanti ai parrocchiani in lacrime: “All’inizio eravamo nel panico, ora proviamo a organizzarci”.
La svolta di Bruxelles sui profughi
Intanto l’Unione europea ha deciso di usare la direttiva 55 del 2001 che permetterà di garantire ai profughi ucraini una protezione temporanea: la decisione è stata presa il 3 marzo all’unanimità dai 27 paesi europei. È una svolta storica, l’Unione infatti non aveva mai usato questo strumento di emergenza introdotto dopo la guerra nei Balcani.
Daria Ilikchieva, una delle profughe ospitate allo stadio di Leopoli, ha accolto la decisione con sollievo: viaggia da sola e sta aspettando che la sorella la raggiunga per andare insieme in Polonia, spera di poter lavorare nel paese per il tempo necessario, vorrebbe aiutare la famiglia che non è potuta fuggire dal paese. “Potrò studiare e lavorare, il mio sogno è riprendere gli studi di canto e intanto lavorare per aiutare i miei genitori che sono rimasti a Kiev”, afferma. Ama la musica, ha partecipato a X Factor in Ucraina, nella fuga non ha portato nessuno strumento musicale con sé. Spera di poter trovare un posto sicuro in cui riprendere i suoi studi.
Davanti alla stazione di Leopoli in pochi giorni le persone sono aumentate esponenzialmente: sono state allestite tende della Croce rossa ucraina e di quella polacca che distribuiscono aiuti, sono cominciati a spuntare i primi bivacchi, fuochi improvvisati per riscaldarsi. Due giovani pianisti suonano l’inno ucraino su un pianoforte che è stato portato davanti alla stazione per alleggerire l’attesa di migliaia di persone che sono in fila per prendere il treno. Ma intanto la città si prepara alla guerra.
Sono stati allestiti check point, distribuiti sacchi di sabbia, costruite barricate intorno ai palazzi più importanti, le vetrate delle chiese protette con pannelli di legno. Nella periferia di Leopoli un gruppo di quattro ragazzi sta costruendo degli ostacoli per i carri armati russi: ne hanno fabbricati una sessantina con i binari di ferro della vecchia ferrovia austro-ungarica. Nel vialetto della casa di Tarass Filiptchak sono accatastate una decina di barriere da circa cento chili, l’esercito passerà nelle prossime ore a ritirarli.
E anche le attività commerciali si sono trasformate per affrontare l’emergenza. Un’agenzia di viaggio è diventata un centro di raccolta di beni di prima necessità. “Non avevamo più lavoro e quindi ci siamo dati da fare per prepararci a quello che succederà e allo stesso tempo per aiutare chi è sotto ai bombardamenti”, spiega Victoria Bilac, una guida turistica che in pochi giorni è passata dall’organizzare tour a fare la volontaria. Sta tagliando dei pezzi di stoffa per fabbricare delle molotov. Nell’altra stanza altre dipendenti dell’agenzia di viaggio impacchettano i viveri da mandare nelle zone più colpite dal conflitto.
“È una situazione molto dura, non dormiamo da quando è iniziata la guerra per il suono delle sirene antiaeree e per la paura”, confessa Bilac. Anche Olesiuk Oleksandr era una guida turistica e ora carica e scarica pacchi di viveri da mandare in tutto il paese: “Rimanere attivo mi aiuta a non pensare a quello che sta succedendo nel mio paese, aiutare chi è già sotto le bombe mi fa sentire utile. Ma le telefonate che mi arrivano da Odessa in questo momento sono terribili, sono molto preoccupato”, conclude Oleksandr.