Mercoledì, 24 aprile 2024 - ore 03.38

Migliaia di persone abbandonate alla deriva nel Golfo del Bengala e nel Mar delle Andamane

Onu: non sono in grado di sbarcare a terra. Si ripete la tragedia della ''boat crisis'' del 2015, con l’aggravante del Covid-19

| Scritto da Redazione
Migliaia di persone abbandonate alla deriva nel Golfo del Bengala e nel Mar delle Andamane

Mentre infuria la pandemia di Covid-19, le Agenzie delle Nazioni Unite hanno invitato i governi del Sud-Est asiatico a mostrare compassione per le migliaia di persone vulnerabili che sono alla deriva su carrette dei mari nel Golfo del Bengala e nel Mar delle Andamane.

In un appello congiunto International organization for migration (Iom), Office of the High Commissioner for Refugees (Unhcr) e United Nations office on drugs and crime (Unodc) denunciano che «A cinque anni dalla “boat crisis” del 2015 nel Golfo del Bengala e nel Mar delle Andamane, nella quale a migliaia di rifugiati e migranti in difficoltà in mare venne negata l’assistenza e il sostegno salvavita, siamo allarmati che possa accadere ancora una tragedia simile. Siamo profondamente preoccupati per le notizie secondo le quali imbarcazioni piene di donne, uomini e bambini vulnerabili sono di nuovo alla deriva nelle stesse acque, incapaci di sbarcare e senza accesso a cibo, acqua e assistenza medica urgentemente necessari».

Dopo la crisi del 2015, l’Unhcr aveva pubblicato un rapporto contenente le testimonianze dei sopravvissuti che descrivono dettagliatamente i viaggi lunghi e difficili in mano ai trafficanti e che spesso le loro imbarcazioni abbandonate alla deriva venivano trainate o guidate dalle autorità dei diversi Paesi «da un’acqua territoriale all’altra».

Cinque anni fa, più di 5.000 persone vennero abbandonate in mare dai trafficanti e alla fine sbarcarono in Bangladesh, Indonesia, Malesia, Myanmar e Thailandia. A bordo di quelle navi-prigione morirono almeno 70 a esseri umani per fame,  disidratazione, malattie e abusi, ma nessuno sa quante siano state davvero le vittime e quanti altri siano morti nei naufragi delle imbarcazioni più piccole. Già allora l’Unhcr aveva avvertito che nel Golfo del Bengala e nel Mar delle Andamane si era creato un “collo di bottiglia” che  provocava la detenzione di migliaia di persone in mare su grandi navi portacontainer con 8 o più livelli che contenevano ciascuno oltre 1.000 passeggeri.

Iom, Unhcr e Unodc  sottolineano che «Non esiste una soluzione facile per gli spostamenti marittimi irregolari di rifugiati e migranti. Dissuadere gli spostamenti delle persone mettendo in pericolo la loro vita non è solo inefficace; viola i diritti umani fondamentali, la legge del mare e i principi del diritto internazionale consuetudinario, ai quali tutti gli Stati sono ugualmente vincolati». Per questo le tre Agenzie Onu chiedono a tutti gli Stati della regione (Myanmar, thailandia. India e Bangladesh) di «Rispettare gli impegni della Dichiarazione di Bali del 2016 e degli impegni dell’AseanN di proteggere i più vulnerabili e di non lasciare indietro nessuno. In caso contrario, potrebbero mettere a repentaglio migliaia di vite di persone vittime di traffico o di tratta, tra le quali le centinaia di Rohingya attualmente in mare». I Rohingya sono l’etnia di religione musulmana perseguitata nel Myanmar dalla destra buddista birmana che, con la complicità dell’esercito e del governo, sta attuando una vera e propria pulizia etnica. Centinaia di migliaia di  Rohingya sono già fuggiti in Bangladesh, dove vivono in condizioni terribili nei campi profughi, altre decine di migliaia stanno fuggendo di fronte alle nuove persecuzioni birmane e agli scontri tra l’esercito e i gruppi di resistenza rimasti.

Iom, Unhcr e Unodc ricordano che «Come abbiamo visto più volte, in situazioni disperate – in cerca di sicurezza e protezione o di sopravvivenza di base – le persone si sposteranno, qualunque ostacolo verrà messo sulla loro strada».

L’appello evidenzia che «Salvare vite umane deve essere la prima priorità. Riconosciamo che, nel bel mezzo della pandemia di Covid-19, gli Stati hanno eretto istituito misure di gestione delle frontiere per gestire i rischi per la salute pubblica. Queste misure, tuttavia, non dovrebbero comportare la chiusura delle vie di asilo, né costringere le persone a tornare a situazioni di pericolo o a cercare di sbarcare clandestinamente, senza screening sanitari o quarantena. Gli Stati possono – e dovrebbero – garantire che le loro preoccupazioni comuni relative alla salute pubblica e alla sicurezza siano accompagnate da una riaffermazione della solidarietà e della compassione».

Le Agenzie Onu suggeriscono alcune soluzioni immediate: «Di fronte alla necessità di trovare una soluzione regionale a un problema regionale, come è avvenuto durante la crisi del 2015, è importante basarsi sulla solida cooperazione e pianificazione già intrapresa dall’Asean e dal processo di Bali per affrontare gli spostamenti marittimi irregolari. Chiediamo agli Stati di continuare ad ampliare gli sforzi di ricerca e salvataggio e di garantire che le procedure di sbarco e le condizioni di accoglienza siano sicure e umane. Alcuni Stati della regione hanno già dimostrato che lo screening sanitario e gli accordi di quarantena possono essere attuati in modo che le persone possano sbarcare in modo sicuro, ordinato e dignitoso. La ricerca e il salvataggio devono essere combinati con modalità di sbarco rapido in un luogo in sicurezza. E’ giunto il momento, per i governi della regione, di ricordarsi gli impegni assunti nella dichiarazione di Bali. Esortiamo i copresidenti del processo di Bali ad attivare il meccanismo consultivo per convocare i Paesi colpiti e facilitare una soluzione tempestiva e regionale della crisi nel Mar delle Andamane. Chiediamo inoltre agli Stati della regione che non sono direttamente interessati di offrire sostegno agli Stati che procedono al salvataggio e allo sbarco».

L’Iom, Unhcr e Unodc riaffermano il lo sostegno agli Stati di tutta la regione «per fornire assistenza immediata a richiedenti asilo, rifugiati e migranti vulnerabili, nonché per rafforzare la più ampia capacità di risposta a rispondere ai movimenti irregolari» e sottolineano che dispongono di capacità e conoscenze adatte che «possono essere mobilitate per assistere gli Stati e le autorità locali per prevenire la diffusione del Covid-19, compreso il sostegno per l’assistenza sanitaria iniziale, la diffusione delle informazioni e, se del caso, per garantire che siano seguite le procedure di quarantena».

Le tre agenzie Onu fanno notare che «A più lungo termine, una risposta sostenibile e globale allo spostamento di rifugiati e migranti non può essere ottenuta senza una cooperazione internazionale concertata. Incoraggiamo gli Stati ad attingere al Global Compact for Migration e Al Global Compact for Refugees per promuovere una risposta sostenibile e globale allo spostamento di rifugiati e migranti. Questo include la definizione di accordi di sbarco efficaci, prevedibili ed equi, ancorati a una strategia più ampia con opzioni di migrazione sicure e legali, anche per il ricongiungimento familiare. In linea con l’United Nations transnational organized crime convention e i suoi protocolli, firmati da tutti gli Stati della regione, i trafficanti e i contrabbandieri dovrebbero essere indagati e perseguiti per i loro crimini, nel pieno rispetto delle norme internazionali in materia di diritti umani, nel pieno rispetto dei diritti delle vittime. Gli Stati dovrebbero sottolineare l’attuale impegno politico a favore della tolleranza zero nei confronti degli elementi criminali che facilitano gli spostamenti e sfruttano i vulnerabili. Allo stesso modo, l’azione internazionale e la solidarietà sono essenziali per affrontare i fattori trainanti dei movimenti di migranti irregolari e dei rifugiati, tra cui l’apolidia, la discriminazione, la deprivazione, la persecuzione e altre violazioni dei diritti umani. Senza sforzi collettivi per affrontare questi problemi interconnessi, questa tragedia umana continuerà a ripetersi più e più volte. Chiediamo agli Stati di interrompere questo ciclo, ora».

 

FONTE greenreport.it

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